LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –
Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 3167/13, proposto da:
B.B., elett.te domic. presso l’avv. A. Imperiali, rappres. e difeso dall’avv. Vittorio De Franco, con procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente –
Contro
Comune di Melissa, in persona del sindaco p.t., elett.te domic.
presso l’avv. G.O. Lagoteta, rappres. e difeso dagli avv.ti Domenico Scrivano e Francesco Poerio con procura speciale in calce al controricorso, in virtù di Delib. Gunta Municipale 26 febbraio 2013, n. 24;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1255/11 emessa dalla Corte d’appello di Catanzaro, depositata il 2.12.2011;
udita la relazione del consigliere, dott. Rosario Caiazzo, nella camera di consiglio del 6 giugno 2018.
RILEVATO
CHE:
B.L.G. citò innanzi al Tribunale di Crotone il comune di Melissa chiedendo il risarcimento dei danni per l’occupazione illegittima di immobili di sua proprietà e il pagamento dell’indennità per il periodo di occupazione legittima; si costituì il comune, resistendo alla domanda.
Intervennero nel giudizio vari soggetti quali comproprietari degli immobili oggetto di causa.
Il Tribunale dichiarò inammissibili le domande degli interventori e si dichiarò incompetente sulla determinazione dell’indennità d’esproprio; rigettò la domanda risarcitoria da occupazione illegittima ritenendo il decreto d’esproprio valido e tempestivo in quanto emesso nel termine di occupazione d’urgenza, prorogato di diritto dalla L. n. 158 del 1991, art. 22.
Il B. propose appello, accolto dalla Corte d’appello di Catanzaro che ha condannato il Comune di Melissa al pagamento della somma pari ai 46/135 dell’importo di Euro 508.899,53 a titolo risarcitorio per la perdita della proprietà, nonchè a titolo risarcitorio per l’occupazione illegittima pari ai 46/135 dell’importo di Euro 155.264,99, oltre rivalutazione e interessi legali su tale ultima somma. Al riguardo, la Corte d’appello ha argomentato dall’illegittimità del decreto d’esproprio poichè non preceduto da valida dichiarazione di pubblica utilità (atteso che gli atti emessi non indicavano i quattro termini di legge), sicchè era emersa la fattispecie dell’occupazione usurpativa, con la conseguente disapplicazione del decreto d’esproprio del 20.12.96.
La Corte di merito ha altresì rilevato che: non poteva dirsi preclusa la riqualificazione dell’azione in termini di occupazione usurpativa anzichè appropriativa (come prospettato dall’attore sul presupposto della mancata emissione del decreto entro la scadenza dei termini di occupazione); era incontestata l’irreversibile trasformazione materiale e funzionale del fondo, coincisa con la realizzazione dei lavori programmati dal comune, esauriti nel settembre 1993 allorchè furono conclusi i lavori della torre e si verificò il definitivo asservimento del fondo agli scopi in vista dei quali lo stesso era stato, anche se illegittimamente, occupato; il risarcimento era stato liquidato al valore di mercato alla data della domanda (1996) secondo la destinazione del fondo come indicata nella c.t.u. (seminativo) e in riferimento al manufatto il cui valore di riproduzione era deprezzato; non competeva l’indennità di occupazione legittima.
B.B. ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi. Si è costituito il comune di Melissa con controricorso.
CONSIDERATO
CHE:
Con il primo motivo è stata denunziata la violazione e falsa applicazione dell’art. 99 c.p.c. per aver la Corte d’appello qualificato la domanda risarcitoria del danno, causato da un procedimento espropriativo caratterizzato dalla nullità della dichiarazione di pubblica utilità, come limitata a conseguire il ristoro dei danni causati a partire dall’occupazione fisica dei beni invece che come diretta a conseguire il ristoro dei danni cagionati da ciascuno degli atti illegittimi commessi. In sostanza, il ricorrente si duole del fatto che il giudice d’appello abbia interpretato in maniera restrittiva la domanda.
Con il secondo motivo è stata dedotta l’omessa indicazione delle ragioni per cui la radicale nullità della dichiarazione di pubblica utilità aveva avuto l’effetto di degradare l’azione della P.A. a mero comportamento materiale illecito a partire dall’occupazione del 28.12.89.
