LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Presidente –
Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –
Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –
Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –
Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso n. 10595 – 2015 R.G. proposto da:
C.D., – c.f. ***** – elettivamente domiciliata in Roma, alla piazza del Popolo, n. 18, presso lo studio dell’avvocato Pietro L. Frisani che disgiuntamente e congiuntamente all’avvocato Marisa Trotta la rappresenta e difende in virtù di procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
P.A., – titolare dell'”Impresa Edile P.G.
di P.A.” – p.i.v.a. 02253090480 – elettivamente domiciliato in Roma, alla via Cicerone, n. 49, presso lo studio dell’avvocato Marco Pastacaldi che disgiuntamente e congiuntamente all’avvocato Sergio Benvenuti lo rappresenta e difende in virtù di procura speciale a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 218 dei 20.1/4.2.2015 della corte d’appello di Firenze;
udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del 20 novembre 2018 dal consigliere Dott. Luigi Abete;
udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore generale Dott. Sgroi Carmelo, che ha concluso per l’accoglimento, per quanto di ragione, del secondo, del terzo e del quarto motivo del ricorso principale e per il rigetto del ricorso incidentale;
udito l’avvocato Chiara Del Buono, per delega dell’avvocato Pietro L.
Frisani, per la ricorrente;
udito l’avvocato Luigia D’Amico, per delega dell’avvocato Sergio Benvenuti, per il controricorrente.
FATTI DI CAUSA
Con ricorso in data 10.10.2003 al tribunale di Firenze P.A. – titolare dell'”Impresa Edile P.G. di P.A.” – sulla scorta della fattura n. *****, chiedeva ingiungersi a C.D. il pagamento della somma di Euro 57.860,00, oltre accessori.
Con decreto n. 5257/2003 l’adito tribunale pronunciava l’ingiunzione.
Con atto ritualmente notificato C.D. proponeva opposizione.
Esponeva che nel gennaio 2002 aveva affidato in appalto all’opposto i lavori di ristrutturazione del proprio appartamento, in *****; che si era concordato che una prima parte dei lavori – con esclusione della terrazza – sarebbe stata eseguita durante il periodo estivo, cosicchè ella committente avrebbe potuto far rientro nell’abitazione nel mese di settembre in attesa del completamento delle opere; che si era pattuita la corresponsione di un acconto di Euro 30.000,00 all’avvio dei lavori, di un ulteriore acconto, di eguale importo, al completamento dell’appalto e del saldo finale alla scadenza del termine di quattro mesi dalla fine dei lavori, all’esito dei prescritti collaudi e delle prescritte verifiche in ordine alla corretta esecuzione delle opere.
Esponeva che solo nel dicembre del 2002 le era stato reso possibile il rientro nella propria abitazione; che, rientrata nell’appartamento, aveva constatato l’imperfetta esecuzione dei lavori e l’assoluta inadeguatezza degli impianti.
Esponeva che il direttore dei lavori aveva quantificato in Euro 85.516,13 il valore delle opere – così determinato previo scomputo dal prezzo finale di Euro 109.356,16 del costo delle difformità e del prezzo degli impianti – e dunque in Euro 25.516,13 il saldo a favore dell’impresa appaltatrice; che nondimeno controparte aveva determinato in Euro 112.000,00 il corrispettivo finale e le aveva rimesso la fattura n. ***** dell’importo di Euro 57.860,00, quale ammontare del saldo a suo asserito favore.
Chiedeva revocarsi l’opposta ingiunzione; in via riconvenzionale chiedeva pronunciarsi la risoluzione del contratto d’appalto per grave inadempimento dell’appaltatore e condannarsi controparte al risarcimento dei danni; chiedeva altresì accertarsi l’ammontare del corrispettivo dovuto all’appaltatore e che a tal fine si tenesse conto dei vizi inficianti i lavori eseguiti.
Si costituiva P.A..
