LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Presidente –
Dott. LORITO Matilde – Consigliere –
Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –
Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –
Dott. CIRIELLO Antonella – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 2013-2018 proposto da:
S.R., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MARIO ALDO COLANTONIO e ROBERTO COLANTONIO;
– ricorrente –
contro
POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR 19, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELE DE LUCA TAMAJO, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3673/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 27/07/2017, R.G.N. 5831/2014.
RILEVATO
che con sentenza del 27 luglio 2017, la Corte di Appello di Napoli ha rigettato l’appello proposto da S.R. avverso la sentenza di primo grado, che ne aveva già respinto le domande di accertamento dell’illegittimità del licenziamento intimatogli, il 22 luglio 2011, per giusta causa, dalla datrice Poste Italiane s.p.a e di conseguenti condanne reintegratoria e risarcitoria, in misura pari alle mensilità dalla data del licenziamento fino alla effettiva reintegra che la Corte territoriale aveva ritenuto la tempestività della contestazione disciplinare del 29.5.11, nonostante la conoscenza dei fatti contestati risalisse al 10.5.11, momento dell’accesso di ispettrice interna, in ragione della complessità dell’indagine e tenuto conto dei successivi riscontri alla stessa (in applicazione del principio di cd. “immediatezza relativa) ed aveva quindi affermato la sussistenza della giusta causa di licenziamento e della proporzionalità tra fatto addebitato e sanzione ai fini del giudizio di proporzionalità e immediatezza della sanzione irrogata, ed alla luce degli elementi di prova dei fatti addebitati.
che con atto notificato il 18 gennaio 2018, S.R. ricorreva per cassazione con due motivi, che POSTE ITALIANE resisteva con controricorso illustrato con memoria;
che il P.G. non ha formulato richieste scritte.
CONSIDERATO
che con il ricorso per cassazione, in sintesi, si censura: 1) la violazione e falsa applicazione degli artt. 2119,2727 e 2729 c.c., della L. n. 300 del 1970, art. 7 e del combinato disposto degli artt. 52, 53, 54, 55 CCNL 14.4.11, per i dipendenti Poste, in cui sarebbe incorsa la Corte di appello, respingendo le doglianze circa la violazione del principio di tempestività della contestazione, giacchè, dopo l’ispezione del 10.5.11, non risultavano riportati ulteriori accertamenti utili nella contestazione disciplinare inviata al lavoratore il 29 giugno 2011 (in contrasto, secondo il ricorrente, con i principi di diritto affermati da questa corte in ragione dei quali l’applicazione di una sanzione disciplinare non può essere ritardata per la complessità della organizzazione aziendale, nel caso di specie in maniera ingiustificata, e risultando il ritardo contrario alla buona fede);
2) i vizi di violazione e falsa applicazione degli artt. 2118 e 2119, c.c. e degli artt. da 52 a 57 del CCNL del 1.7.07, dell’art. 1362 c.c. e art. 132 c.p.c., n. 4, in cui sarebbe incorsa la corte nel ravvisare la sussistenza della giusta causa di licenziamento, fornendo altresì una erronea applicazione del principio di proporzionalità, tra la misura irrogata ed il fatto contestato, in particolare sotto il profilo soggettivo, risultando carente l’accertamento di un atteggiamento di negligenza e inosservanza di leggi o regolamenti, in presenza di un codice disciplinare contenente la esplicita previsione della mera sospensione dal servizio, con privazione di retribuzione fino a 10 giorni, per le inosservanze produttive di indebiti vantaggi a sè o ad altri;
che il primo motivo, è inammissibile.
Pur deducendo, formalmente, il ricorrente, la violazione di norme di legge, le doglianze si traducono nella contestazione della valutazione delle risultanze istruttorie, e nell’inammissibile sollecitazione di un riesame del merito, sia pure formalmente invocandosi una corretta applicazione dei principi in materia di immediatezza relativa in materia di contestazione disciplinare.
Questa corte ha evidenziato, sul punto, come il criterio dell’immediatezza vada inteso in senso relativo, poichè si deve tener conto delle ragioni che possono far ritardare la contestazione, tra cui il tempo necessario per l’espletamento delle indagini dirette all’accertamento dei fatti, tra cui certamente la complessità dell’organizzazione aziendale, e che la valutazione in proposito compiuta dal giudice di merito è insindacabile in sede di legittimità se sorretta da motivazione adeguata e priva di vizi logici (Cass. 12.1.16, n. 281; Cass. 26.6.18, n. 16841), come nel caso di specie.
