LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MATERA Lina – Presidente –
Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –
Dott. ABETE Luigi – Consigliere –
Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 22036/2014 proposto da:
ENEL DISTRIBUZIONE SPA, *****, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE, 38, presso lo studio dell’avvocato PIERFILIPPO COLETTI, che la rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
ASI CONSORZIO AREA SVILUPPO INDUSTRIALE PROVINCIA AVELLINO, elettivamente domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE MELLINI 24, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI GIACOBBE, che lo rappresenta e difende, in virtù di procura notarile del 30 settembre 2014;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4063/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 17/06/2014;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 03/05/2018 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;
Lette le memorie di entrambe le parti.
RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO 1. L’ASI – Consorzio per l’Area di Sviluppo Industriale della Provincia di Avellino con citazione notificata in data 3/11/2003 conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma Enel Distribuzione S.p.A. ed Enel S.p.A., al fine di ottenere il pagamento della somma di Euro 345.335,36, oltre IVA, interessi e rivalutazione dal 9 agosto 2000, deducendo che in data 28/12/1985 aveva trasferito ad Enel S.p.A., in vista della realizzazione di una stazione elettrica, un appezzamento di terreno in *****, del quale era in corso l’acquisizione attraverso una procedura espropriativa, alla quale si era accompagnata anche un’occupazione temporanea e d’urgenza. Evidenziava che la convenuta aveva versato solo un acconto, pari alle indennità provvisorie sino a quel momento anticipate dal Consorzio ai proprietari, ma che nel contratto era previsto che l’acquirente si impegnava a tenere indenne l’alienante di tutte le spese che avrebbe affrontato al fine di definire l’acquisto per espropriazione, dovendo ancora essere definite e determinate le indennità di espropriazione effettivamente dovute ai proprietari.
Successivamente erano stati introdotti vari giudizi da parte dei titolari dei fondi, ed il Consorzio aveva chiamato in causa anche l’Enel.
I processi si erano però estinti, e l’indennità di esproprio era stata determinata e poi pagata a seguito di vari atti di transazione, nell’importo oggetto della domanda attorea.
Tuttavia la convenuta, sebbene richiesta di adempiere tale obbligazione, si era rifiutata di versare quanto dovuto.
Nella resistenza delle convenute, agendo Enel Distribuzione quale mandataria di Enel S.p.A., il Tribunale di Roma con sentenza del 25 agosto 2008 dichiarava la prescrizione della pretesa dell’attore, assumendo che la stessa decorresse dalla data di conclusione del contratto, risalente al novembre 1985, e che sebbene fosse stata interrotta per effetto della chiamata in causa avvenuta nel corso dei giudizi intentati dai proprietari dei fondi espropriandi, poichè tali giudizi si erano estinti, occorreva avere riguardo al solo effetto interruttivo istantaneo, non potendo la parte giovarsi anche dell’effetto sospensivo, sicchè alla data di introduzione del presente giudizio la prescrizione decennale era ampiamente maturata.
A seguito di appello del Consorzio ASI, la Corte d’Appello di Roma con la sentenza n. 4063 del 17 giugno 2014, riformava la decisione di primo grado, accogliendo la domanda attorea, con il riconoscimento della somma richiesta in citazione, oltre IVA ed interessi legali ovvero nella misura pari alla differenza tra tale tasso e quello di rendimento netto sui titoli di Stato di durata non superiore a dodici mesi.
Osservava la sentenza di appello che il contratto intervenuto tra le parti era stato preceduto da un formale impegno di Enel ad acquistare il terreno suscettibile di espropriazione, ad un prezzo non inferiore a quello dell’indennità di esproprio.
Era poi seguita la stipula del contratto in data 28/11/1985, nel quale si dava atto dell’impossibilità di determinare con precisione il corrispettivo dovuto, in quanto non erano state ancora dettate le nuove norme disciplinanti il calcolo dell’indennità in questione, sicchè all’art. 4 si era convenuto che il prezzo della vendita “sarà determinato sulla base del costo che il Consorzio avrà affrontato in via definitiva e complessiva per l’acquisizione dei beni stessi, anche a seguito di contenzioso in qualsiasi stato e grado di giudizio sia innanzi alla Giurisdizione ordinaria che amministrativa e tenuto conto di ogni e qualsiasi componente di esso costo e quindi di maggiori indennizzi, interessi, danni anche a titolo di svalutazione monetaria, onorari e spese di giudizio, ivi compresi quelli per consulenze tecniche, nonchè spese generali tutte, insomma di ogni spesa presente o futura a saldo delle somme sopra versate, rinunziando espressamente a qualunque ipoteca legale. L’Ente acquirente si obbliga espressamente a favore del consorzio di pagare ogni volta che ne sia richiesto, gli importi indicati dal Consorzio corrispondenti alle ulteriori spese da questo sopportate anche per l’acquisizione in suo favore dei beni oggetto del presente atto, e già sopra specificate”.
