LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETITTI Stefano – Presidente –
Dott. ORILIA Lorenzo – rel. Consigliere –
Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –
Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –
Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 19560/2017 proposto da:
C.V., rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCO PAOLO GUAGLIARDO;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– c/ricorrente e ricorrente incidentale –
avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositato il 24/01/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/05/2018 dal Consigliere LORENZO ORILIA.
RITENUTO IN FATTO
1 La Corte d’appello di Palermo, con decreto 24.1.2017 ha rigettato l’opposizione proposta da C.V. contro il decreto di rigetto della domanda di equa riparazione ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, per l’irragionevole durata di un procedimento di espropriazione immobiliare promosso nei suoi confronti.
Secondo la Corte palermitana il decreto opposto aveva fatto corretta applicazione della giurisprudenza di legittimità formatasi sul diritto all’indennizzo per il debitore esecutato rimasto inattivo. La Corte ha compensato le spese del giudizio ravvisando giusti motivi nella natura delle questioni trattate.
2 Per la cassazione del decreto della Corte d’appello il C. ha proposto ricorso sulla base di tre motivi; il Ministero della giustizia ha resistito con controricorso contenente ricorso incidentale sulle spese.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1 Con il primo motivo il ricorrente deduce ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, rimproverando alla Corte d’Appello di avere escluso il pregiudizio non patrimoniale omettendo ogni determinazione concreta sulla durata della procedura esecutiva e su tutti gli altri parametri valutativi di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2 comma 2, da considerare ai fini della liquidazione dell’indennizzo.
Il motivo è inammissibile perchè deduce un vizio che non rientra più tra quelli che possono essere denunziati in sede di legittimità: l’art. 360, comma 1, n. 5, nel testo applicabile ratione temporis è chiarissimo e non è necessario aggiungere altro.
2 Con il secondo motivo, denunzia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione di plurime norme di diritto (L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2, art. 6 CEDU, par. 1, in rapporto agli artt. 2727,2056,2057 e 2059 c.c., per avere il giudice di merito negato il danno non patrimoniale disattendendo i principi enunciati dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo che pone una presunzione di danno con conseguente inversione dell’onere probatorio.
3 Col terzo motivo si deduce ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione di plurime norme di diritto (L. n. 89 del 2001, art. 1 bis e artt. 6,13 e 41 Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali) per avere la Corte d’Appello escluso l’applicabilità di detta normativa alla posizione soggettiva del debitore esecutato: a suo dire la tutela è riservata indistintamente a tutti coloro che sono coinvolti in un procedimento giurisdizionale, senza esclusione alcuna.
Queste due censure, ben suscettibili di esame unitario (per il comune riferimento al tema della durata irragionevole del processo per il debitore esecutato rimasto inattivo), sono infondate.
Come ripetutamente affermato da questa Corte, il debitore esecutato rimasto inattivo non ha diritto ad alcun indennizzo per l’irragionevole durata del processo esecutivo che è preordinato all’esclusivo interesse del creditore, sicchè egli – a differenza del contumace nell’ambito di un processo dichiarativo – è soggetto al potere coattivo del creditore, recuperando solo nelle eventuali fasi d’opposizione ex artt. 615 e 617 c.p.c., la cui funzione è diretta a stabilire un separato ambito di cognizione, la pienezza della posizione di parte, con possibilità di svolgere contraddittorio e difesa tecnica (Sez. 6 – 2, Sentenza n. 89 del 07/01/2016 Rv. 638571; Sez. 6 – 2, Sentenza n. 14382 del 09/07/2015 Rv. 635761; Sez. 2 -, Ordinanza n. 10857 del 07/05/2018 Rv. 648016).
E’ stato altresì precisato che la presunzione di danno non patrimoniale da irragionevole durata del processo esecutivo non opera per l’esecutato, poichè egli dall’esito del processo riceve un danno giusto. Pertanto, ai fini dell’equa riparazione da durata irragionevole, l’esecutato ha l’onere di provare uno specifico interesse alla celerità dell’espropriazione, dimostrando che l’attivo pignorato o pignorabile fosse “ab origine” tale da consentire il pagamento delle spese esecutive e da soddisfare tutti i creditori e che spese ed accessori sono lievitati a causa dei tempi processuali in maniera da azzerare o ridurre l’ipotizzabile residuo attivo o la restante garanzia generica, altrimenti capiente (Sez. 6 – 2, Sentenza n. 14382/2015 cit. richiamata in Sez. 2 -, Ordinanza n. 10857 del 07/05/2018 cit.).
Nel caso in esame, la Corte territoriale si è perfettamente allineata a tali principi e oggi il C., che – si badi bene – era un debitore esecutato, in mancanza di prova rigorosa di uno specifico interesse alla celerità dell’espropriazione, non può continuare a dolersi della durata del processo di esecuzione confidando, sic et simpliciter, sulla estensione dei principi generali senza minimamente confrontarsi con la consolidata giurisprudenza di legittimità intervenuta sulla diversa posizione del debitore esecutato in rapporto alla durata irragionevole del processo di espropriazione.
3 Fondato è invece il ricorso incidentale col quale il Ministero della Giustizia denunzia la violazione dell’art. 92 c.p.c., per avere la Corte d’Appello compensato le spese del giudizio nonostante sussistesse l’integrale soccombenza dell’opponente.
I casi di compensazione sono previsti dalla legge (soccombenza reciproca, assoluta novità della questione o mutamento della giurisprudenza: cfr. art. 92 c.p.c., comma 2) e tra questi non è più compresa la sussistenza di giusti motivi, mentre è stata reintrodotta la compensazione per “gravi ed eccezionali ragioni”, per effetto della sentenza n. 77/2018 della Corte Costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 92 c.p.c., comma 2, nel testo modificato dal D.L. 12 settembre 2014, n. 132, art. 13, comma 1, (Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile), convertito, con modificazioni, nella L. 10 novembre 2014, n. 162, nella parte in cui non prevede che il giudice possa compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, anche qualora sussistano altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni.
La violazione di legge sulla regolamentazione delle spese è dunque palese perchè la Corte d’Appello non poteva fondare la scelta della compensazione sulla sussistenza di “giuste ragioni” ravvisandole peraltro “nella natura delle questioni trattate” (questioni che neppure erano caratterizzate da complessità, posto che la secca questione di diritto aveva trovato, come peraltro riscontrato dalla stessa Corte di merito, la sua soluzione attraverso una consolidata e unanime giurisprudenza di legittimità).
Il ricorso incidentale va pertanto accolto e, conseguentemente, il provvedimento impugnato va cassato in ordine alla pronuncia sulle spese che devono seguire la regola generale della soccombenza (art. 91 c.p.c.), non ricorrendo alcuna ipotesi di compensazione.
Non richiedendosi ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito (art. 384 c.p.c., comma 2) e il C., per il principio della soccombenza, va condannato a rimborsare al Ministero della Giustizia le spese del giudizio di opposizione che si liquidano come da dispositivo.
L’esito del giudizio di legittimità comporta la ulteriore condanna del ricorrente al pagamento delle relative spese.
P.Q.M.
rigetta il ricorso principale; accoglie il ricorso incidentale, cassa il provvedimento impugnato in relazione al ricorso accolto e, decidendo nel merito, condanna C.V. al pagamento delle spese del giudizio di opposizione che liquida in Euro. 915,00 per compensi oltre spese prenotate a debito nonchè di quelle del presente giudizio, che liquida in Euro. 1.200,00 per compensi oltre alle spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, il 22 maggio 2018.
Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2018
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