LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –
Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –
Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –
Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 15515/2016 proposto da:
B.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA EMANUELE GIANTURCO 5, presso lo studio dell’avvocato DANILO GRANITO, rappresentato e difeso dall’avvocato ULISSE MELEGA giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
O.G., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MONICA MORELLI giusta procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrente –
e contro
F.M.;
– intimata –
nonchè da:
F.M., domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato B.P. giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
O.G., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MONICA MORELLI giusta procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrente –
nonchè da:
B.P.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 631/2016 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 14/04/2016;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/09/2018 dal Consigliere Dott. ANTONELLA DI FLORIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PEPE Alessandro, che ha concluso per il rigetto integrale del ricorso F. e accoglimento dei motivi 2 e 3 del ricorso B.;
udito l’Avvocato ANDREA BERTUZZI per delega;
udito l’Avvocato B.P..
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. F.M. e B.P., con separati ricorsi affidati, ciascuno, a quattro motivi, chiedono la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Bologna che, nel giudizio di rinvio conseguente alla pronuncia di questa Corte n 28229/2013, aveva accolto l’impugnazione proposta da O.G. avverso la sentenza di rigetto del Tribunale di Bologna: all’esito del giudizio rescissorio, i giudici d’appello avevano condannato la F. a corrispondergli una somma mensile per il mancato godimento della quota del 50% dell’immobile indiviso che egli aveva acquistato da S.S., coniuge separato e poi divorziato della stessa che, proprietaria della restante parte, ne aveva ottenuto, per l’intero, l’assegnazione come casa coniugale; avevano condannato, l’avv.to B., quale difensore antistatario della F., alla restituzione della somma a lui corrisposta per spese legali in esecuzione della sentenza cassata dalla Corte remittente; e, per ciò che interessa in questa sede, avevano condannato, altresì1in solido entrambi gli odierni ricorrenti alla rifusione delle spese del giudizio di rinvio e di quello di cassazione, disponendo in ordine alla ripartizione interna delle somme complessivamente liquidate.
2. L’intimato ha resistito in relazione ad entrambi i ricorsi. Il ricorrente B. ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Sul ricorso di F.M.
Con il primo ed il secondo motivo, da esaminarsi congiuntamente per la stretta connessione logica, la ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5: a. la violazione e falsa applicazione degli artt. 99,100, 112,113,324 e 394, e degli artt. 2901,2902,2909 e 2969 c.c., nonchè “la violazione del giudicato esterno formatosi precedentemente e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti”: assume, al riguardo, che la Corte di Cassazione con la sentenza resa nel giudizio rescindente (Cass. 23229/2013) aveva cassato la pronuncia della Corte territoriale accogliendo la censura del ricorrente relativa alla data di decorrenza dell’assegnazione della casa coniugale; che la Corte di rinvio aveva successivamente statuito sul punto, senza tener conto della sentenza del Tribunale di Bologna n 1058/2012, nel frattempo passata in giudicato, con la quale, in accoglimento dell’azione revocatoria da lei esperita in relazione all’atto di vendita della quota dell’immobile dalla quale derivavano le pretese de quo, ne aveva dichiarato l’inefficacia, ed aveva accertato l’accordo fraudolento posto in essere ai suoi danni; che tale fatto -oggetto di statuizione ormai definitiva e decisivo per il giudizio – doveva essere esaminato dalla Corte territoriale che, invece, lo aveva ignorato.
b. la violazione e falsa applicazione degli artt. 99,100,112,113,324 e 394, e degli artt. 1261,1418,1343,2035,2909 e 2969 c.c., in relazione agli artt. 3,4 e 5 c.p.c., per violazione di legge e violazione del giudicato esterno nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che era stato oggetto di discussione fra le parti: lamenta, al riguardo, che l’accertamento contenuto nella sentenza che aveva dichiarato inefficace l’atto di cessione, imponeva alla Corte di rinvio di riesaminare anche, d’ufficio, l’eccezione – già officiosamente sollevata dal Tribunale ed avente per oggetto, ex art. 1261 c.c., il divieto, per l’ O. che era il difensore del S., di rendersi cessionario della quota oggetto della compravendita dichiarata inefficace, con perdita della legittimazione attiva ad agire nei suoi confronti.
