Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.26692 del 22/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22164-2017 proposto da:

E.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA NOMENTANA 257, presso lo studio dell’avvocato MANUELA VENEZIA, rappresentata e difesa dall’avvocato RODRIGO AMOROSO;

– ricorrente –

contro

GROUPAMA ASSICURAZIONI SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANTONIO DIONISI 73, presso lo studio dell’avvocato MARA MANDRE’, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

contro

L.R.D.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 972/2017 del TRIBUNALE di NAPOLI, depositata il 10/04/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 05/07/2018 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA.

RILEVATO IN FATTO

Che:

1. il presente giudizio trae origine da un sinistro stradale avvenuto tra la Sig.ra E.A., mentre era alla guida di un’autovettura di proprietà del Sig. C., e un autocarro di proprietà della ditta Soluzione e Trasporti, assicurato con la compagnia Groupama s.p.a..

LA Sig.ra E. convenne in giudizio la Groupama s.p.a. chiedendo il risarcimento dei danni patiti a causa del sinistro.

Il Giudice di Pace di Afragola, ritenendo che nessuna delle parti avesse provato la colpa esclusiva dell’altra e che la E. non avesse provato di aver effettuato tutte le manovre per evitare il sinistro nonchè l’uso delle cinture di sicurezza, accoglieva parzialmente la richiesta attorea riconoscendo il 50% di responsabilità dei soggetti coinvolti nel sinistro e liquidava il risarcimento in pari guisa.

2. Avverso questa sentenza proponeva appello la E., sostenendo che l’accertamento della esclusiva responsabilità del conducente dell’autocarro assicurato con la Groupama era stata sancita con altra sentenza del medesimo Giudice di Pace (n. 787/2014) resa nella causa promossa dal Sig. C. nei confronti degli stessi convenuti, della quale invocava efficacia riflessa ai sensi dell’art. 2909 c.c.. Sosteneva che le prove raccolte fossero comunque idonee a provare l’esclusiva responsabilità del conducente dell’autocarro e che dalla circostanza che lei non indossasse le cinture di sicurezza non potesse derivarne un pari grado di responsabilità ai sensi dell’art. 2054 c.c., comma 2.

Richiedeva, quindi, il pagamento dell’importo che era stato detratto in ragione del dichiarato concorso di responsabilità.

Si costitutiva in giudizio la Groupama eccependo l’inammissibilità dell’appello ai sensi degli artt. 342 e 348 bis. Contestava la possibilità che la richiamata sentenza potesse aver valore di giudicato in quel giudizio, trattandosi di cause tra parti diversi e con petitum diversi. Sosteneva che il mancato uso da parte della Sig.ra E. delle cinture di sicurezza fosse stato desunto dal Giudice di prime cure sulla base di dati clinici oggettivi e che, comunque, la stessa non aveva provato di averle allacciate.

Il Tribunale di Napoli rigettava l’appello proposto dalla Sig.ra E. ritenendo che la richiamata sentenza n. 787/2014 non potesse acquisire valore di giudicato nel presente giudizio in quanto la signora E. non era stata parte di quel giudizio, nè ricorrevano gli altri requisiti previsti dall’art. 2909 c.c..

Riteneva corretta la ricostruzione del Giudice di prime cure relativamente alla pari responsabilità dei conducenti in quanto non superata la presunzione di responsabilità ex art. 2054 c.c..

Riteneva, invece, non corretta la ricostruzione fatta in primo grado riguardo l’onere della prova circa il mancato uso delle cinture di sicurezza, in quanto detta prova non spettava all’attrice ma l’onere gravava sulla parte convenuta. Sosteneva che, comunque, il mancato raggiungimento della prova in ordine all’omesso uso della cinture di sicurezza non era motivo sufficiente ad escludere il mancato superamento della presunzione di pari responsabilità dei conducenti, con la conseguente decurtazione di una percentuale del 50% dal risarcimento spettante all’appellante.

3. Avverso tale sentenza propone ricorso in cassazione la Sig.ra E., sulla base di tre motivi.

Resiste con controricorso la Groupama s.p.a.

4. E’ stata depositata in cancelleria ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., e regolarmente notificata ai difensori delle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza, la proposta di inammissibilità del ricorso. La ricorrente ha depositato memoria.

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

5. A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, reputa il Collegio, con le seguenti precisazioni di condividere la proposta del relatore.

6.1. Con il primo motivo parte ricorrente lamenta la “violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c.” in quanto il Giudice territoriale avrebbe errato nel ritenere non applicabile al caso la sentenza n. 787/2014 non poichè vi sarebbe identità di giudizio. Così stabilendo il Giudice avrebbe violato il principio dell’efficacia riflessa della sentenza nei confronti del terzo che necessariamente dipende dalla statuizione contenuta in detta sentenza (in questo caso nei confronti della Sig.ra E.).

6.2. Con il secondo motivo parte ricorrente lamenta la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nonchè il vizio di motivazione della sentenza per violazione dell’art. 132 disp. att. c.c., comma 2, n. 4 e art. 118 disp. att. c.c., in riferimento alla discrasia tra deposizione testimoniale e verbale della polizia.