Deduceva che l’opponente aveva formulato contestazioni solo ed unicamente con riferimento all’impianto di condizionamento; eccepiva quindi l’intervenuta decadenza dalla garanzia per gli asseriti vizi, viepiù giacchè la committente aveva accettato l’opera.
Instava per il rigetto dell’avversa opposizione.
Con citazione notificata in data 28.10.2003 C.D. conveniva innanzi al tribunale di Firenze P.A., titolare dell'”Impresa Edile P.G. di P.A.”.
Esponeva le medesime circostanze e formulava le stesse conclusioni di cui all’atto di opposizione al decreto ingiuntivo.
Si costituiva P.A..
Instava per il rigetto dell’avversa domanda; in via riconvenzionale chiedeva condannarsi l’attrice al pagamento della somma di Euro 57.860,00, oltre accessori.
Riuniti i giudizi, disposta ed espletata c.t.u., acquisita l’integrazione alla relazione di consulenza, con sentenza n. 2494/2009 il tribunale di Firenze revocava l’ingiunzione n. 5257/2003 e condannava C.D. a pagare ad P.A., quale saldo del corrispettivo, la somma di Euro 21.202,88, oltre i.v.a. ed interessi dal 30.10.2003 al saldo.
Proponeva appello C.D..
Resisteva P.A.; proponeva appello incidentale.
Con sentenza n. 218 dei 20.1/4.2.2015 la corte d’appello di Firenze, in parziale accoglimento dell’appello incidentale ed in parziale riforma della sentenza di primo grado, determinava in Euro 36.591,43 il saldo dovuto dalla committente, con gli interessi come stabiliti dal primo giudice; condannava l’appellante principale alle spese del grado.
Evidenziava la corte, in ordine al motivo del gravame incidentale con il quale l’appaltatore aveva censurato la sentenza di primo grado per omessa motivazione in relazione all’eccepita decadenza dalla garanzia e quindi in ordine all’assolvimento dell’onere gravante sulla committente volto a dimostrare viceversa la tempestività della denunzia dei vizi e delle difformità, che la prova testimoniale invocata a tal specifico fine dalla C., disattesa in prime cure dall’istruttore e non vagliata in sede di decisione di primo grado, non era stata reiterata col gravame principale, sicchè doveva reputarsi abbandonata; che dunque l’assunto della principale appellante circa la tempestività della denunzia e circa il riconoscimento dei vizi e delle difformità da parte dell’appaltatore non meritava alcun seguito.
Evidenziava altresì, in ordine al motivo del gravame incidentale con il quale l’appaltatore aveva addotto che si era riscontrato comunque il funzionamento degli impianti di condizionamento ed idrico, che “ciò di cui si controverte non è un vizio afferente la funzionalità ma una difformità rispetto alle esigenze ovvero alle previsioni contrattuali” (così sentenza d’appello, pag. 7).
Evidenziava inoltre che il direttore dei lavori, incaricato dalla committente, aveva, in contraddittorio con le parti, determinato il prezzo dell’appalto in Euro 108.000,00, superiore a quello – Euro 94.000,00 – poi individuato dal c.t.u.; che doveva reputarsi prevalente la prima valutazione, siccome “proveniente dal mandatario della committente e dunque dotata di valore vincolante per la C.” (così sentenza d’appello, pag. 7).
Evidenziava d’altra parte che l’appellante incidentale non aveva specificamente censurato la statuizione di primo grado nella parte in cui il tribunale aveva “ritenuto di dover procedere ad una determinazione giudiziale del prezzo in assenza di una determinazione che fosse stata concordata tra le parti” (così sentenza d’appello, pagg. 7 – 8); che quindi non poteva darsi seguito alla nuova valutazione del prezzo dell’appalto proposta dal P., ostandovi l’art. 342 c.p.c..
