LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Presidente –
Dott. LORITO Matilde – Consigliere –
Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –
Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –
Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 18624-2015 proposto da:
M.P., domiciliato ope legis presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’Avvocato ETTORE MARIA GLIOZZI;
– ricorrente –
contro
ALLSYSTEM S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VIRGILIO 8, presso lo studio dell’avvocato ANDREA MUSTI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANDREA FORTUNAT;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1000/2014 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 22/12/2014 R.G.N. 386/2014.
RILEVATO CHE:
1. il Tribunale di Torino, con sentenza del 17.10/22.12.2012, per quanto qui solo rileva, rigettava la domanda del lavoratore (attuale ricorrente) volta ad ottenere la condanna di ALLSYSTEM SPA al pagamento dell’indennità di vacanza contrattuale, ai sensi dell’art. 145 del CCNL Vigilanza Privata del 6.12.2006;
2. la Corte di Appello di Torino, con sentenza n. 1000 del 2014, respingeva il gravame proposto dal lavoratore sulla base, sostanzialmente, dei seguenti argomenti: a) oggetto di causa era unicamente l’indennità di vacanza contrattuale; b) era pacifico che il CCLN del 2006 fosse scaduto il 31.12.2008 e che, avviate le piattaforme sindacali a seguito di disdetta delle organizzazioni dei lavoratori, la parte datoriale avesse continuato ad applicare il contratto collettivo scaduto, senza riconoscimento di aumenti e/o adeguamenti retributivi; c) in data 22.1.2013, tuttavia, le parti collettive avevano stipulato l’ipotesi di accordo per il rinnovo del CCNL con cui stabilivano il riconoscimento di una somma una tantum a titolo di indennità di vacanza processuale; d) l’accordo del 22.1.2013 (poi confermato dal definitivo CCNL 8.4.2013) era applicabile a tutti i lavoratori, anche a coloro che fossero affiliati alle organizzazioni sindacali non firmatarie, trattandosi del CCNL che si sostituiva a quello scaduto il 31.12.2008 (pacificamente applicato all’appellante), con disciplina operante dal momento della sua stipulazione; e) era legittima l’una tantum a titolo di vacanza contrattuale, trattandosi di elemento provvisorio, non suscettibile di integrare un diritto quesito; f) nella fattispecie, le parti sociali avevano stabilito un importo a totale copertura e definizione del pregresso periodo di vacanza, come peraltro riconosciuto, in analoghe controversie, da questa Corte, con le pronunce nn. 14356 e 14595 del 2014;
3. avverso la decisione ha depositato ricorso per cassazione il lavoratore, affidato a quattro motivi;
4. ha resistito, con controricorso, illustrato con memoria, la società in epigrafe.
CONSIDERATO CHE:
1. con il primo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – è dedotto omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti; la censura afferisce alla mancata valutazione del dissenso espresso dai lavoratori con la dichiarazione di dissociazione dall’accordo di rinnovo del CCNL, del 19.2.2013;
il primo motivo è in radice inammissibile in quanto, benchè formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 novellato, non illustra affatto il “fatto storico”, non esaminato, che abbia costituito oggetto di discussione e che abbia carattere decisivo (secondo gli enunciati di Cass., sez.un., nn. 8053 e 8054 del 2014, costantemente ribaditi dalle stesse Sezioni unite v. n. 19881 del 2014, n. 25008 del 2014, n. 417 del 2015, oltre che dalle Sezioni semplici), ma sviluppa, piuttosto, una serie di considerazioni in diritto in merito alla natura dei contratti collettivi di lavoro che, quali contratti di diritto comune, non sarebbero estensibili alle parti non aderenti, del tutto estranee al denunciato vizio di motivazione ed, in ogni caso, inammissibili, anche riqualificate ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in assenza di una specifica indicazione delle affermazioni contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità (ex plurimis, Cass. n. 3010 del 2012);