1.1. La prima censura è inammissibile.
Si osserva, infatti, che con la sentenza di rinvio, questa Corte ha specificamente esaminato la questione oggetto di rilievo, affermando testualmente che era irrilevante “la cessione da parte della convenuta della propria quota e, tantomeno, la dedotta pronuncia di inefficacia ex art. 2901 c.c., della cessione della quota all’attore per effetto di azione revocatoria promossa dalla convenuta medesima, stante la funzione limitata di quella azione (essendo l’atto di disposizione dichiarato inefficace soltanto per consentire al creditore di promuovere l’azione esecutiva) e non risultando la copia della sentenza prodotta (con la memoria ex art. 378 c.p.c.) munita dell’attestazione dell’avvenuto passaggio in giudicato.” (cfr. pag. 9 e 10 della sentenza Cass. 29229/2013).
Il rilievo è stato, pertanto, già affrontato con esaustiva motivazione e ciò ne preclude un nuovo esame in questa sede: questa Corte, infatti, ha avuto modo di chiarire che “in ragione della struttura “chiusa” propria del giudizio di rinvio, cioè della cristallizzazione della posizione delle parti nei termini in cui era rimasta definita nelle precedenti fasi processuali fino al giudizio di cassazione e più precisamente fino all’ultimo momento utile nel quale detta posizione poteva subire eventuali specificazioni (nei limiti e nelle forme previste per il giudizio di legittimità, specie quelle dell’art. 372 c.p.c.), il giudice di rinvio può prendere in considerazione fatti nuovi incidenti sulla posizione delle parti, senza violare il divieto di esame di punti non prospettati o prospettabili dalle parti fino a quel momento, soltanto a condizione che si tratti di fatti dei quali, per essere avvenuta la loro verificazione dopo quel momento, non era stata possibile l’allegazione, con l’eccezione che la nuova attività assertiva ed istruttoria non sia giustificata proprio dalle statuizioni della Corte di Cassazione in sede di rinvio.” (cfr. ex multis Cass. 7656/2011; Cass. 16294/2003; Cass. 19950/2004; Cass. 11962/2005; Cass. 11411/2018).
1.2. Nel caso in esame, l’accertamento oggetto della sentenza che ebbe ad accogliere l’azione revocatoria proposta dalla F. e la rilevanza di essa all’interno del giudizio in esame sono stati già vagliati nella sentenza resa a conclusione della fase rescindente e, pertanto, la questione non poteva essere riesaminata in sede di rinvio: l’assenza di statuizione sul punto da parte della Corte territoriale sfugge, pertanto, alla censura proposta.
2. Ma anche il secondo motivo – che trova presupposto nel primo – è inammissibile, in quanto propone una questione nuova visto che, pur rilevata incidentalmente dal giudice di primo grado, non è stato oggetto di allegazione e di statuizione nè nella sentenza n 28229/2013 di questa Corte nè in quella rescissoria della Corte territoriale; a ciò si aggiunge che l’argomento risulta privo di autosufficienza, visto che non viene affatto specificato in quali giudizi l’ O. sia stato difensore del S..
3. Con il terzo motivo ed il quarto motivo, anch’essi da esaminare congiuntamente in quanto strettamente collegati, la ricorrente deduce:
a. ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1101,1219,1350,2697 e 2729 c.c., e degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti: lamenta, al riguardo, che manca del tutto la prova, della quale era onerato l’ O., della richiesta di utilizzo della quota di cui era divenuto proprietario nonchè della occupazione, da parte della ricorrente, della quota dell’immobile da lui acquistato;
b. ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 101 e 102 c.p.c., per omessa integrazione del contraddittorio nei confronti della figlia S.S., acquirente della sua quota da data antecedente (13.6.2001) a quella in cui era stata fissata (15.7.2002) la decorrenza dell’indennizzo.
3.1. La prima censura è inammissibile in quanto maschera una richiesta di rivalutazione nel merito della controversia su una questione specificamente trattata dalla Corte di rinvio (cfr. pag. 6 terzo cpv della sentenza) che ha accertato che l’iniziale richiesta dell’ O. risaliva al maggio del 2000 ed ha indicato anche i documenti esaminati sui quali aveva fondato il proprio convincimento (sul punto, sono stati puntualmente richiamati i doc. da nn. 5 a 7 del fascicolo di primo grado dell’attore).
