LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –
Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –
Dott. CIGNA Mario – rel. Consigliere –
Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 17116-2017 proposto da:
B.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI CONDOTTI 91, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI DI TRAGLIA, rappresentato e difeso dall’avvocato GIOVANNI SIMONETTI;
– ricorrente –
contro
ALLIANZ SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA CRESCENZIO 17/A, presso lo studio dell’avvocato MICHELE CLEMENTE che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
contro
M.A., V.A., T.S., T.S. & C. SAS, ETESLA SARL;
– intimati –
avverso la sentenza n. 1301/2017 della CORTE, D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 01/06/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 15/11/2018 dal Consigliere Dott. MARIO CIGNA.
PREMESSO che:
B.D. convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Forli Etesia srl, V.A. (responsabile Etesia srl per l’Italia), M.A. (agente regionale Etesia srl), T.S. (in proprio e quale legale rappresentante della T.S. & C. sas, concessionaria Etesia srl per *****) per sentirli condannare in solido al risarcimento del danno subito alla gamba destra il 23-3-2000 nel Parco Pubblico di ***** durante una dimostrazione pratica di un taglia erba, marca Etesia, alla quale aveva assistito quale dipendente della Gesturist Cesenatico SpA.
A sostegno della domanda sostenne che nell’occasione, il mezzo, condotto da M.A., mentre stava affrontando un terreno con pendenza superiore al 50%, si impennò, esponendolo alla lama ruotante che lo colpì rovinosamente alla gamba destra.
I convenuti, nonchè la RAS SpA (oggi Allianz) chiamata in causa dalla T. sas, chiesero il rigetto della domanda.
L’adito Tribunale rigettò la domanda.
In particolare osservò che non era stato provato che il M. avesse condotto il tosaerba in un prato avente pendenza oltre il 50%; era stato, invece, accertato che, quando il tagliaerba condotto dal M. si era bloccato a causa del cedimento del terreno e si era alzato nella parte anteriore, il B., tenendo una condotta repentina ed imprevedibile, era sceso dalla cima della collinetta ove si trovava per assistere alla dimostrazione ed era scivolato sul terreno erboso, andando così a finire con la gamba destra sotto la macchina.
Con sentenza 10-2-2017 la Corte d’Appello di Bologna ha rigettato il gravame proposto dal B..
In particolare la Corte territoriale, rilevato che l’azione proposta era basata sull’art. 2043 c.c., ha, in primo luogo, evidenziato che l’attore non aveva assolto all’onere, che sullo stesso incombeva, di provare la condotta dannosa, l’evento ed il nesso di causalità; nello specifico la Corte ha aderito alla ricostruzione dell’accaduto di cui alla sentenza di primo grado, basata su dichiarazioni confessorie valutate nella loro integrità (le dichiarazioni dei convenuti, secondo i quali era stato il B. ad avvicinarsi al tagliaerba, non erano state infatti smentite da quest’ultimo, il quale aveva riferito di non ricordare con esattezza l’accaduto); ciò posto, la Corte ha ritenuto che la condotta del B. (avvicinamento al tosaerba e scivolamento lungo il pendio della collinetta) costituisse causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento (art. 41 c.p., comma 2) e che la pendenza del terreno (superiore a quella del 30% reclamizzata sui depliant del tosaerba e, comunque non dimostrata), fosse elemento del tutto indifferente rispetto all’accaduto.
Avverso detta sentenza B.D. propone ricorso per Cassazione, affidato a tre motivi ed illustrato anche da successiva memoria.
Resiste Allianz SpA con controricorso.
Gli altri intimati Etesia srl, V.A., M.A. e T.S. (in proprio e quale legale rappresentante della T.S. & C. sas) non hanno svolto attività difensiva in questa sede.
CONSIDERATO
che:
Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione degli artt. 115 e 228 c.p.c., e dell’art. 244 c.p.c., comma 3, per avere la Corte d’Appello ricostruito la fattispecie fattuale non già sulla base di testimonianze ma di dichiarazioni rese in sede di interrogatorio formale dai convenuti e ad essi favorevoli.
Il motivo è inammissibile in quanto, in primo luogo, omette di individuare la motivazione della sentenza impugnata con cui sarebbe stata commesso l’errore denunciato (tanto più che nell’esordio dell’illustrazione della doglianza si parla di “errore commesso dal Giudice di primo grado ed anche dal Giudice di secondo grado”); in secondo luogo, per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, in quanto omette di riprodurre (sia direttamente sia indirettamente) le risultanze probatorie degli interrogatori formali dei convenuti, che peraltro nemmeno individua; ne consegue la genericità e, quindi, la mancanza del requisito della specificità, richiesto pure per il motivo di ricorso per Cassazione (conf. da Cass. 4741/2005 a Cass. S.U. 7074/2017, in motivazione).
La doglianza, in ogni modo, non è in linea neanche con quanto statuito nell’impugnata sentenza, che si è pronunciata sul fatto in esito non solo all’esame degli interrogatori formali dei convenuti (come sostenuto in ricorso) ma anche a quello dello stesso attore.
Con il secondo motivo il ricorrente, denunziando violazione dell’art. 2050 c.c., si duole che la Corte territoriale, nonostante fosse stata implicitamente dedotta una responsabilità per esercizio di attività pericolosa ex art. 2050 c.c., abbia rigettato la domanda senza che i convenuti avessero dimostrato di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno.
11 motivo è inammissibile.
Anche detta doglianza, invero, difetta del requisito di specificità, non essendo indicato dove (in quale atto del giudizio di merito) sia stata proposta (anche implicitamente) la domanda per esercizio di attività pericolosa; al riguardo va, peraltro, osservato che, come affermato nella impugnata sentenza, la domanda era stata proposta ai sensi dell’art. 2043 c.c., sicchè occorreva innanzitutto censurare tale affermazione; ne consegue l’inammissibilità anche per mancata correlazione alla ratio decidendi (v. Cass. S.U. 7074/2017, che riprende il consolidato principio di Cass. 359/2005).
Con il terzo motivo il ricorrente, denunziando la violazione dell’art. 41 c.p. e dei principi fondamentali in tema di interruzione del nesso causale, si duole che la Corte territoriale abbia considerato fatto interruttivo del nesso causale una circostanza del tutto prevedibile, quale lo scivolamento su un pendio al 50%.
Il motivo è inammissibile per le stesse ragioni già indicate in relazione al primo motivo; lo stesso, inoltre, è comunque inammissibile anche in quanto sollecita una rivalutazione del materiale istruttorio al fine (non consentito) di far esprimere a questa S.C. un apprezzamento di prevedibilità ad un evento già valutato discrezionalmente dal giudice del merito come eccezionale e non prevedibile; la pendenza al 50% risulta, peraltro, fatto espressamente considerato dalla Corte d’Appello come non provato.
Le considerazioni espresse dal ricorrente nelle memorie ex art. 380 bis non sono idonee a superare i detti rilievi.
Alla luce di tali considerazioni, pertanto, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, poichè il ricorso è stato presentato successivamente al 30-1-2013 ed è stato dichiarato inammissibile, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, norma del citato art. 13, comma 1 bis.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 2.500,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge; dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.
Così deciso in Roma, il 15 novembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 9 maggio 2019