Evidenziava ulteriormente che senza dubbio il primo giudice non aveva pronunciato in merito alla domanda di risoluzione del contratto per inadempimento dell’appaltatore; che tuttavia l’inadempimento del P. era da considerare di scarsa importanza, sì da non giustificare la risoluzione del vincolo.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso C.D.; ne ha chiesto sulla scorta di sei motivi la cassazione con ogni susseguente pronuncia anche in ordine alle spese.
P.A. ha depositato controricorso, contenente ricorso incidentale articolato in due motivi; ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi l’avverso ricorso ed, in accoglimento del ricorso incidentale, cassarsi la sentenza della corte di Firenze; in ogni caso con il favore delle spese.
La ricorrente principale ha depositato controricorso onde resistere all’avverso ricorso incidentale.
La ricorrente principale ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente principale denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione degli artt. 99e 112 c.p.c.; la nullità della sentenza.
Deduce che la corte di merito non ha trattato le ulteriori doglianze veicolate dai primi due motivi del gravame principale, ossia che, benchè rientrata, per abitarvi, nell’appartamento, siffatta circostanza non equivaleva – contrariamente all’assunto del primo giudice – ad accettazione tacita da parte sua delle opere e che costituiva inadempimento dell’appaltatore, “scoperto” in corso di causa, il posizionamento sul soffitto di travi non previste nel progetto.
Deduce che la corte distrettuale ha invero erroneamente reputato assorbente rispetto alle surriferite doglianze la ritenuta sua decadenza dalla addotta tempestività della denunzia dei vizi e delle difformità.
Con il secondo motivo la ricorrente principale denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione degli artt. 99,112 e 113 c.p.c. “per assorbimento nella decadenza ex art. 346 c.p.c. dei vizi di cui all’art. 1667 c.c., comma 2” (così ricorso principale, pag. 9); la nullità della sentenza per omessa pronuncia.
Deduce che la corte territoriale ha omesso ogni decisione in ordine al secondo motivo dell’appello principale, ancorchè veicolante censura del tutto autonoma rispetto al riscontro dell’avvenuta (o meno) decadenza.
Deduce che segnatamente con il secondo motivo di gravame – con cui aveva censurato il primo dictum nella parte in cui il tribunale aveva assunto che il cattivo posizionamento delle travi dipendeva da errore progettuale anzichè dall’inosservanza del progetto da parte dell’appaltatore – ha provveduto ad addurre non già un mero vizio, sibbene un inadempimento di cui unicamente gli esiti della c.t.u. avevano dato riscontro.
Deduce che per giunta l’appaltatore ha tentato in mala fede, in corso di causa, di occultare il divergente posizionamento delle travi rispetto al progetto strutturale.
Deduce dunque che siffatto grave inadempimento, taciuto dall’appaltatore ed acclarato a mezzo della c.t.u., esula dalla decadenza dalla garanzia per le difformità e i vizi delle opere, che la corte di Firenze ha inteso affermare.
Con il terzo motivo la ricorrente principale denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per violazione di legge, per irriducibile contrasto tra affermazioni inconciliabili.
Deduce che la corte toscana, per un verso, ha riconosciuto fondate le doglianze da ella addotte in ordine all’impianto di condizionamento ed all’impianto idrico e nondimeno ha reputato di gravare ella committente dell’importo di Euro 13.357,78; per altro verso, ha ritenuto che non fossero da scomputare dal saldo del prezzo dell’appalto il costo – Euro 930,77 – della valvola termostatica ed il costo dell’impianto di dispersione a terra – Euro 1.100,00 – quantunque P.A., a seguito dei riscontri operati dal c.t.u., avesse rinunciato al relativo pagamento.
Deduce quindi che la corte d’appello ha indebitamente onerato ella ricorrente, in aggiunta all’importo di Euro 21.202,88 riconosciuto all’appaltatore dal primo giudice, del pagamento dell’ulteriore importo di Euro 15.388,55 (Euro 13.357,78, Euro 930,77 ed Euro 1.100,00).
Con il quarto motivo la ricorrente principale denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.