3.2. Quanto alla seconda, essa riguarda un fatto (cessione della propria quota alla figlia) che, in termini di autosufficienza, manca di compiuta allegazione e che, comunque, è stato già esaminato dalla Corte remittente (v. capo 3.2. della sentenza dove si afferma “Nè rileva la cessione da parte della convenuta della propria quota”): quindi, il motivo è inammissibile perchè si traduce nella richiesta di un nuovo esame della questione che, sia pur con motivazione sintetica, è già stata oggetto di specifica valutazione nel giudizio rescindente.
4. Sul ricorso di B.P..
4.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce la violazione, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, dell’art. 394 c.p.c., e degli artt. 91,92,93,97,99,101,112 e 383 c.p.c.: lamenta che la sua posizione processuale nei primi due gradi di merito era quella di difensore della F. e che con la richiesta di condanna alla restituzione della somma corrisposta a titolo di spese, l’ O. aveva introdotto impropriamente una domanda nuova che doveva essere oggetto di un giudizio autonomo e separato; assume che la pronuncia della Corte territoriale seguente il giudizio rescissorio era stata emessa in violazione delle norme processuali sopra richiamate.
4.2. Con il secondo motivo, deduce la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, degli artt. 82, 91, 93, 94, 97 e 100 c.p.c., e l’omesso esame di un punto decisivo per il giudizio (che è stato oggetto di discussione fra le parti) relativo alla condanna solidale del difensore con la F., da lui rappresentata, per spese e compensi del giudizio di cassazione e del giudizio di rinvio: assume, al riguardo, l’assenza di identità delle questioni trattate e di convergenza degli “atteggiamenti difensivi” che potessero giustificare la dichiarata solidarietà.
4.3. Con il terzo motivo, ancora, deduce – ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 – la violazione e falsa applicazione degli artt. 82,91,94, 97 e 100 c.p.c., D.M. n. 127 del 2004, e D.M. n. 55 del 2014, di cui agli L. n. 247 del 2012, art. 13, commi 6 e 10, e l’omesso esame e l’assenza di motivazione su un punto decisivo per il giudizio, nonchè la violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato: contesta che la Corte territoriale si era riferita indistintamente, per la quantificazione delle spese di lite, al “valore indeterminabile” della controversia, mentre, per ciò che lo riguardava, il valore della causa era limitato all’importo di Euro 13.397,00 corrisposte per spese e compensi e non poteva certamente essere correlato nè a quello indeterminabile nè alla somma di Euro 100.000,00 circa, oggetto di condanna nei confronti della F..
4.4. Con il quarto motivo, lamenta, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, la violazione dell’art. 339 c.p.c., in relazione al giusto processo: assume che, non avendo rivestito la qualità di parte nei primi due gradi di giudizio, era stato violato il principio del doppio grado, giacchè – per la disposta solidarietà – che era per lui domanda nuova, subiva una condanna che non poteva appellare ma soltanto impugnare in questa sede.
4.5. Il primo ed il quarto motivo devono essere congiuntamente esaminati in quanto sono strettamente collegati sotto il profilo logico: essi sono entrambi infondati.
Questa Corte ha avuto modo di chiarire che “nel caso di riforma od annullamento della sentenza, costituente titolo esecutivo, di condanna al pagamento delle spese e degli onorari in favore del difensore della parte già vittoriosa, il quale abbia reso la dichiarazione di cui all’art. 93 c.p.c., tenuto alla restituzione delle somme pagate a detto titolo è lo stesso difensore distrattario, il quale, come titolare di un autonomo rapporto instauratosi direttamente con la parte già soccombente, è l’unico legittimato passivo rispetto all’azione di ripetizione d’indebito oggettivo proposto da tale parte, in favore della quale la restituzione di dette somme può essere disposta, oltre che in un giudizio autonomamente instaurato a tal fine, anche dal giudice dell’impugnazione o, in caso di Cassazione, dal giudice di rinvio, ai sensi dell’art. 389 c.p.c.” (Cass. 2612/1989; Cass. 15571/2001; Cass. 13752/2002).
La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione di tali principi e, pertanto, le censure, tra loro logicamente collegate, devono essere respinte.