Con il terzo motivo è stata dedotta l’omessa motivazione in relazione al D.P.R. n. 327 del 2001, art. 8 in ordine all’affermazione per cui l’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio non farebbe parte del procedimento espropriativo. Il ricorrente si duole in sostanza del fatto che il risarcimento non avrebbe riguardato anche i danni causati da tutti gli atti compiuti nel corso della procedura espropriativa, come richiesto in domanda, ma solo quelli causati a partire dall’illegittima occupazione dei beni.
Con il quarto motivo è stata denunziata la violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c., lamentando che la Corte d’appello ha ritenuto che l’illecito è stato consumato con il verificarsi dell’irreversibile trasformazione funzionale del terreno, poichè i danni subiti sarebbero derivati anche da atti o fatti precedenti, quali: la Delib. 3 aprile 1986, di variante del progetto di piano regolatore generale (che destinava i terreni a verde attrezzato); la dichiarazione di pubblica utilità senza l’indicazione dei termini di legge; l’occupazione fisica dei terreni senza la previa determinazione dell’indennità provvisoria. Il ricorrente ne ha tratto la deduzione che il danno si sarebbe verificato nel 1986, quando fu apposto il suddetto vincolo, e non nel 1993.
Con il quinto motivo è stata dedotta l’illogicità e contraddittorietà della motivazione nella parte in cui la Corte d’appello ha inteso valorizzare i rilievi della c.t.u. secondo cui buona parte dei terreni non erano edificabili al tempo dell’opposizione del vincolo a verde attrezzato.
Il ricorso è infondato.
Anzitutto, va escluso che il comune di Melissa, con i documenti prodotti, abbia dimostrato di aver concluso con il ricorrente un accordo transattivo attraverso lo scambio di missive inviate nel 2012 da cui si evince anche la comunicazione del codice bancario Iban da parte del B. e l’accredito a suo favore della somma di Euro 100.000,00 quale primo versamento della somma pattuita. Invero, tali documenti non dimostrano la stipula di una transazione, anche considerando che non risulta la rinuncia all’azione, ma piuttosto un accordo sulle modalità di pagamento.
Premesso ciò, il primo e quarto motivo – da esaminare congiuntamente poichè tra loro connessi – sono inammissibili. Il ricorrente lamenta di aver chiesto la condanna al risarcimento non solo dei danni da illecita occupazione, ma anche di quelli da procedimento illegittimo. Tuttavia, tale doglianza, espressa in maniera non chiara, verte su una domanda che sarebbe stata introdotta in primo grado che però non è stata riprodotta nel ricorso che sul punto è, dunque, non autosufficiente.
Inoltre, tale domanda fu proposta per la prima volta nella comparsa conclusionale, come rilevato dalla Corte d’appello in ordine al ristoro dei danni che sarebbero stati cagionati dal vincolo di destinazione a verde attrezzato, preordinato all’esproprio; peraltro, la novità di tale domanda s’evince anche dal fatto che, come risulta dalla sentenza impugnata, essa riguardava un’istanza di indennizzo e non di risarcimento (come invece esposto nel ricorso).
Il secondo motivo è infondato. Il ricorrente si duole che la Corte d’appello abbia omesso d’indicare il motivo per cui ha ritenuto di dover limitare la tutela risarcitoria all’illecita occupazione, senza estenderla agli atti intervenuti prima della dichiarazione di pubblica utilità. Invero, il ricorrente chiese il risarcimento dei danni derivanti dall’occupazione e non anche dai suddetti atti anteriori.
Il terzo motivo è infondato, in quanto nella fattispecie non s’applica il D.P.R. n. 321 del 2001, art. 8 venendo in rilievi fatti anteriori al 1990.
Infine, il quinto motivo è parimenti infondato, avendo il giudice d’appello ampiamente motivato, senza alcuna contraddizione, sulla natura e il valore dei beni occupati, oggetto della pronuncia risarcitoria.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del comune controricorrente, delle spese del giudizio che liquida nella somma di Euro 7200,00 oltre Euro 200,00 per esborsi, la maggiorazione del 15% quale rimborso forfettario delle spese generali e accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 6 giugno 2018.
Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2018