LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –
Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –
Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 25138-2017 proposto da:
D.S.C., M.G., M.T., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CRESCENZIO N 62, presso lo studio dell’avvocato FLAVIO NICOLOSI, rappresentati e difesi dagli avvocati EMANUELE RUGGERI, CARMELO BRIGUGLIO;
– ricorrente –
contro
MA.SA., MA.CO.;
– intimate –
contro
CITTA’ METROPOLITANA DI MESSINA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA OVIDIO 20, presso lo studio dell’avvocato ALBERTO MARCHETTI, rappresentata e difesa dall’avvocato ALDO TIGANO;
– resistente –
avverso la sentenza n. 742/2016 della CORTE D’APPELLO DI MESSINA, depositata il 29/11/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio partecipata del 13/09/2018 dal Consigliere Dott. DELL’UTRI MARCO.
RILEVATO
che, con sentenza resa in data 29/11/2016, la Corte d’appello di Messina, decidendo quale giudice del rinvio a seguito della sentenza della Corte di cassazione n. 17192 del 9/10/2012, in parziale riforma della sentenza di primo grado, per quel che ancora rileva in questa sede, ha condannato la Provincia Regionale di Messina al risarcimento, in favore di D.S.C., M.T. e M.G., quali eredi di M.S., dei danni dagli stessi subiti a seguito dell’illegittima occupazione, da parte dell’amministrazione provinciale di Messina, di un fondo degli istanti, originariamente occupato in modo legittimo, a fini di espropriazione, e successivamente restituito, senza il compimento di alcuna attività espropriativa, solo dopo l’intervenuta scadenza del termine di occupazione legittima;
che, a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale, dopo aver rilevato il carattere illecito del comportamento dell’amministrazione provinciale messinese (in relazione al periodo di occupazione successivo alla scadenza del termine di occupazione legittima), ha liquidato il danno subito dagli eredi di M.S., determinandolo equitativamente con riferimento agli interessi legali, per ogni anno di occupazione, sulla somma corrispondente all’ipotetica indennità di espropriazione del bene, da determinarsi sulla base del relativo valore venale;
che, avverso la sentenza del giudice del rinvio, D.S.C., M.T. e M.G., propongono ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo d’impugnazione;
che la Città Metropolitana di Messina (già Provincia Regionale di Messina) si è formalmente costituita nel giudizio di legittimità;
che, a seguito della fissazione della camera di consiglio, sulla proposta di definizione del relatore emessa ai sensi dell’art. 380-bis la Città Metropolitana di Messina ha presentato memoria.
CONSIDERATO
che, con l’unico motivo d’impugnazione proposto, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 2043,2056,1224 e 1226 c.c., nonchè per omesso esame di fatti decisivi controversi (in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), per avere la corte territoriale erroneamente omesso di riconoscere la rivalutazione monetaria sulle somme liquidate a titolo risarcitorio, nonostante le stesse avessero assunto, quale parametro di commisurazione, valori di stima dei terreni occupati risalenti al 1984, e nonostante la pacifica natura di valore del debito relativo all’obbligazione risarcitoria oggetto d’esame;
che il motivo è inammissibile;
che, al riguardo, osserva il Collegio come, ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1, dev’essere riconosciuta l’inammissibilità del ricorso per cassazione quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto sottoposte al suo esame in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa;
che, in particolare, in tema di giudizio di legittimità, anche un solo precedente, se univoco, chiaro e condivisibile, integra l’orientamento della giurisprudenza della Suprema Corte di cui all’art. 360-bis c.p.c., n. 1, con conseguente dichiarazione di inammissibilità del relativo ricorso per cassazione che non ne contenga valide critiche (Sez. 6 3, Ordinanza n. 4366 del 22/02/2018, Rv. 648036 – 02);
che, nel caso di specie, il giudice a quo ha determinato il risarcimento del danno da occupazione illegittima della p.a. uniformandosi all’orientamento già fatto proprio dalla giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale, nell’ipotesi in cui l’occupazione di un suolo si protragga oltre la scadenza del termine di occupazione legittima, senza che si verifichi la perdita della proprietà per irreversibile destinazione, il danno derivante dalla mera illegittima occupazione può essere determinato – ove il proprietario del bene non fornisca la prova di un danno maggiore – avvalendosi del criterio sussidiario ed equitativo degli interessi legali per ogni anno di occupazione sulla somma corrispondente all’indennità di espropriazione del bene, posto che detta indennità, rispecchiando le caratteristiche oggettive dell’immobile, è idonea a fungere in via presuntiva da parametro pienamente reintegrativo del pregiudizio subito dal patrimonio del danneggiato (Sez. 1, Sentenza n. 17142 del 27/08/2004, Rv. 577254 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 2952 del 27/02/2003, Rv. 560738 – 01);
che, rispetto a tali arresti della giurisprudenza di legittimità, gli odierni ricorrenti hanno sostanzialmente omesso di confrontarsi in termini diretti, limitandosi a esprimere unicamente il proprio dissenso (con specifico riguardo al mancato riconoscimento della rivalutazione monetaria sugli importi liquidati a titolo risarcitorio) attraverso il richiamo di precedenti giurisprudenziali da ritenersi non decisivi o pertinenti;
che, infatti, la natura puramente equitativa del criterio utilizzato dal giudice a quo, per la liquidazione del danno sofferto dagli odierni ricorrenti, non è valso, a sottrarre, al debito risarcitorio in tal modo determinato, la natura sua propria di debito di valore sin dall’origine, attesa la natura meramente parametrica del ricorso alla misura degli interessi legali calcolati anno per anno sul valore venale del bene;
che tale parametro (propriamente richiamato al solo scopo di individuare un valore risarcitorio), in quanto espressione di un metodo operativo di determinazione equitativa del danno, deve ritenersi legittimamente utilizzato nel caso di specie, avendo la corte territoriale adeguatamente tenuto conto delle caratteristiche oggettive del bene temporaneamente occupato (attraverso il riferimento al relativo valore venale) e di una misura quantitativa (gli interessi legali anno per anno) significativamente riferibile, sul piano reintegrativo, al pregiudizio subito dal patrimonio dei danneggiati, in conformità all’insegnamento della giurisprudenza di legittimità in precedenza richiamato;
che ogni ulteriore questione sollevata in relazione alla sostanziale congruità dell’importo risarcitorio determinato, in quanto destinata a coinvolgere la valutazione critica del merito della controversia, deve ritenersi sottratta alla competenza del giudice di legittimità;
che, pertanto, sulla base di tali premesse, dev’essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso, cui segue la condanna dei ricorrenti al rimborso, in favore dell’amministrazione controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, secondo la liquidazione di cui al dispositivo, oltre l’attestazione della sussistenza dei presupposti per il pagamento del doppio contributo, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 5.200,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3, il 13 settembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2018
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