Deduce che il c.t.u. ha accertato la mancanza del sistema di dispersione a terra dell’impianto elettrico e la mancanza della valvola termostatica; che gli importi di Euro 1.100,00 e di Euro 930,77, siccome si ha riscontro alla stregua delle relazioni di c.t.u., rappresentano, contrariamente all’assunto della corte di merito, i costi per porre rimedio, rispettivamente, all’una e all’altra deficienza.
Deduce che pur con riferimento alle testè riferite deficienze ha domandato la risoluzione del contratto per inadempimento dell’appaltatore e tuttavia del tutto ingiustificatamente la corte distrettuale ha escluso la gravità dell’inadempimento ascrivibile alla controparte.
Con il quinto motivo la ricorrente principale denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione delle norme in materia di rappresentanza e di mandato in tema di direzione dei lavori in ipotesi di stipulazione di un contratto d’appalto.
Deduce che ha errato la corte territoriale a reputare il prezzo dell’appalto pari all’importo – Euro 108.000,00 – determinato dal direttore dei lavori, anzichè pari all’importo – Euro 94.000,00 – determinato dal c.t.u..
Deduce, da un lato, che il direttore dei lavori ha riferito di aver redatto la contabilità finale su richiesta dell’appaltatore e di non aver reso partecipe ella ricorrente nè per i prezzi nè per l’elencazione dei vizi; dall’altro, che non ha conferito alcun mandato al direttore dei lavori nè ha manifestato alcun consenso o accettazione in ordine alla contabilità finale da costui redatta, sicchè in nessun modo ne è vincolata.
Deduce ulteriormente, da un canto, che il c.t.u. ed i c.t.p., all’esito di interminabili discussioni, hanno concordato in ordine al prezzo dell’appalto; d’altro canto, che il direttore dei lavori ha stilato la contabilità a contenzioso insorto.
Deduce infine che il direttore dei lavori è un mero rappresentante tecnico del committente, non già un suo mandatario; che anche l’appaltatore ha contestato la contabilità finale del direttore dei lavori.
Con il sesto motivo la ricorrente principale denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione di legge in relazione alla dichiarata inammissibilità della domanda di liquidazione dei danni derivanti dall’inadempimento dell’appaltatore.
Deduce che, contrariamente all’assunto della corte di Firenze, ai fini del risarcimento del danno aveva con l’atto di gravame, a censura del primo dictum, dato conto del disagio abitativo sofferto e della menomata possibilità di godimento dell’immobile nonchè della minore commerciabilità del cespite, da correlare a difformità strutturali tali da imporre l’esecuzione, in appalto, di nuovi lavori.
Deduce quindi che, a fronte dell’acclarat:a responsabilità dell’appaltatore, ben avrebbe potuto la corte toscana liquidare il danno in via equitativa.
Con il primo motivo il ricorrente incidentale denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la falsa applicazione dell’art. 1667 c.c., commi 1 e 2, la violazione degli artt. 1324,1363,1364,1366 e 1370 c.c.; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 l’omesso esame circa fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.
Deduce che il contenuto della lettera del 31.1.2003 indirizzata dal direttore dei lavori alla “Sitic” s.r.l. e ad egli appaltatore, sulla cui scorta la corte d’appello ha reputato tempestiva la denunzia dei vizi asseritamente afferenti all’impianto di condizionamento, all’impianto idrico ed all’impianto elettrico, è stato dalla stessa corte erroneamente interpretato.
Deduce in particolare che la lettera del 31.1.2003 non può valere come denuncia di vizi e difformità ai fini di cui all’art. 1667 c.c..
Deduce inoltre che l’affermazione della corte di merito, secondo cui non aveva nè dedotto nè dimostrato di essere nudus minister, è del tutto erronea.
Deduce infine che ben avrebbe dovuto la corte distrettuale ammettere la prova testimoniale.
Con il secondo motivo il ricorrente incidentale denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c., la nullità della sentenza e del procedimento d’appello.
