LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ORICCHIO Antonio – Presidente –
Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –
Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –
Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
(art. 380-bis.1 c.p.c.) sul ricorso (iscritto al N.R.G. 14352/14) proposto da:
P.R., (C.F.: *****), rappresentato e difeso, in forza di procura speciale a margine del ricorso, dall’Avv. Vincenzo Gurrado ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. Maria Rosaria Costa, in Roma, v. Cassiodoro, n. 6;
– ricorrente –
contro
AZIENDA TERRITORIALE PER L’EDILIZIA RESIDENZIALE DI MATERA –
A.T.E.R., (P.I.: *****), in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale a margine del controricorso, dall’Avv. Paola Tucci ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. Valerio Santagata, in Roma, v. Silla, n. 2/A;
– controricorrente –
Avverso la sentenza della Corte di appello di Potenza n. 339/2013, depositata il 26 aprile 2013 (non notificata).
RILEVATO IN FATTO
Con sentenza n. 396/2011, depositata il 7 settembre 2011, il Tribunale di Matera, in composizione monocratica, rigettava la domanda proposta da P.R. nei confronti dell’A.T.E.R. affinchè, previa dichiarazione di nullità ovvero di inefficacia del contratto di locazione stipulato fra le parti in data 1 dicembre 2003, fosse accertato il suo diritto ad ottenere in assegnazione l’abitazione sita al ***** (*****), con antistante terreno, allo stesso prezzo di acquisto con il quale l’azienda convenuta lo aveva precedentemente acquistato dall’Esab.
Decidendo sull’appello formulato dal soccombente attore e nella costituzione dell’A.T.E.R., la Corte di appello di Potenza, con sentenza n. 339/2013 (depositata il 26 aprile 2013), respingeva il gravame, condannando l’appellante alla rifusione delle spese del grado.
A sostegno dell’adottata decisione, la Corte di secondo grado riteneva infondati tutti i motivi posti a fondamento del gravame riguardanti la fidefacienza del verbale redatto dai vigili urbani in data 6 luglio 2001, la contestazione dell’assoggettamento del controverso immobile al regime dell’edilizia residenziale pubblica e al mancato esame, da parte del giudice di prima istanza, della domanda diretta ad ottenere l’assegnazione definitiva dell’alloggio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Avverso la suddetta sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione, articolato in tre motivi, il P.R., al quale ha resistito con controricorso l’intimata Azienda Territoriale per l’Edilizia Residenziale Pubblica di Matera, illustrato da memoria depositata ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..
2. Con la prima censura il ricorrente ha dedotto la supposta violazione ed errata applicazione degli artt. 2699 e 2700 c.c., circa la ritenuta fidefacienza privilegiata del rapporto informativo dei vigili urbani del Comune di Matera in ordine alle riportate informazioni relative agli accertamenti circa l’occupazione del controverso alloggio.
3. Con il secondo motivo il ricorrente ha prospettato l’asserita violazione ed errata applicazione degli artt. 11 e 15 disp. att. c.c., nonchè della L. n. 619 del 1952 (con particolare riferimento agli artt. 1, 3, 6, 7, 10, 11, 12, 13 e 14), della L. n. 771 del 1986 (con riguardo all’art. 14) e della L.R. Basilicata n. 31 del 1999 (vigente “ratione temporis” ed in ordine ai suoi artt. 1 e 2), in relazione alla ravvisata applicabilità, nella fattispecie, della disciplina in tema di edilizia residenziale pubblica, come prevista dalla L.R. Basilicata n. 24 del 2007.
4. Con la terza doglianza il ricorrente ha denunciato la violazione ed errata applicazione della L. n. 619 del 1952 cit., artt. 7 e 14 e della indicata L. n. 771 del 1986, art. 14, avuto riguardo alla rilevata infondatezza della domanda di esso P. solo perchè la legge non prevedeva un obbligo in capo all’avversa Azienda di cessione dell’alloggio, che, invece, avrebbe potuto essere chiesto a tale titolo dall’assegnatario previo pagamento della differenza tra il 50% del prezzo della costruzione e le somme già versate a titolo di canone locativo.
5. Rileva il collegio che il primo motivo è da ritenersi infondato con il suo conseguente rigetto.
Infatti, la Corte lucana ha – nella sentenza impugnata – legittimamente ritenuto che il contestato verbale di accertamento dei vigili urbani facesse fede fino a querela di falso delle circostanze direttamente cadute sotto la loro percezione e non, invece, riferite all’esito di accertamenti effettuati tramite l’assunzione di informazioni apprese da altri soggetti o scaturite da una mera indagine documentale. In particolare, il giudice di secondo grado ha dato adeguatamente atto che dal verbale in questione era emerso che il vigile che provvide all’ispezione e alla redazione delle operazioni aveva direttamente constatato che il P.R. occupava l’immobile al piano terra mentre il primo piano era occupato dal nucleo familiare di P.M.. Tali circostanze erano, peraltro, rimaste avvalorate dalle certificazioni anagrafiche dalle quali si era potuto evincere che il ricorrente occupava stabilmente l’immobile e che non ricorreva una ipotesi di mera ospitalità, considerando anche l’avvenuta realizzazione di due diversi ed indipendenti ingressi.