Ne derivava che il corrispettivo era stato in parte determinato sulla base delle spese già sostenute alla data del contratto, ed in parte era rimesso alla determinazione futura delle indennità di esproprio, da effettuarsi anche a seguito di contenzioso giudiziario.
In relazione a tale seconda parte del prezzo, secondo i giudici di appello, la prescrizione non poteva che iniziare a decorrere dal giorno in cui il diritto poteva essere fatto valere, ex art. 2935 c.c., così che, una volta esclusa la ricorrenza di un contratto sottoposto a condizione sospensiva, la determinazione dell’indennità costituiva un termine iniziale.
Per l’effetto, sin quando tale indennità non era determinata, eventualmente anche in sede giudiziaria, il credito dell’attore non era esigibile e non poteva quindi decorrere la prescrizione. Poichè gli atti di transazione con i proprietari del terreno erano tutti intervenuti tra il 1997 ed il 1998, alla data della messa in mora del 9/8/2000, la prescrizione non era intervenuta.
Quanto poi alle altre contestazioni della convenuta, secondo cui la determinazione dell’indennità di esproprio sarebbe dovuta avvenire in contraddittorio, rilevava la sentenza che nel contratto mancava una previsione che imponesse l’accertamento dell’indennità in contradditorio anche con l’Enel, essendo stato previsto un automatismo tra quanto pagato dal Consorzio per l’acquisizione dei fondi e quanto a sua volta dovuto dall’Enel quale corrispettivo della vendita.
Peraltro la convenuta era stata chiamata a partecipare ai vari giudizi intentati dai proprietari del terreno, ma pur essendosi costituita, aveva omesso di partecipare alle operazioni peritali, sicchè ogni censura all’operato del CTU avrebbe dovuto essere mossa nel giudizio nel quale venne esperita la consulenza.
Le somme dovute corrispondevano effettivamente a quanto richiesto, ed andavano maggiorate dell’IVA nonchè, trattandosi di un debito di valuta, degli interessi di mora e del maggior danno ex art. 1224 c.c., come individuato dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 19499 del 2008.
Le due società hanno proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
L’ASI – Consorzio per l’Area di Sviluppo Industriale della Provincia di Avellino ha resistito con controricorso.
2. Con il primo motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2935,2936,2941,2946, nonchè degli artt. 1362 c.c. e segg. e dell’art. 1183 c.c., nonchè l’omessa disamina di un fatto decisivo per il giudizio.
Si deduce che la Corte nel ritenere che il termine per l’esazione del corrispettivo da parte del Consorzio coincidesse con il momento in cui erano state quantificate e pagate dal Consorzio le indennità di esproprio, è incorso in una contraddittorietà logica, atteso che, pur avendo ritenuto che il contratto non fosse sottoposto a condizione, ha ricollegato la decorrenza della prescrizione ad elementi a loro volta connotati dall’incertezza sia nell’an che nel quando.
La sentenza di appello non ha però considerato che, ancorchè i criteri legali di determinazione dell’indennità di esproprio fossero stati interessati da interventi demolitori della Consulta, la giurisprudenza aveva però individuato le regole sostitutive da applicare, così che già alla data del contratto era esigibile il prezzo dovuto per la cessione del terreno.
E’ mancata poi la disamina del contenuto degli atti di citazione con i quali i vari proprietari dei terreni espropriandi avevano preteso il pagamento dell’indennità di esproprio nei confronti del Consorzio, invocando proprio i principi generali di cui alla L. n. 2359 del 1985.
Ne deriva quindi che non sussisteva alcun impedimento di diritto alla pretesa dell’attore al pagamento del prezzo nei confronti della ricorrente, così che alla data di proposizione del presente giudizio la prescrizione era abbondantemente maturata.