Il Giudice d’appello avrebbe errato nel non rispondere ai motivi di gravame sollevati dall’appellante e nel non vagliare attentamente la deposizione resa nella precedente fase di giudizio.

6.3. Con l’ultimo motivo parte ricorrente lamenta la violazione degli artt. 2054 e 1227 c.c. e dell’art. 118 disp. Att. c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 o, in via subordinata, dell’art. 132 c.p.c. ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Il Giudice d’appello avrebbe confuso il disposto dell’art. 1227 c.c. con quello dell’art. 2054 c.c., confermando la sussistenza di responsabilità concorrente della Sig. E. anche se non era stata raggiunta la piena prova in relazione all’utilizzo, da parte di questa, delle cinture di sicurezza.

7. Il ricorso è inammissibile.

Il ricorso non rispetta il requisito della esposizione sommaria dei fatti, prescritto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, che, essendo considerato dalla norma come uno specifico requisito di contenuto-forma del ricorso, deve consistere in una esposizione che deve garantire alla Corte di cassazione, di avere una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (Cass. sez. un. n. 11653 del 2006). La prescrizione del requisito risponde non ad un’esigenza di mero formalismo, ma a quella di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e o processuali, che permetta di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato (Cass. sez. un. n. 2602 del 2003). Stante tale funzione, per soddisfare il requisito imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3 è necessario che il ricorso per cassazione contenga, sia pure in modo non analitico o particolareggiato, l’indicazione sommaria delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si è fondata la sentenza di primo grado, delle difese svolte dalle parti in appello, ed infine del tenore della sentenza impugnata.

Poichè il ricorso, nell’esposizione del fatto, non rispetta tali contenuti è inammissibile.

E’ inammissibile anche per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6 che oltre a richiedere l’indicazione degli atti, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale il documento risulti prodotto; tale prescrizione va correlata all’ulteriore requisito di procedibilità di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 per cui deve ritenersi, in particolare, soddisfatta:

a) qualora il documento sia stato prodotto nelle fasi di merito dallo stesso ricorrente e si trovi nel suo fascicolo, mediante la produzione del fascicolo, purchè nel ricorso si specifichi che questo è stato prodotto indicando altresì la sede in cui il documento è rinvenibile;

b) qualora il documento sia stato prodotto, nelle fasi di merito, dalla controparte, mediante l’indicazione che il documento è prodotto nel fascicolo del giudizio di merito di controparte, pur se cautelativamente si rivela opportuna la produzione del documento, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, per il caso in cui la controparte non si costituisca in sede di legittimità o si costituisca senza produrre il fascicolo o lo produca senza documento;

c) qualora si tratti di documento -non prodotto nelle fasi di merito- relativo alla nullità della sentenza od all’ammissibilità del ricorso (art. 372 c.p.c.) oppure di documento attinente alla fondatezza del ricorso e formato dopo la fase di merito e comunque dopo l’esaurimento della possibilità di produrlo, mediante la produzione del documento, previa individuazione e indicazione della produzione stessa nell’ambito del ricorso (Cass. S.U. n. 7161/2010; Cass. S.U. n. 28547/2008).

Premessi tali principi, cui il collegio intende dare continuità, si rileva che, in seno al ricorso a) non si rinviene alcun riferimento al contenuto e al tenore della domanda;

b) non vi è cenno alcuno al contenuto delle difese avversarie e delle conseguenti contestazioni;

c) nulla si dice sul tenore della sentenza di primo grado, sui motivi di appello ed infine sulle ragioni della decisione.

L’odierno ricorso, lungi dall’indicare il contenuto degli atti che richiama e sui quali si fonda le doglianze, o dall’allegarli, si limita a riprendere delle parti della deposizione testimoniale e della sentenza, estrapolando frasi e realizzando quasi un collage per sostenere le proprie pretese, ponendosi in netta violazione del principio di autosufficienza del ricorso.

Inoltre, il secondo motivo è inammissibile perchè il ricorrente chiede, sostanzialmente, un nuovo esame del merito delle risultanze istruttorie, attività di esclusiva competenza del giudice di merito e preclusa in sede di legittimità.

La terza censura sarebbe comunque infondata perchè, nonostante il Giudice d’appello abbia ritenuto non provata, da parte dell’assicurazione, la circostanza per cui la Sig.ra E. avesse le cinture di sicurezza allacciate, ha anche concluso che “ciò non esclude il mancato superamento della presunzione ai sensi dell’art. 2054 c.c., comma 2”. Tale affermazione non è derivata da una confusione tra gli artt. 1227 e 2054 c.c., bensì è la logica conclusione di un ragionamento basato sul corretto funzionamento dell’art. 2054 c.c. il quale richiede, ai fini del superamento della presunzione di responsabilità, “la prova contraria”, ovvero la prova dell’esclusiva colpa dell’altro.

7. Pertanto, il ricorso va dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200, ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 5 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2018

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