Deduce che ha errato la corte territoriale a reputare non specifico il quarto motivo dell’appello incidentale con cui aveva censurato il primo dictum con riferimento alla determinazione del prezzo dell’appalto operata dal tribunale.
Deduce che “la riproposizione di specifiche argomentazioni contenute nei precedenti scritti difensivi è sicuramente sufficiente ad integrare il requisito della specificità dei motivi (d’appello) non essendo peraltro richieste formule sacramentali” (così ricorso incidentale, pagg. 34 – 35).
Il primo ed il secondo motivo del ricorso principale sono strettamente connessi. Se ne giustifica perciò la disamina contestuale. Ambedue i motivi comunque sono fondati e meritevoli di accoglimento nei termini che seguono.
E’ da disconoscere in primo luogo che la corte di Firenze, ancorchè abbia affermato che “l’accoglimento dell’eccezione di decadenza assorbe le doglianze di cui ai primi due motivi dell’appello principale” (così sentenza d’appello, pag. 6), ha omesso di pronunciarsi sul primo motivo dell’appello principale, con il quale C.D. aveva addotto, a censura della prima statuizione, che il suo rientro nell’abitazione “non poteva venir qualificato come accettazione dell’opera senza riserve, dal momento che i lavori non erano terminati e dunque non poteva configurarsi una consegna dell’opera” (così sentenza d’appello, pag. 5).
Invero la corte toscana, dopo aver puntualizzato che costituiva risultanza inequivoca che la C. si fosse trasferita “nella propria abitazione allorchè l’opera (…) era compiuta” (così sentenza d’appello, pag. 5), risultanza che evidentemente era idonea a rendere, in linea di principio, possibile l’accettazione dei lavori (difatti questa Corte spiega che nell’appalto, ai fini della garanzia per difformità e vizi dell’opera, la consegna e l’accettazione dell’opera non sono configurabili quando l’opera non sia portata a compimento quanto meno nei suoi elementi essenziali: cfr. Cass. 5.6.1978, n. 2811), ha tuttavia specificato che, anche al cospetto di siffatta risultanza, “non è dato di intravedere la ragione per cui la C., che pure era ancora debitrice del P. per il saldo del prezzo, avrebbe dovuto rinunciare a far valere i vizi” (così sentenza d’appello, pag. 5). Ed ha debitamente soggiunto che i vizi per i quali era controversia, “erano per buona parte ed anche quando si tratti di vizi riconoscibili, di natura tale da richiedere tempo ed esperienza per la relativa evidenziazione” (così sentenza d’appello, pagg. 5 – 6).
In tal guisa la corte di seconde cure ha escluso, in concreto, che il rientro della principale appellante nel proprio appartamento avesse valenza di accettazione dell’opera e, per giunta, ha precisato che, seppur accettazione si fosse inteso scorgere, il carattere tendenzialmente non riconoscibile dei vizi non avrebbe comportato – a cagione dell’asserita accettazione – decadenza dalla garanzia (difatti questa Corte spiega che l’accettazione senza riserve dell’opera appaltata determina il venir meno per il committente, a norma dell’art. 1667 c.c., comma 1, della garanzia per eventuali difformità o vizi che erano da lui riconosciuti o riconoscibili: cfr. Cass. 18.1.1983, n. 466).
In tal guisa non si giustifica il rilievo della principale ricorrente secondo cui la corte d’appello, che pur non avrebbe condiviso “l’equivalenza affermata dal primo giudice tra rientro e accettazione (…), non trae alcuna conseguenza dal ragionamento sviluppato” (così ricorso principale, pag. 8).
La corte di merito infatti ha negato recisamente – in tal maniera espressamente pronunciandosi – che a seguito e per effetto del rientro di C.D., all’esito del compimento dei lavori, nell’appartamento vi fosse stata accettazione delle opere e decadenza – per questa, si badi, specifica ragione – dalla garanzia ex art. 1667 c.c. per le difformità e i vizi.