6. Anche la seconda censura si profila destituita di fondamento e va respinta. Invero, la Corte territoriale – con riferimento alla specifica fattispecie – ha compiuto un’adeguata disamina del quadro normativo concretamente applicabile sia sulla base dell’originaria disciplina di cui alla L. n. 619 del 1952 e che del successivo disposto della L. n. 771 del 1986, art. 14, comma 5, dal quale lo stesso giudice di appello – conformemente a quello di prime cure ha desunto come il rapporto locativo instaurato con gli assegnatari degli alloggi costruiti per il risanamento dei Sassi di Matera era da ritenersi assoggettato alla disciplina di edilizia residenziale pubblica. Del resto – come sottolineato dalla controricorrente – della L. base n. 619 del 1952, stesso art. 10, comma 4, (come aggiunto dalla L. 28 febbraio 1967, n. 126, art. 4), si sarebbe dovuta evincere l’applicabilità delle norme sull’edilizia residenziale pubblica anche agli immobili realizzati proprio ai sensi della medesima legge. Tale disposizione prevede (va), infatti, che “gli alloggi costruiti in applicazione delle presenti norme o delle precedenti leggi sul risanamento dei rioni “Sassi”, ove si rendessero per qualsiasi causa disponibili, sono utilizzati per i fini e secondo le vigenti leggi sull’edilizia popolare con preferenza nei confronti degli abitanti dei rioni stessi”.
Perciò, la Corte potentina – in base ad una corretta indagine ermeneutica complessiva – ha legittimamente escluso che la L. n. 619 del 1952 avesse in qualche modo previsto una disciplina specifica e derogatrice rispetto alle norme generali in materia, ancorchè gli alloggi fossero stati costruiti con fondi statali. A tal proposito il giudice di appello ha aggiunto – in chiave interpretativa di supporto – che, a seguito del trasferimento delle competenze legislative in materia alle Regioni, quella lucana, con la L.R. n. 24 del 2007 (con specifico riferimento all’art. 2), aveva stabilito che le relative norme si sarebbero dovute applicare a tutti gli alloggi, acquisiti, realizzati o recuperati da enti pubblici a totale carico o con il concorso o contributo dello Stato, o di enti pubblici territoriali o di enti pubblici non economici, utilizzati per le finalità sociali proprie dell’edilizia residenziale pubblica.
Quanto alla dedotta violazione degli artt. 11 e 15 preleggi, si ritiene che essa sia insussistente poichè la Corte di appello, pur richiamando la citata L.R. n. 24 del 2007, art. 2, con la sua decisione non è intervenuta su un rapporto già esaurito (essendo ancora in corso la locazione tra le parti in causa) e non ha posto in discussione l’applicabilità – “ratione temporis” – degli effetti della disciplina precedentemente apportata dalla L.R. n. 31 del 1999, ponente riferimento alle suddette L. n. 619 del 1952 e L. n. 771 del 1986, nelle quali come già evidenziato – non era stata dettata alcuna regolamentazione propriamente speciale inerente alle vicende locative degli alloggi realizzati a seguito del risanamento del c.d. “Rione Sassi”, le quali, perciò, erano rimaste assoggettate alla regolamentazione prevista per l’edilizia residenziale pubblica. Per effetto del ricostruito quadro normativo e della disciplina in concreto applicabile la Corte di appello ha, dunque, escluso in modo conferente che ricorressero – nel rapporto instauratosi tra l’ATER e il ricorrente – ragioni di nullità contrattuali, sia di tipo testuale che virtuale, tali, cioè, da comportare l’invalidità del rapporto di locazione dedotto in giudizio risalente al 1 dicembre 2003.
7. Anche l’ultimo motivo è destituito di fondamento poichè il coacervo normativo sul quale il ricorrente ha basato la sua censura non prevedeva come ha correttamente rilevato la Corte lucana – un vero e proprio obbligo in capo all’ATER di provvedere all’assegnazione definitiva dell’alloggio soggetto alla disciplina dell’edilizia residenziale pubblica in favore dei possessori, stabilendo una mera facoltà in capo all’Istituto stesso. Del resto non è risultato contestato che il P.R. non avesse chiesto la cessione in proprietà dell’immobile (non emergendo alcuna comunicazione in proposito, senza, peraltro, trascurare il dato importante che una tale richiesta avrebbe presupposto la già intervenuta assegnazione), mentre l’ATER aveva accolto la sua domanda di assegnazione per regolarizzare l’occupazione senza titolo concedendogli l’appartamento in locazione.
8. In definitiva, il ricorso deve essere integralmente respinto, con la conseguente condanna, in virtù del principio della soccombenza, del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano come in dispositivo.
Va dato, infine, anche atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dello stesso ricorrente, del raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 3.100,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre iva, cap e contributo forfettario nella misura del 15% sulle voci come per legge.
Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, del raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 29 maggio 2018.
Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2018
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