LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –
Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –
Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –
Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –
Dott. GORI Pierpaolo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
***** S.R.L., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avv. BUONAFEDE Achille, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ZANARDELLI N. 20 presso lo studio del difensore;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, con domicilio eletto in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI, N. 12;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio, n. 196/35/2009 depositata in data 16 dicembre 2009.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 23 aprile 2018 dal Consigliere Dott. GORI Pierpaolo;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DEL CORE Sergio, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso per quanto di ragione;
Udito per l’Agenzia l’avvocato dello Stato MADDALO Alessandro.
1. Con sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio (in seguito, CTR), veniva rigettato l’appello proposto dalla ***** S.R.L. ed accolto l’appello incidentale dell’AGENZIA DELLE ENTRATE, e riformata la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Roma (in seguito, CTP) n. 84/47/2008, avente ad oggetto un avviso di accertamento relativo all’anno di imposta 2003 con cui venivano recuperate a tassazione, in dipendenza di fatture relative a operazioni asseritamente inesistenti, Irpeg, Irap e Iva maggiormente dovute.
2. La contribuente impugnava in sede giurisdizionale l’avviso di accertamento, contestando nel merito le riprese, per operazioni ritenute oggettivamente inesistenti, tra cui cessione a società socie della ***** di diritti di sfruttamento del film “*****” del regista L.V.T.; la CTP accoglieva parzialmente il ricorso, ritenendo, per quanto qui interessa, che la cessione di diritti di sfruttamento alle socie e il riacquisto dalle stesse, fosse attività artificiosa idonea a creare un costo, al fine di portare in detrazione i componenti positivi del risultato di esercizio, ottenendo così un risparmio Iva. I giudici di primo grado confermavano dunque tale recupero a tassazione, anche al fine delle sanzioni.
3. A seguito di appello principale della contribuente e di appello incidentale dell’Agenzia sui rispettivi capi di soccombenza, la CTR da un lato rigettava l’impugnazione principale ritenendo che le interpretazioni e precisazioni degli accordi contrattuali, come formulate dalla contribuente nell’atto di appello e poi ribaditi nella memoria illustrativa, estendessero il thema decidendum in violazione del divieto di “nova” di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57 e, comunque, riteneva non vi fosse giustificazione giuridica e gestionale della cessione dei diritti di sfruttamento ai propri soci; dall’altro, in punto di riparto dell’onere probatorio, condivideva i rilievi dell’Ufficio sull’inesistenza delle operazioni commerciali oggetto della ripresa, ed accoglieva così l’appello incidentale.
4. Avverso la sentenza d’appello, la contribuente propone ricorso per Cassazione affidato a due motivi, cui resiste l’Agenzia con controricorso. Con nota di deposito del 27.12.2012, la difesa della contribuente rende noto il fallimento della società, dichiarato con sentenza del Tribunale di Roma in data 21.6.2012.
5. Invertendo l’ordine di trattazione dei motivi, è opportuno innanzitutto partire dal secondo in luogo del primo, in quanto relativo al merito delle riprese.
6. Con il secondo motivo, si censura la violazione, errata interpretazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36,artt. 112 e 113 c.p.c., in relazione agli artt. 1414,1417,1703,1705,2697 e 2729 c.c., ed al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 3, comma 3, nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per aver ritenuto inesistenti le operazioni oggetto della ripresa e simulati i relativi contratti. Inoltre, nel medesimo motivo, si invoca “il vizio di omessa pronuncia ai sensi dell’art. 112 c.p.c.rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 quale error in procedendo motivo di nullità della sentenza emessa ed in ogni caso, con violazione e/o errata applicazione degli artt. 2697 e 2729 c.c., accogliendo i rilievi dell’Ufficio in difetto di alcun, mai adempiuto, onere probatorio dell’ente accertatore e con violazione e/o errata applicazione degli artt. 1362,1363,1365,1366,1367 c.c. in relazione alla illegittima – laddove rinvenibile, ferma la censura di mancanza e/o insufficienza di motivazione, se non di omessa pronuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 5 e 4 – ermeneutica del regolamento contrattuale inter partes, scaturigine delle obbligazioni di ***** e di cui alle fatturazioni impugnate dall’Ufficio”.