Il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 c.c. e segg., artt. 115 e 116 c.p.c., artt. 307 e 310 c.p.c. e degli artt. 1227 e 1375 c.c., nonchè l’omessa disamina di un fatto decisivo per il giudizio.
Ed, infatti, una volta opinato nel senso che la volontà delle parti era quella di ancorare il prezzo all’ammontare dell’indennità dovuta secondo legge, non era dato al consorzio di poter addivenire alla determinazione dell’indennità secondo il suo insindacabile giudizio, come invece opinato dai giudici di appello.
Assume la ricorrente che i versamenti effettuati in favore dei soggetti espropriati siano del tutto sproporzionati, e che per l’effetto l’attribuzione al Consorzio delle medesime somme versate ai proprietari del fondo sia in evidente violazione dell’art. 1227 c.c..
L’erroneità dell’ammontare delle indennità corrisposte emerge poi dalla disamina della CTU redatta nel corso dei giudizi intrapresi dagli espropriati.
Nè poteva addursi che l’Enel fosse stata chiamata a partecipare a tali giudizi, in quanto gli stessi si erano estinti, a seguito di mancata riassunzione nei termini, il che aveva impedito di poter svolgere in quella sede ogni contestazione.
Il terzo motivo di ricorso denuncia infine la violazione dell’art. 112 c.p.c., in quanto l’attrice aveva chiesto la condanna della ricorrente al pagamento delle somme versate agli espropriati, oltre interessi e rivalutazione monetaria, mentre la sentenza d’appello, motu proprio ha riconosciuto il maggior danno ai sensi del secondo comma dell’art. 1224 c.c., senza che però tale domanda fosse stata avanzata.
3. Il primo motivo è infondato e deve essere rigettato.
La sentenza impugnata, partendo dalla lettura dell’art. 4 del contratto del 28/11/1985, come riportato al punto 1. che precede, ha ritenuto con motivazione logica e priva di contraddizioni che, se l’intento di trasferire la proprietà dell’appezzamento di terreno ivi descritto era non condizionato, tuttavia si poneva la necessità, atteso il recente intervento, all’epoca, della Corte Costituzionale in materia di individuazione dei criteri di calcolo dell’indennità di esproprio, di fissare l’ammontare del prezzo dovuto dall’acquirente, che nella precedente dichiarazione di impegno, non sarebbe dovuto essere inferiore all’ammontare dell’indennità di espropriazione, di stabilire quale dovesse essere la misura del prezzo da versare da parte dell’acquirente.
I giudici di appello hanno ritenuto che, non potendosi stabilire con sicurezza quali sarebbero stati i costi che effettivamente avrebbe sostenuto il Consorzio per divenire proprietario dei fondi venduti ad Enel (art. 2), le parti hanno previsto che il prezzo sarebbe stato determinato in misura esattamente corrispondente al costo che il Consorzio stesso avrebbe poi affrontato, anche a seguito di eventuale contenzioso con i precedenti proprietari, tenuto conto di qualsiasi componente, quali maggiori indennizzi, interessi, danni ecc..
Pertanto, il rinvio per relationem, al fine di stabilire l’ammontare del corrispettivo dovuto dalla ricorrente, e che quest’ultima contestualmente si impegnava a versare al venditore ogni volta che gli fosse stato richiesto, ha indotto quindi a ritenere che il diritto al pagamento del prezzo fosse sottoposto ad un termine iniziale coincidente con la data di effettiva quantificazione, anche in sede giudiziaria, dell’indennità dovuta.
Orbene, rileva il Collegio che costituisca principio di diritto del tutto consolidato presso questa Corte di legittimità quello secondo il quale, con riguardo all’interpretazione del contenuto di una convenzione negoziale adottata dal giudice di merito, l’invocato sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sè, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati appunto a quel giudice, ma deve appuntarsi esclusivamente sul (mancato) rispetto dei canoni normativi di interpretazione dettati dal legislatore agli artt. 1362 c.c. e segg. e sulla (in) coerenza e (il)logicità della motivazione addotta (cosi, tra le tante, Cass., Sez. 3, 10 febbraio 2015, n. 2465): l’indagine ermeneutica, è, in fatto, riservata esclusivamente al giudice di merito, e può essere censurata in sede di legittimità solo per inadeguatezza della motivazione o per violazione delle relative regole di interpretazione (vizi entrambi impredicabili con riguardo alla sentenza oggi impugnata), con la conseguenza che non può trovare ingresso la critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca nella prospettazione di una diversa valutazione ricostruttiva degli stessi elementi di fatto esaminati dal giudice a quo.