E’ da riconoscere in secondo luogo che la corte di Firenze, allorchè ha affermato che “l’accoglimento dell’eccezione di decadenza assorbe le doglianze di cui ai primi due motivi dell’appello principale” (così sentenza d’appello, pag. 6), ha viceversa omesso di pronunciarsi – rectius ha omesso del tutto di motivare – sul secondo motivo dell’appello principale, con il quale C.D. aveva addotto, a censura della prima statuizione, che costituiva inadempimento, riscontrato all’esito dell’operazioni di consulenza tecnica d’ufficio (“l’atto di appello, pag. 12 (…) richiama l’accertamento della c.t.u. 2004 pag. 19 lett. c “la trave di supporto al piano copertura messa in opera e posta sull’architrave della finestra, risulta essere in posizione difforme rispetto a quanto previsto e presentato al Genio Civile””: così ricorso principale, pag. 9), e non già mero vizio il posizionamento delle travi nel soffitto in spregio alle indicazioni contrattuali, posizionamento fattore e causa, a sua volta, del “quadro fessurativo” (“quadro fessurativo” di cui fa menzione pur il controricorrente, benchè per addurre che “è sempre stato esaminato nell’ottica di vizio dell’opera e non certo dell’inadempimento sottratto all’onere della preventiva denuncia”: così controricorso, pag. 20).
Non si nega in verità che, in tema di appalto, l’art. 1668 c.c., nell’enunciare il contenuto della garanzia prevista dall’art. 1667 c.c., attribuisce al committente, oltre all’azione per l’eliminazione dei vizi dell’opera a spese dell’appaltatore o di riduzione del prezzo, anche quella di risoluzione del contratto, salvo il risarcimento del danno in caso di colpa dell’appaltatore; sicchè, trattandosi di azioni comunque riferibili alla responsabilità connessa alla garanzia per vizi o difformità dell’opera e destinate ad integrarne il contenuto, i termini di prescrizione e di decadenza di cui al citato art. 1667 c.c. si applicano anche all’azione di risoluzione del contratto ex art. 1668 c.c., comma 2, atteso che il legislatore ha inteso contemperare l’esigenza della tutela del committente a conseguire un’opera immune da difformità e vizi con l’interesse dell’appaltatore ad un accertamento sollecito delle eventuali contestazioni in ordine a un suo inadempimento nell’esecuzione della prestazione (cfr. Cass. 18.2.2016, n. 3199; Cass. 19.1.2016, n. 815).
Di guisa che non si giustifica la prospettazione della ricorrente principale secondo cui con la decisione di cui, in parte qua agitur, si adduce l’omissione, non interferirebbe la decadenza ex art. 1667 c.c., comma 2, “trattandosi di inadempimento e non di vizio” (così ricorso principale, pag. 9).
E del pari non si nega che l’appellante che intende ottenere il riesame delle istanze istruttorie non ammesse o non esaminate in primo grado ha l’onere, in ragione dell’effetto devolutivo dell’appello, di reiterarle nell’atto introduttivo del gravame ai sensi degli artt. 342 e 345 c.p.c., ma non anche ai sensi dell’art. 346 c.p.c., che riguarda l’appellato vittorioso, il quale può solo riproporre le domande ed eccezioni che non sono state accolte in primo grado ovvero non esaminate perchè ritenute assorbite (cfr. Cass. 24.11.2015, n. 23978).
Di guisa che si giustifica l’affermazione della corte distrettuale secondo cui C.D., soccombente in prime cure ed appellante principale, disattesa dall’istruttore di primo grado la sua istanza di prova per testimoni (volta a dar ragione della tempestività della denunzia), per giunta neppur disaminata dalla statuizione di prime cure, avrebbe dovuto “riproporre quelle istanze istruttorie con l’atto di gravame” (così sentenza d’appello, pag. 6).