7. Il motivo cumulativo, pur così articolato, non è di per sè inammissibile ex art. 366 c.p.c. per il solo fatto di contenere una pluralità di doglianze (argomentando da Cass. Sez. Un. 9 marzo 2009 n.5624). Quanto alla formulazione sotto il profilo delle dedotte violazioni di legge, la Corte rammenta tuttavia che, sull’interpretazione di atti processuali come di contratti (Cass. 10 febbraio 2015, n. 2465, Cass. 13 febbraio 2002, n. 2074) – nel caso di specie i contratti che la CTR ritiene come anche l’Agenzia simulati -, la parte che censuri il significato attribuito dal giudice di merito deve dedurre la specifica violazione dei criteri di ermeneutica contrattuale o il vizio di motivazione sulla loro applicazione, indicando inoltre in ricorso a pena di inammissibilità le considerazioni del giudice in contrasto con i criteri ermeneutici ed il testo dell’atto oggetto di erronea interpretazione; dal momento che l’interpretazione di domande, eccezioni e deduzioni delle parti dà luogo ad un giudizio di fatto, è inibita la deduzione di violazione di legge (Cass. 2 agosto 2016 n.16057, e Cass. SS.UU. 20 novembre 2017 n.27435). E’ anche vero che nel motivo è dedotto, tra i numerosi profili, pure un error in procedendo il quale astrattamente potrebbe introdurre una deroga al principio, ove si assuma che l’interpretazione degli atti processuali di secondo grado abbia determinato l’omessa pronuncia su una domanda che si sostiene regolarmente proposta e non venuta meno in forza del successivo atto di costituzione avverso l’appello della controparte, dal momento che la Corte ha il potere-dovere di procedere all’esame e all’interpretazione degli atti processuali e, in particolare, delle istanze e deduzioni delle parti, come ritenuto da Cass. 25 ottobre 2017 n.25259. Tuttavia, il Procuratore generale in udienza ha condivisibilmente argomentato sul fatto che non vi sono nel mezzo doglianze autonomamente enucieabili diverse dal vizio motivazionale e, dunque, in parte qua il motivo è inammissibile.
8. Quanto alla parte del mezzo enucleabile come afferente al vizio motivazionale, ed incentrato sul riparto dell’onere della prova, il motivo è infondato.
Va osservato innanzitutto che, nel caso di specie, le operazioni contestate sono oggettivamente inesistenti. Ciò si evince dal tenore degli atti e dalla lettura della parte motiva, ad es. a pag. 6 della sentenza in cui si fa riferimento alla “difesa della società volta ad affermare l’effettività dell’operazione effettuata”.
9. Orbene, va evidenziata la costante interpretazione giurisprudenziale di questa Corte sul diverso regime probatorio che contraddistingue le operazioni oggettivamente e soggettivamente inesistenti. In particolare, nelle prime, ove la fattura costituisce in tutto o in parte mera espressione cartolare di operazioni commerciali mai poste in essere da alcuno, l’amministrazione ha l’onere di fornire elementi probatori, anche in forma indiziaria e presuntiva (Cass. nn. 21953/07, 9784/10, 9108/12, 15741/12, 23560/12; 27718/13, 20059/2014, 26486/14, 9363/15; nello stesso senso C. Giust. 6 luglio 2006, C-439/04; 21 febbraio 2006, C-255/02; 21 giugno 2012, C-80/11; 6 dicembre 2012, C-285/11; 31 novembre 2013, C-642/11), del fatto che l’operazione fatturata non è stata effettuata, dopo di che spetta al contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate; tale prova, tuttavia, non può consistere nella esibizione della fattura o nella dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento, poichè questi sono facilmente falsificabili e vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass. nn. 5406/16, 28683/15, 428/15, 12802/11, 15228/01). Inoltre, una volta accertata l’assenza dell’operazione, è escluso che possa configurarsi la buona fede del cessionario o committente, il quale ovviamente sa bene se ed in quale misura ha effettivamente ricevuto il bene o la prestazione per la quale ha versato il prezzo o corrispettivo (Cass. 14 settembre 2016 n.18118).
10. Quanto poi alla ripresa circa la cessione dei diritti di sfruttamento del film, la motivazione è adeguatamente sviluppata alle pagg. 8 e 9 della sentenza gravata ove, in sintesi, viene evidenziato come non vi sia alcuna giustificazione giuridica e gestionale dei diritti di sfruttamento del film ai soci, tra l’altro in quanto i diritti risultavano già ceduti dalla contribuente ad un soggetto terzo, la Medusa Film s.p.a., ed in favore dei soci della contribuente era stata aperta una lettera di credito da altre società cessionarie dei diritti di sfruttamento del film, a garanzia del pagamento da parte della contribuente del debito contratto nei confronti della società di diritto francese Zenfrance sarl originaria titolare dei diritti sul film.