La ricorrente si limita apoditticamente a denunciare la violazione delle regole di ermeneutica contrattuale, senza però indicare con sufficiente precisione quale sarebbe stato l’errore commesso dal giudice di merito e quale sarebbe stata la specifica norma violata.
Viceversa può rilevarsi che l’interpretazione offerta dalla sentenza gravata, lungi dal palesarsi come implausibile, risulta evidentemente agganciata al tenore letterale delle espressioni utilizzate dalle parti che all’art. 4, ancorchè vi fosse l’intento di non sganciare eccessivamente l’importo del prezzo dall’ammontare delle indennità, hanno individuato come criterio di determinazione per relationem, non già quello esattamente corrispondente all’importo legale dell’indennità di esproprio dovuto (il che priva di rilevanza l’argomento speso in ricorso secondo cui, anche dopo le sentenze della Corte Costituzionale del 1980 e del 1983, sarebbe stato comunque possibile individuare dei criteri di determinazione legale) ma al “costo che il Consorzio avrà affrontato in via definitiva e complessiva per l’acquisizione dei beni…. tenuto conto di ogni e qualsiasi componente di esso costo e quindi di maggiori indennizzi, interessi, danni anche a titolo di svalutazione monetaria…”.
Emerge in maniera evidente dalle espressioni contenute nella previsione in esame, che effettivamente le parti intesero predisporre un meccanismo di adeguamento automatico del prezzo della vendita all’importo in concreto versato da parte del Consorzio in favore degli espropriati, importo che non necessariamente sarebbe stato perfettamente corrispondente a quanto dovuto per legge, essendosi appunto contemplata anche la possibilità di una determinazione del quantum in sede diversa da quella giudiziaria.
La tesi difensiva della ricorrente, che nella sostanza propone una diversa lettura del contratto ed alternativa a quella del giudice di merito, ma senza che però emerga l’assoluta implausibilità di quest’ultima, addiviene appunto alla conclusione secondo cui la relatio voluta dalle parti non sarebbe all’importo in concreto versato dal Consorzio, ma a quanto dovuto per legge in base alle norme in materia di espropriazione, il che sposterebbe il dies a quo della prescrizione alla data stessa della conclusione del contratto.
Trattasi di affermazione che risulta evidentemente contraddetta dalla diversa esegesi della volontà delle parti che è stata sposata, in maniera logica e coerente, dalla sentenza gravata, e che rende quindi del tutto privi di decisività anche gli elementi di fatto asseritamente non considerati dal giudice di appello, quali le domande degli espropriati, finalizzate ad ottenere la corresponsione dell’indennità di esproprio in base alle previsioni della L. n. 2359 del 1865.
Di contro, il ricordato automatismo tra il prezzo dovuto e le somme, anche non corrispondenti all’esatto importo legale dovuto a titolo di indennità di esproprio, giustifica la conclusione della Corte distrettuale secondo cui, solo una volta avvenuto il pagamento delle somme agli espropriati, nel caso di specie a seguito di accordi transattivi, poteva reputarsi determinato il contenuto del contratto intercorso tra le parti, in punto di determinazione del prezzo, sicchè solo da tale momento poteva decorre il termine per la prescrizione estintiva.
4. Le considerazioni di cui al punto che precedono danno altresì contezza dell’infondatezza del secondo motivo di ricorso, che in larga misura parte dal medesimo presupposto interpretativo sul quale si fonda il primo motivo.
Secondo i giudici di appello, le partii consapevoli delle difficoltà al momento della conclusione del contratto di poter stabilire con precisione quale fosse il costo che il Consorzio avrebbe dovuto sopportare per l’acquisizione dei terreni oggetto della vendita, hanno optato per un meccanismo di relatio perfecta, che individuava il prezzo della vendita nei costi che poi in concreto l’attore avrebbe sostenuto per il trasferimento della proprietà.
