Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.27327 del 29/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15797-2017 proposto da:

S.M.C., C.S., C.F., SC.RO.FR., SA.GI. SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CARLO CONTI ROSSINI 95, presso lo studio dell’avvocato MARTINA SILVESTRINI, rappresentati e difesi dall’avvocato ORESTE NATOLI;

– ricorrenti –

contro

B.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ANTONIO GRAMSCI 20, presso lo studio dell’avvocato MANLIO LENTINI, rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE DI STEFANO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 955/2016 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 18/05/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 10/07/2018 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI.

RILEVATO

che:

il Tribunale di Termini Imerese, rigettata la domanda di simulazione, accolse l’azione revocatoria proposta da B.M. nei confronti di C.S., SA.GI. s.r.I., S.M.C., C.F. e Sc.Ro.Fr., in relazione alla vendita di cespiti immobiliari effettuata – con tre distinti atti (due del ***** e uno del *****) – da C.S., che era debitore del B. in forza di sentenza del 23.7.2004 emessa dal Giudice del Lavoro di Termini Imerese (per un importo precettato di 14.194,57 Euro);

la Corte di Appello di Palermo ha rigettato il gravame proposto da tutti gli originari convenuti, che – con unico ricorso – hanno impugnato per cassazione la sentenza di secondo grado affidandosi a quattro motivi; ha resistito l’intimato con controricorso; i ricorrenti hanno depositato memoria;

il ricorso è stato avviato all’adunanza camerale ex art. 380 bis c.p.c., con proposta di parziale accoglimento che non è stata condivisa dal Collegio.

CONSIDERATO

che:

il primo motivo (che deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 2901 c.c. e l’omesso esame di un fatto decisivo) è infondato sia nella parte in cui contesta alla Corte di non avere riconosciuto rilevanza alla possibilità del B. di soddisfarsi sul credito per residuo prezzo vantato dall’alienante nei confronti degli acquirenti (pari, nel complesso, a circa 90.000,00 Euro), sia nella parte in cui lamenta che la Corte ha omesso di valutare che, al momento della stipula dei primi due contratti di vendita (giugno 2005), difettava il requisito dell’eventus damni in considerazione del fatto che il C. rimaneva proprietario di un altro immobile (quello alienato nel mese di luglio 2005) che, avendo un valore di oltre 90.000,00 Euro, risultava idoneo a soddisfare ampiamente il credito del B.;

quanto al primo profilo, la Corte ha correttamente rilevato che la maggiore difficoltà di realizzazione del credito costituisce, di per sè, pregiudizio idoneo a giustificare l’accoglimento della revocatoria;

quanto al secondo profilo, il ricorso non si confronta col dato (risultante a pag. 1 della motivazione della sentenza) che l’immobile alienato per ultimo era gravato di una ipoteca legale di rilevante importo e con l’ulteriore dato (evidenziato a pag. 4 della sentenza) della pendenza di un giudizio che avrebbe accertato a carico di C.S. un ulteriore debito di oltre 116.000,00 Euro; elementi che privano di fondamento l’assunto circa la possibilità del B. di soddisfare agevolmente il proprio credito aggredendo l’immobile escluso dalle vendite del giugno 2005;

il secondo motivo (che denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 2727,2729 e 2901 c.c., oltre all’omesso esame di un fatto decisivo) attiene ai requisiti soggettivi dell’azione revocatoria e censura la sentenza per avere presunto la scientia damni negli acquirenti in difetto di una pluralità di indizi gravi e concordanti;

il motivo è inammissibile in quanto basato su una lettura parziale della sentenza (che, prima di richiamare l’orientamento secondo cui la presunzione potrebbe fondarsi anche su un unico indizio, purchè preciso e grave, rileva come gli indizi individuati dal Tribunale fossero “molteplici e fondati”, così basando in primis l’affermazione della sussistenza della scientia damni sull’adesione alla pronuncia di primo grado) e volto, nella sostanza, a sollecitare un diverso apprezzamento di merito;

il terzo motivo (avente rubrica identica a quella del secondo) censura la sentenza per avere escluso che la vendita alla SA.GI. fosse avvenuta in adempimento di un preliminare: assumono i ricorrenti che la Corte ha erroneamente ritenuto non sufficientemente probanti le scritture contabili da cui emergeva il versamento di acconti e sostengono che, al contrario, sussisteva prova documentale del fatto che l’atto di alienazione era da ricollegare ad un preliminare anteriore al sorgere del credito (il che avrebbe reso necessaria la dimostrazione della dolosa preordinazione dell’atto);

il motivo è inammissibile in quanto mira a superare (sollecitando un diverso apprezzamento di merito sul punto) la valutazione della Corte circa la mancata documentazione dell’esistenza di un contratto preliminare;

il quarto motivo (“violazione o falsa applicazione dell’art. 2901 c.c. e art. 345 c.p.c.”) è infondato in quanto non supera la ratio decidendi con cui la Corte ha escluso la possibilità di esaminare la circostanza che le somme ricavate dalla vendita sarebbero state utilizzate per estinguere precedenti posizioni debitorie (ratio basata sul rilievo della novità della questione, in quanto dedotta solo in sede di appello); infatti, non risulta condivisibile l’assunto secondo cui il “tema di indagine” originariamente dedotto in causa dall’attore fosse tale da ricomprendere anche la difesa circa l’avvenuta estinzione di crediti precedenti e risultano inconferenti rispetto al contenuto della decisione le deduzioni circa la tempestività della produzione documentale, che è del tutto irrilevante ai fini della valutazione della novità della questione (giacchè la mera produzione di documenti non è, di per sè, idonea a introdurre nel thema decidendum una questione che, per essere tale, necessita di essere esplicitata);

al rigetto del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese di lite;

sussistono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese di lite, liquidate in Euro 2.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, al rimborso degli esborsi (liquidati in Euro 200,00) e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 10 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2018

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