2. con il secondo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 – è dedotto omesso esame circa fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti nonchè violazione degli artt. 1372,1362 e 1388 c.c. in relazione agli artt. 144 e 145 CCNL 2004/2008; la critica investe, nel complesso, la statuizione di estensione dell’efficacia soggettiva del CCNL del 2013 ai lavoratori affiliati a sigle sindacali che non avevano sottoscritto l’ipotesi di rinnovo e rifiutavano di aderirvi; si assume che il CCNL del 2013, diversamente da quanto sostenuto in sentenza, non costituisca affatto un rinnovo del precedente CCNL, per avere un ambito soggettivo ed oggettivo differente;
anche il secondo motivo si arresta ad una valutazione di inammissibilità;
valgono, quanto al vizio di motivazione, i medesimi rilievi esposti in relazione al primo motivo; quanto alla denuncia di violazione di legge, la deduzione non soddisfa gli oneri di deduzione e specificazione imposti dall’art. 366 c.p.c., n. 6 e art. 369 c.p.c., n. 4;
la critica, che investe il giudizio di “rinnovo” espresso dalla Corte di appello in relazione al secondo CCNL (id est: il contratto sottoscritto nel 2013) rispetto al precedente, scaduto il 31.12.2008, mira a sollecitare un esame, da parte di questa Corte, del contenuto dei due accordi; essa è, dunque, impedita dalla carente trascrizione delle norme dei contratti collettivi dei due CCNL, giudicate significative in relazione alla devoluta questione, (cfr. Cass. n. 25728 del 2013; Cass. n. 2560 del 2007; Cass. n. 24461 del 2005) nonchè dal mancato deposito integrale della copia degli stessi (Cass., sez. un., n. 20075 del 2010) o dalla indicazione specifica della sede processuale in cui detti testi siano rinvenibili (Cass., sez. un., n. 25038 del 2013);
3. con il terzo motivo, è dedotto omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti con riferimento alla violazione o falsa applicazione del combinato disposto dell’art. 36 Cost. e art. 2099 c.c. in relazione agli Accordi quadro 22.1.2009-15.4.2009; la censura riguarda il rigetto della domanda diretta ad ottenere l’adeguamento della retribuzione, ai sensi dell’art. 2099 c.c. e art. 36 Cost., sulla base dell’indice IPCA di cui all’Accordo quadro del 22.1.2009 e di quello Interconfederale del 15.4.2009;
il terzo motivo è, del pari, inammissibile;
ribadito che il vizio di motivazione, riconducibile al paradigma dell’art. 360 c.p.c., n. 5, concerne esclusivamente i fatti (storici) e non anche l’interpretazione e l’applicazione di norme giuridiche (Cass. 20468 del 2008), il motivo è privo di riferibilità al decisum; la Corte di appello ha, infatti, in premessa chiarito come oggetto del giudizio fosse esclusivamente la vacanza contrattuale (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata: “oggetto di causa, in questo grado di giudizio, è unicamente l’indennità contrattuale, rivendicata (…) con riferimento all’art. 145 del CCNL (…); tale affermazione andava diversamente censurata in modo, eventualmente, da incrinarne la giustificazione; come illustrata, invece, la censura resta priva di riferibilità alla decisione impugnata e si pone in violazione della prescrizione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4 (ex plurimis, Cass. n. 17125 del 2007; in motivazione, Cass. n. 9384 del 2017; Cass. n. 20652 del 2009);
4. con il quarto motivo, è dedotto l’omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti, con riferimento alla violazione e falsa applicazione degli artt. 142, 144 e 145 del CCNL 2005/2008;
le ragioni innanzi evidenziate conducono all’inammissibilità anche del quarto motivo;
la critica investe l’interpretazione di norme contrattuali, peraltro dichiaratamente resa dalla Corte territoriale in adesione ai precedenti di questa Corte (Cass. 14356 del 2014 e Cass. n. 14595 del 2014), ed incontra i medesimi limiti, in punto di difetto di specificità, indicati in relazione al secondo motivo;
conclusivamente, il ricorso va dichiarato inammissibile, con le spese liquidate in dispositivo secondo soccombenza;
occorre dare atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3.500,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 27 febbraio 2019.
Depositato in Cancelleria il 8 maggio 2019
Codice Civile > Articolo 142 - Limiti d'applicazione delle precedenti disposizioni | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 145 - Intervento del giudice | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 2019 - Effetti dell'ammortamento | Codice Civile
Codice Procedura Civile > Articolo 4 - (Omissis) | Codice Procedura Civile