LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –
Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –
Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –
Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –
Dott. MOSCARINI Anna – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 11171/2016 proposto da:
M.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI TRASONE 8, presso lo studio dell’avvocato ERCOLE FORGIONE, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati PIETRO ROMANO, ANTONIO ROMANO giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
F.G., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati MICHELE TONIATTI, ANDREA PERRON CABUS giusta procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4517/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 25/11/2015;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 25/05/2018 dal Consigliere Dott. ANNA MOSCARINI.
FATTI DI CAUSA
M.C. il giorno ***** riportò delle lesioni alle ossa nasali e agli incisivi inferiori, a seguito di aggressione di F.G.. A seguito di giudizio penale conclusosi con condanna del F., il M. adì il giudice civile per la pronuncia di risarcimento dei danni. Fu disposta consulenza medico-legale, all’esito della quale il Tribunale di Milano condannò il F. a corrispondere la somma di Euro 25.306,20. Il M. propose appello deducendo, in particolare, che erroneamente il giudice di primo grado avesse fatto ricorso ad una liquidazione equitativa del danno malgrado fossero stati acquisiti al giudizio elementi per un giudizio di diritto. La Corte d’Appello di Milano rigettò l’appello, con piena conferma della sentenza di primo grado e condanna dell’appellante a rifondere le spese del grado.
Avverso quest’ultima sentenza M.C. propone ricorso per cassazione affidato a due motivi illustrati da memoria. Resiste con controricorso F.G..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo (violazione e falsa applicazione dell’art. 1226 c.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3), il ricorrente censura la sentenza per aver fatto ricorso ad una liquidazione equitativa del danno anzichè ad una liquidazione risarcitoria basata su elementi oggettivi di danno. Lamenta altresì che i giudici di merito non abbiano calcolato il danno futuro, arrecato dalle lesioni, alle capacità relazionali del M. e dunque alla sua capacità di produzione di reddito, che non abbiano calcolato il danno da invalidità temporanea, il danno morale, il danno biologico, il danno esistenziale, le spese sostenute.
1.1 Il motivo è inammissibile. Non denuncia, in realtà, alcuna violazione di norme di diritto, ma argomenta in fatto, là dove deduce che sarebbe sussistita la prova delle varie tipologie di danni. Sotto tale profilo integra una doglianza sulla ricostruzione della quaestio facti e nemmeno prospetta come e perchè le istanze probatorie che avrebbero fatto parte delle conclusioni in appello sarebbero state a torto ignorate dalla corte territoriale. In particolare, il ricorrente omette di individuare in che termini le conclusioni probatorie erano state supportate con apposito motivo di appello, sicchè non è in alcun modo dimostrato che il giudice d’appello dovesse occuparsene. Peraltro le conclusioni riprodotte nel motivo non coincidono con quelle riprodotte dalla sentenza impugnata e non si dice da quale atto il ricorrente le avrebbe riprodotte, di guisa che, sotto quest’ultimo profilo, il motivo è inammissibile anche per difetto di autosufficienza ex art. 366 c.p.c., n. 6.
2. Con il secondo motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 1223,1226,2056 e 2043 c.c.; art. 115 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè per insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) si censura la sentenza nella parte in cui avrebbe, acriticamente, recepito le valutazioni del CTU senza compiere una valutazione complessiva del danno arrecato alla persona e alla sua capacità di produzione di reddito e senza liquidare il danno patrimoniale futuro.
2.1 Il motivo è inammissibile perchè la censura dell’art. 115 c.p.c., non rispetta le condizioni richieste dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, con specifica indicazione delle medesime al fine di evidenziare la contraddizione tra la statuizione e la norma di riferimento. Per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dall’art. 115 c.p.c.), mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c., che non a caso è rubricato “valutazione delle prove” (Cass., S.U. n. 16598 del 24/5/2016).
Deduce poi il vecchio paradigma dell’art. 360, n. 5 e non argomenta, se non come risultato delle censure sulla quaestio facti precluse dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (alla stregua di Cass., Sez. Un. nn. 8053 e 8054 del 2014), la violazione delle norme di diritto indicate nella intestazione.
E’, inoltre, totalmente inosservante dell’art. 366 c.p.c., n. 6, dato che evoca la CTU e circostanze di fatto delle quali non fornisce alcuna specifica indicazione.
3.Conclusivamente il ricorso va dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. Sussistono i presupposti del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, per porre, a carico del ricorrente, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello versato per il ricorso.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 5.600 (oltre Euro 200 per esborsi), più accessori di legge e spese generali al 15%. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 25 maggio 2018.
Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2018
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