4.6. Il secondo motivo è fondato.
E’ stato infatti affermato, con orientamento consolidato, che “in materia di spese processuali, la condanna di più parti soccombenti al pagamento in solido può essere pronunciata non solo quando vi sia indivisibilità o solidarietà del rapporto sostanziale, ma pure nel caso in cui sussista una mera comunanza di interessi, che può desumersi anche dalla semplice identità delle questioni sollevate e dibattute, ovvero dalla convergenza di atteggiamenti difensivi diretti a contrastare la pretesa avversaria, di talchè la condanna in solido è consentita anche quando i vari soccombenti abbiano proposto domanda di valore notevolmente diverso, purchè accomunate dall’interesse al riconoscimento di un fatto costitutivo comune, rispetto al quale vi sia stata convergenza di questioni di fatto e di diritto” (cfr. ex multis Cass. 20916/2016; Cass. 6976/2016; Cass. 8832/2018).
Nel caso in esame, la posizione della F. e del B. non risultano caratterizzata da “fatti costitutivi comuni” o da identità di questioni dibattute o da atteggiamenti difensivi convergenti diretti a contrastare la pretesa avversaria rispetto all’oggetto delle rispettive condanne per il giudizio di cassazione e per quello di rinvio che possa giustificare l’affermata solidarietà: la F., infatti, è stata condannata a corrispondere all’ O. una somma a titolo di illegittima occupazione; il B., invece, deve restituire le spese di lite indebitamente percepite, in ragione della cassazione e della riforma della sentenza impugnata.
Ciascuna parte, pertanto, deve rispondere delle spese per posizioni e pretese diverse: il vincolo di solidarietà è stato, pertanto, erroneamente dichiarato.
4.7. Il quarto motivo infine, pur basandosi su un rilievo astrattamente condivisibile, non può essere accolto poichè la diversa premessa non consentirebbe di giungere ad una differente apprezzabile quantificazione dell’importo dovuto.
Infatti, pur vero che anche sulla scorta dell’accoglimento del terzo motivo deve escludersi che il valore della controversia, per la parte riguardante la posizione del B., sia “indeterminabile” dovendo, invece, essere ricondotto alla somma complessivamente corrispondente alle spese di lite oggetto di restituzione, si osserva che sulla base delle tariffe vigenti al momento della decisione (D.M. n. 55 del 2014) gli importi liquidati per compensi in relazione alla posizione di entrambe le parti (Euro 4500,00 per il giudizio di cassazione ed Euro 6615,00 per il giudizio di rinvio), riproporzionate secondo la percentuale statuita dalla Corte territoriale (di 1/4 per il B. e di 3/4 per la F.) nel rispetto della “diversa importanza economico giuridica” delle differenti pretese azionate dall’ O., sono compatibili con lo scaglione corrispondente al valore di Euro 13.397,00, cui devono aggiungersi gli accessori complessivamente dovuti, tenuto anche conto dell’aumento fino al 50% consentito al giudice di merito (ed insindacabile in sede di legittimità).
La specifica censura proposta deve, dunque, essere respinta.
5. Pertanto, non essendo necessari ulteriori accertamenti di merito, questa Corte, accogliendo il terzo motivo di ricorso dichiara tenuto il B. a rifondere, senza vincolo di solidarietà con la F., le spese del giudizio di Cassazione e del giudizio di rinvio nella misura di 1/4 degli importi già liquidati dalla Corte territoriale; le spese di questo giudizio di legittimità devono essere, invece, compensate sussistendo giusti motivi riconducibili all’andamento della controversia ed alla specifica posizione processuale del ricorrente nell’economia dell’intero giudizio.
P.Q.M.
La Corte, dichiara inammissibile il ricorso proposto da F.M..
Condanna la ricorrente alle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5800,00 oltre accessori e rimborso forfettario spese generali nella misura di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Accoglie il secondo motivo del ricorso di B.P.; rigetta il primo, il terzo ed il quarto; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, dichiara tenuti B.P. e F.M., senza vincolo di solidarietà, a rifondere – nella misura già liquidata nella sentenza impugnata – le spese processuali sostenute da O.G. nel giudizio di Cassazione e nel giudizio di rinvio.
Spese del giudizio di legittimità compensate nei confronti di B.P..
Così deciso in Roma, il 19 settembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 30 ottobre 2018
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