Ed infatti, la Corte d’Appello, con congrua e corretta motivazione, ha escluso la tardività della contestazione, e quindi, in ragione dei principi sopra richiamati, la lesione del diritto di difesa, a cui, nell’interesse del lavoratore, una tempestiva contestazione è finalizzata, avendo evidenziato, conformandosi ragionevolmente alla valutazione già resa in primo grado, dal Tribunale, che il principio di immediatezza, non appare violato, poichè giustificato il tempo trascorso dallo “svolgimento di un’indagine interna in considerazione della complessità delle fattispecie possibili, delle articolazioni territoriali e della struttura organizzativa della società.”
La corte, attentamente valutando le risultanze istruttorie, ha pure evidenziato come “dall’esame del contenuto della lettera di contestazione di addebito del 29 giugno emerge che i comportamenti oggetto della contestazione non sono costituiti solo da meri fatti storici riscontrati nel corso dell’indagine ispettiva in data 10 maggio 2011, bensì che, successivamente a quei riscontri, sono state effettuate articolate indagini per ricostruire le condotte poste in essere dal ricorrente (vedasi, tra gi altri, gli “ulteriori accertamenti” dai quali era emerso che tale signor B.L. che lo S. aveva dichiarato essere fisicamente presente in ufficio in data 28 aprile 2011 ed aver apposto le firme per traenza e per quietanza su un assegno negoziato e presentato per l’incasso era in realtà deceduto in data *****). Inoltre in tale lettera del 29 giugno viene anche contestata espressamente l’ulteriore condotta, posta in essere in data 11 giugno 2011 consistita nell’essersi il dipendente presentato nella sede di Napoli 12 – nonostante fosse stato formalmente diffidato dall’accedere in ufficio e fosse stato assegnato provvisoriamente ad altra filiale – chiedendo di effettuare un’operazione di emissione o rimborso di BPF dalla postazione dove si trovava l’operatore F.C., e nell’aver proceduto alla negoziazione con contestuale emissione di BPF approfittando del momentaneo allontanamento dell’operatore”.
La corte, quindi, con valutazione conforme ai principi elaborati dal diritto vivente, ed in assenza di alcuna lesione della tutela del legittimo affidamento del lavoratore (Cass. 8.6.09, n. 13167) ha quindi ritenuto giustificato il lasso di tempo trascorso prima della contestazione e prima della irrogazione della sanzione espulsiva, “posto che, nella data invocata dall’appellante 10.5.2011 la società non era in grado di valutare tutti gli elementi idonei all’adozione del provvedimento disciplinare più adeguato, nè erano state poste in essere tutte le condotte che sono state complessivamente apprezzate dalla parte datoriale ai fini dell’esercizio del potere disciplinare” (cfr. pag. 3 della sentenza impugnata).
che il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
Come in più occasione affermato da questa corte, infatti, la valutazione sulla gravità della condotta non può che essere di competenza del giudice del merito che, nella fattispecie, l’ha correttamente eseguito attraverso una motivazione assolutamente congrua, come tale sottratta a censure di legittimità, ritenendo sussistente la proporzionalità della sanzione rispetto alla condotta stessa. Tale apprezzamento di fatto appare adeguatamente giustificato con motivazione sufficiente e non contraddittoria (Cass. 7.4.11, n. 7948; Cass. 25.5.12, n. 8293), avendo posto in rilevo la corte di merito, concordemente al primo giudice, le gravi irregolarità commesse dal ricorrente.
La giusta causa di licenziamento e proporzionalità della sanzione disciplinare costituiscono, infatti, clausole generali, che richiedono di essere concretizzate dall’interprete tramite valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi tacitamente richiamati dalla norma: ossia mediante specificazioni che hanno natura giuridica e la cui disapplicazione è deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, a condizione che la contestazione in tale sede contenga una specifica denuncia di incoerenza del giudizio rispetto agli standards esistenti nella realtà sociale e non si traduca in una richiesta di accertamento della concreta ricorrenza degli elementi fattuali che integrano il parametro normativo, accertamento che è riservato ai giudici di merito (Cass. 13.12.10, n. 25144; Cass. 26.3.18, n. 7426).
Tali allegazioni non sono fornite nel caso di specie in cui la doglianza proposta si traduce nella contestazione di un accertamento in fatto e di una coerente valutazione operata dal giudice di merito, congruamente argomentata (cfr. da ult. cpv p. 4 a terz’ult. cpv parte motiva p. 6 sentenza) Il ricorso deve essere, pertanto, respinto.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza della ricorrente e vanno liquidate a suo carico come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3500,00 per compensi professionali, Euro 200 per esborsi, oltre spese generali, IVA e CPA nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 13 marzo 2019.
Depositato in Cancelleria il 8 maggio 2019
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