Ciò nonostante questo Giudice del diritto spiega che nel giudizio promosso dal committente nei confronti dell’appaltatore con azione di garanzia, ai sensi degli artt. 1667 e 1668 c.c., qualora venga disposta consulenza tecnica di ufficio al fine di accertare difformità o vizi occulti dell’opera, il committente, in relazione ai difetti riscontrati da tale consulenza, non è tenuto alla denuncia contemplata, a pena di decadenza, dall’art. 1667 c.c., comma 2, atteso che la controparte già conosce o è in grado di conoscere l’esito dell’indagine peritale (cfr. Cass. 28.1.2015, n. 1585; Cass. 27.2.1991, n. 2110).
Cosicchè – e pur a prescindere dall’asserita mala fede dell’appaltatore (cfr. al riguardo Cass. 19.8.2009, n. 18402, secondo cui, in tema di appalto, la piena consapevolezza da parte dell’appaltatore dell’esistenza di vizi nell’opera appaltata e del loro carattere occulto agli occhi del committente, unitamente ad un comportamento reticente e di mala fede nei confronti di quest’ultimo, è da ritenersi equivalente al doloso occultamento, quale circostanza idonea ad esonerare il committente medesimo dall’obbligo della denuncia dei vizi, ai sensi dell’art. 1667 c.c., comma 2) – per nulla si legittima il postulato che la corte territoriale ha inteso affermare, ovvero l’assorbimento del secondo motivo dell’appello principale nell’operato riscontro della decadenza dalla (prova volta a dimostrare la) tempestiva denunzia ex art. 1667 c.c., comma 2.
Soccorre a denegare legittimità al postulato affermato dalla corte di Firenze l’insegnamento di questa Corte a tenor del quale, ove si escluda, rispetto ad una certa questione proposta, la correttezza della valutazione di assorbimento, avendo questa costituito l’unica motivazione della decisione assunta, ne risulta (propriamente) il vizio di motivazione del tutto omessa (cfr. Cass. 27.12.2013, n. 28663; Cass. (ord.) 12.11.2018, n. 28995).
Il terzo ed il quarto motivo del ricorso principale del pari sono strettamente correlati. Il che analogamente ne suggerisce l’esame simultaneo. Entrambi i motivi comunque sono fondati e meritevoli di accoglimento nei termini che seguono.
Si giustifica la denuncia, specificamente veicolata dal terzo motivo (del ricorso principale), di “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” – ipotesi di “anomalia motivazionale” rilevante alla luce dell’insegnamento delle sezioni unite di questa Corte n. 8053 del 7.4.2014, nel segno, a rigore, della previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – in rapporto al passaggio motivazionale alla cui stregua la corte d’appello, pur “riconoscendo (la tempestività al riguardo della denunzia ex art. 1667 c.c., comma 2 e) l’inadeguatezza e la difformità degli impianti” (così ricorso principale, pag. 11), ha nondimeno accordato all’appaltatore l’ulteriore corrispettivo di Euro 13.357,78, in aggiunta all’importo di Euro 21.202,88 già riconosciuto ad P.A. dal tribunale.
Segnatamente dal testo dell’impugnato dictum non si evince la ragione per cui la corte di merito ha inteso riconoscere all’appaltatore l’ulteriore quantum di Euro 13.357,78, sebbene abbia ritenuto di avallare i rilievi del c.t.u. in ordine al sovradimensionamento del sistema di condizionamento ed in ordine alle difformità rispetto alle previsioni contrattuali dell’impianto idrico.
Più esattamente si è al cospetto di un passaggio motivazionale “obiettivamente incomprensibile” (“anomalia motivazionale” del pari rilevante alla luce della pronuncia delle sezioni unite n. 8053/2014), viepiù se si tiene conto che, per un verso, la corte distrettuale ha dato atto che il primo giudice in virtù dei condivisi rilievi del consulente aveva fatto propria la riduzione del corrispettivo d’appalto indicata dall’ausiliario e quindi riconosciuto all’appaltatore un minor credito di Euro 21.202,88, che, per altro verso, la corte distrettuale ha respinto il primo motivo del gravame incidentale, con cui P.A. aveva censurato, in parte qua agitur, appunto, la statuizione di prime cure.
