Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.27366 del 29/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2636/2017 proposto da:

C.A., rappresentato e difeso dagli Avvocati DANIELA MOCELLA e MARCO MOCELLA ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. Simona Donati, in ROMA, LUNGOTEVERE PIETRA PAPA 185;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro-tempore, rappresentato e difeso per legge dalla AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso la quale domicilia ex lege, in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 5126/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositato il 23/06/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/06/2018 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

FATTI DI CAUSA

In data 30.12.2005 l’INPS proponeva opposizione al decreto ingiuntivo n. 233/2005, emesso dal Giudice del Lavoro presso il Tribunale di Nola, con il quale si ingiungeva all’INPS di pagare in favore di C.A. la somma di Euro 23.664,06 a titolo di TFR e ultime tre mensilità. Il giudizio veniva rinviato d’ufficio per tre volte, dall’udienza di prima comparizione del 10.10 2007 all’ultima del 14.7.2010, nella quale i procuratori delle parti si riportavano ai rispettivi scritti e chiedevano decidersi la causa. Con sentenza n. 1566/2010, depositata il 14.10.2010, il Giudice del Lavoro presso il Tribunale di Nola accoglieva, tra l’altro, l’opposizione proposta dall’INPS.

Ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 2 e ss., il C. adiva la Corte d’Appello di Roma per far valere il proprio diritto a ottenere un’equa riparazione per i danni morali subiti, ritenendo che il processo avesse avuto un’eccessiva durata di 4 anni e 7 mesi nel solo primo grado e che, pertanto, vi era stata una violazione dell’art. 6 C.E.D.U., par. 1, sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole, per cui il C. aveva diritto all’equa riparazione L. n. 89 del 2001, ex art. 2.

Si costituiva il Ministero della Giustizia, in persona dell’Avvocatura Generale dello Stato, contestando la domanda.

Con decreto n. 5126/2016, depositato in data 23.6.2016, il Collegio rigettava il ricorso, con condanna dell’istante alle spese.

Avverso detto decreto propone ricorso per cassazione C.A. sulla base di un motivo; resiste il Ministero con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente il Ministero controricorrente eccepisce l’inesistenza della notifica, effettuata con messaggio PEC del ricorso per cassazione in data 20/1/2017, perchè asseritamente priva del ricorso medesimo.

L’eccezione va rigettata in quanto – anche a prescindere dalla considerazione che la dedotta mancata trasmissione del ricorso per cassazione è evidenziata in un mero appunto anonimo in calce al messaggio di posta certificata, che viceversa attesta la notificazione del ricorso – va comunque rilevato che, in tema di notificazione al difensore mediante invio dell’atto tramite posta elettronica certificata, nel momento in cui il sistema genera la ricevuta di accettazione e di consegna del messaggio nella casella del destinatario, si determina, analogamente a quanto avviene per le dichiarazioni negoziali ai sensi dell’art. 1335 c.c., una presunzione di conoscenza da parte dello stesso, il quale, pertanto, ove deduca la nullità della notifica, è tenuto a dimostrare le difficoltà di cognizione del contenuto della comunicazione correlate all’utilizzo dello strumento telematico (Cass. n. 25819 del 2017).

2. Con il motivo di ricorso, il C. lamenta la “Violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, artt. 2 e ss., con riferimento alla consolidata giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sull’art. 6 C.E.D.U., par. 1, nonchè sugli artt. 13,32,35 e 41, sulla non necessità della prova del danno non patrimoniale e sull’irragionevole divario con i parametri della stessa Corte Europea; dell’art. 1224 c.c., dell’art. 2056c.c., dell’art. 737c.p.c., dell’art. 111Cost., comma 6 e art. 117 Cost., comma 1, artt. 415 c.p.c., commi 2 e 3, art. 418c.p.c., commi 1 e 2, art. 420c.p.c., comma 6, art. 429c.p.c. e art. 81 disp. att. c.p.c., artt. 645 e 646 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”. Secondo il ricorrente, la Corte d’appello ha errato nel ritenere che il processo presupposto abbia avuto una durata inferiore a tre anni – sull’assunto che il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo sia iniziato con la notifica dell’atto di opposizione (in data 10.2.2007) -, in quanto, trattandosi di materia di lavoro, esso si propone con ricorso.

2.1. Il motivo è fondato.

2.2. La Corte di merito ha erroneamente ritenuto che il tempo intercorso tra l’epoca di introduzione del giudizio e la data della sentenza conclusiva non abbia ecceduto il termine di tre anni (previsto per il giudizio di primo grado dalla L. n. 89 del 2001, art. 2 bis, nel testo sostituito dal D.L. n. 83 del 2012, art. 55, comma 1, lett. a), convertito nella L. n. 134 del 2012). Ciò, nella altrettanto errata identificazione del momento della instaurazione del giudizio presupposto nella notificazione del relativo ricorso di opposizione a decreto ingiuntivo da parte dell’INPS.

La Corte di merito non ha rilevato che – trattandosi di una opposizione a d.i. di lavoro – la stessa si propone con ricorso e non con citazione (Cass. n. 797 del 2013); per cui la data da prendere in considerazione quale inizio del giudizio presupposto è quella del deposito in cancelleria del ricorso in opposizione (cioè il 30.12.2005) e non già quella della sua successiva notificazione.

3. Il ricorso, pertanto, deve essere accolto. Il decreto impugnato va cassato, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Roma, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa il decreto impugnato, in relazione alla censura accolta, e rinvia lo stesso alla Corte d’appello di Roma, altra sezione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 18 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2018

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