11. Trattasi di elementi adeguati, gravi, precisi e concordanti a sostegno di entrambe le riprese, che portano a ritenere operativa la presunzione di non esistenza oggettiva delle operazioni economiche di cui alla fattura. Secondo il canone giurisprudenziale di riparto dell’onere della prova sopra descritto, era a questo punto onere della contribuente della prova contraria circa l’effettiva esistenza delle operazioni contestate. Tuttavia la prova, che non può consistere nella fattura nè nella regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento, poichè questi sono facilmente falsificabili, non è stata assolta. In particolare, la contribuente non fa valere una prova decisiva e contraria al ragionamento seguito dalla CTR, e non considerata dai giudici di appello.
12. In conclusione, non sussiste nemmeno il lamentato vizio di motivazione, neppure ai fini della paventata nullità della sentenza, essendo corretta l’applicazione del riparto dell’onere della prova nel caso di specie, anche in punto di qualificazione degli atti negoziali posti in essere dalle parti in relazione alle operazioni oggettivamente inesistenti.
13. Con il primo motivo di ricorso, sì censura la violazione ed errata interpretazione e, quindi, falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57 e artt. 345,183,112 e 113 c.p.c., nonchè l’omessa insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, “laddove la CTR ha ritenuto che la società appellante avesse introdotto solo nel giudizio di gravame nuove eccezioni e prospettazioni giuridiche e nuovi documenti, per ciò solo omettendo di disaminare le ragioni addotte dalla ***** S.r.l. e, quindi, altresì con vizio di omessa pronuncia ai sensi dell’art. 112 c.p.c. rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c. (comma 1) n. 4 quale error in procedendo motivo di nullità della sentenza emessa”.
14. Il motivo è inammissibile, a seguito del rigetto del secondo. Si rammenta che è principio consolidato, da cui non vi sono ragioni per discostarsi nel caso di specie, quello secondo il quale “qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle “rationes decidendi” rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa” (Cass. 14 febbraio 2012 n. 2108). La mancata utile censura di una delle rationes concorrenti a sostegno della ripresa determina l’inammissibilità del motivo (Cass. Sez. Unite 29 marzo 2013 n. 7931) e, nel caso in esame, in merito alla ripresa circa la cessione di diritti di sfruttamento ai suoi soci, la contribuente non censura utilmente tutte le rationes decidendi articolate dalla CTR. In particolare, il secondo motivo di ricorso, come visto, colpisce il merito delle riprese, con l’eccezione della ratio, non censurata, per la quale comunque non vi è una reale operazione economica sottesa alla fattura n. 7/03 del 19.11.2003 emessa dalla Imago Film S.r.l. per prestazioni riconducibili al film “*****”. Inoltre, tale motivo, che ha ad oggetto la giustificazione giuridica e gestionale della cessione dei diritti di sfruttamento ai soci sviluppata alle pagg. 8 e 9 della sentenza gravata, è risultato in parte inammissibile e in parte infondato.
15. Da ultimo, la Corte rileva d’ufficio che, nel caso di specie, per la parte della ripresa afferente alle imposte dirette, è sopravvenuta una disciplina più favorevole al contribuente, prevista al D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 2, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 26 aprile 2012, n. 44, art. 1, comma 1, a norma del quale: “Ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica i componenti positivi direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati, entro i limiti dell’ammontare non ammesso in deduzione delle predette spese o altri componenti negativi. In tal caso si applica la sanzione amministrativa dal 25 al 50 per cento dell’ammontare delle spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati indicati nella dichiarazione dei redditi. In nessun caso si applicano le disposizioni di cui al D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 12, e la sanzione è riducibile esclusivamente ai sensi del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 16, comma 3”.
16. Per effetto della rettifica del reddito di impresa, dev’essere dunque tenuto conto anche dei componenti positivi direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati, in tanto in quanto il contribuente ne offra prova (Cass. 20 aprile 2016 n.7896), i quali non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica, entro i limiti dell’ammontare non ammesso in deduzione delle predette spese. La previsione dev’essere applicata d’ufficio ratione temporis alla presente fattispecie, in quanto la novella è intervenuta dopo la pubblicazione della sentenza gravata.
17. In conclusione, la sentenza impugnata dev’essere cassata nei limiti sopra indicati e, per la sola ripresa afferente alle imposte dirette, la controversia va rinviata alla CTR, in diversa composizione, per verificare, con onere della prova a carico della contribuente, la presenza di componenti positivi fittizi correlati ai componenti negativi ritenuti fittizi, affinchè vengano in tal caso esclusi dalla base imponibile, salva la sanzione, e per il regolamento delle spese di lite.
P.Q.M.
La Corte:
pronunciando sul ricorso, cassa la sentenza impugnata nei limiti di cui in motivazione; rigetta il ricorso nel resto e rinvia alla CTR del Lazio, in diversa composizione, in relazione al profilo accolto e per il regolamento delle spese di lite.
Così deciso in Roma, il 23 aprile 2018.
Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2018
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