La formula onnicomprensiva contenuta nell’art. 4, ha indotto, senza che sul punto tale valutazione sia suscettibile di censura in sede di legittimità, ad opinare nel senso che non dovesse aversi riguardo all’importo legalmente dovuto a titolo di indennità di esproprio, ma alle somme in concreto versate, il che rende priva del carattere della decisività anche l’esistenza di assunti errori nella consulenza tecnica d’ufficio redatta nel corso dei giudizi che hanno preceduto gli accordi tra il Consorzio e gli espropriati.
Ed, infatti, in disparte il rilievo circa l’effettiva dimostrazione degli errori contenuti nell’elaborato d’ufficio redatto nel corso di tali giudizi (stante anche l’evidente carenza del requisito di specificità del motivo ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, avendo la parte riportato solo una propria personale sintesi delle conclusioni del CTU), trascura di considerare che le somme sono state versate agli espropriati all’esito di accordi transattivi, nei quali non si impone la rigorosa corrispondenza tra quanto riconosciuto e quanto invece dovuto in base ai criteri legali di determinazione dell’indennità, ben potendo in vista della determinazione dell’importo giocare anche fattori diversi quali ad esempio l’interesse dell’espropriante ad una sollecita definizione della controversia a fronte del riconoscimento di una somma di maggior entità rispetto al dovuto per legge.
Tale considerazione denota altresì l’insussistenza della violazione degli artt. 307 e 310 c.p.c., sul presupposto che l’estinzione dei giudizi nel corso dei quali venne esperita la CTU avrebbe impedito ad Enel di formulare le proprie contestazioni all’operato dell’ausiliario.
5. Il terzo motivo è invece fondato.
Effettivamente l’attore in citazione, e come ribadito in sede di conclusioni dinanzi al giudice di appello (cfr. pag. 2 della sentenza gravata),aveva richiesto sul capitale, gli interessi e la rivalutazione.
I giudici di secondo grado qualificata l’obbligazione dedotta in giudizio come di valuta, oltre a riconoscere gli interessi di mora, in misura corrispondente a quella legale, hanno altresì attribuito il maggior danno ex art. 1224 c.c., comma 2, avvalendosi dei criteri di cui alle Sezioni Unite n. 19499/2008.
Reputa il Collegio di dover assicurare continuità a quanto di recente affermato dalle Sezioni Unite di questa stessa Corte secondo cui (Cass. S.U. n. 5743/2015; conf. Cass. n. 22273/2010) il creditore di una obbligazione di valuta, il quale intenda ottenere il ristoro del pregiudizio da svalutazione monetaria, ha l’onere di domandare il risarcimento del “maggior danno” ai sensi dell’art. 1224 c.c., comma 2 e non può limitarsi a domandare semplicemente la condanna del debitore al pagamento del capitale e della rivalutazione, non essendo quest’ultima una conseguenza automatica del ritardato adempimento delle obbligazioni di valuta.
La sentenza impugnata non risulta essersi conformata a tale principio e deve quindi essere cassata, in relazione a tale motivo.
Tuttavia, non apparendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la controversia può anche essere decisa nel merito, occorrendo limitare la condanna della ricorrente al pagamento della sorte capitale pari ad Euro 345.385,36, oltre IVA, i soli interessi legali sulla somma capitale a far data dal 9/8/2000 al soddisfo.
6. Atteso il parziale accoglimento del ricorso, sussistono le condizioni per la compensazione per un quarto delle spese di tutti i gradi, con la condanna della ricorrente alla residua parte, come liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
Accoglie il terzo motivo di ricorso, e rigettati i restanti, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e decidendo nel merito, condanna le società appellate al pagamento della somma di Euro 345.385,36, oltre IVA, e con i soli interessi legali sulla somma capitale a far data dal 9/8/2000 al soddisfo; Compensa per un quarto le spese dei gradi di merito e di quelle di legittimità, ponendo la residua parte a carico della ricorrente che liquida in tale misura per il primo grado in Euro 9.320,00 ed in Euro 511,50 per spese vive, per il giudizio di appello in Euro 10.170,00 per compensi ed in Euro 607,50 per spese vive, e per il giudizio di legittimità in complessivi Euro 4.500,00 per compensi, ed in Euro 150,00 per spese vive, oltre spese generali pari al 15% sui compensi, ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 3 maggio 2018.
Depositato in Cancelleria il 6 novembre 2018
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