Non sfugge in verità che il controricorrente ha precisato che “la condanna della committente a corrispondere al resistente oltre all’importo già ad esso attribuito dal Tribunale (pari ad Euro 21.202,88) la ulteriore somma di Euro 15.388,55 (Euro 13.357,78, Euro 930,77 ed Euro 1.100,00) (…) deriva, molto semplicemente, dal fatto che la Corte, avendo esattamente ritenuto inesistente la denuncia dei vizi e dei difetti e dunque la decadenza della committente dalla garanzia per i vizi, ha riformato la sentenza del Tribunale, che aveva decurtato l’importo del corrispettivo di Euro 13.357,78” (così controricorso, pag. 21).
Ebbene, si ammetta pure che il riconoscimento dell’ulteriore quantum si correla e si esplicita alla luce del passaggio motivazionale a tenor del quale la corte territoriale ha ritenuto che la riscontrata decadenza dalla tempestiva denunzia ex art. 1667 c.c., comma 2 “travolge quella parte della sentenza gravata che aveva ridotto il prezzo in relazione ai vizi dei quali si tratta” (così sentenza d’appello, pag. 6), sì da far “lievitare” in aumento il corrispettivo dell’appalto.
E tuttavia è fuor di dubbio che l’accoglimento nei limiti in precedenza enunciati dei primi due mezzi dell’impugnazione principale giustifica e comporta ex se il buon esito, in parte qua agitur, dei mezzi d’impugnazione ora in disamina: la disconosciuta necessità della denuncia ex art. 1667 c.c., comma 2, nei termini ancorati alle pronunce di questa Corte n. 1585/2015 e n. 2110/1991, più non giustifica l’affermata caducazione della sentenza di prime cure nella parte in cui “aveva ridotto il prezzo in relazione ai vizi dei quali si tratta” (così sentenza d’appello, pag. 6).
Si giustifica la denuncia di “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” anche in rapporto al passaggio motivazionale alla cui stregua la corte di Firenze, in parziale accoglimento del primo motivo dell’appello incidentale, ha inteso accordare all’appaltatore gli ulteriori importi – che il primo giudice aveva decurtato dal saldo dovuto – di Euro 930,77, corrispondente al costo della valvola termostatica, e di Euro 1.100,00, corrispondente al costo dell’impianto di dispersione a terra.
Si è invero analogamente al cospetto di un passaggio motivazionale “obiettivamente incomprensibile”, se si tiene conto che la stessa corte fiorentina ha dato atto che al riguardo “il P. non aveva chiesto compensi” (così sentenza d’appello, pag. 7) e che il controricorrente ha riferito che il corrispettivo della valvola termostatica e della “messa a terra dell’impianto elettrico” “non era stato affatto richiesto” (così controricorso, pag. 22).
La rinuncia al corrispettivo avrebbe dovuto indurre verosimilmente a defalcare le “voci” suddette dal saldo dovuto.
Non si giustifica viceversa la censura veicolata dal profilo finale del quarto mezzo dell’impugnazione principale.
Occorre tener conto che, in materia di responsabilità contrattuale, la valutazione della gravità dell’inadempimento ai fini della risoluzione di un contratto a prestazioni corrispettive, ai sensi dell’art. 1455 c.c., costituisce questione di fatto, la cui valutazione è rimessa al prudente apprezzamento del giudice del merito, risultando insindacabile in sede di legittimità ove sorretta da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici (cfr. Cass. 30.3.2015, n. 6401).
E ciò tanto più che, in tema di appalto, la disciplina dettata dell’art. 1668 c.c., in deroga a quella stabilita in via generale in materia di inadempimento del contratto, consente al committente di chiedere la risoluzione del contratto soltanto nel caso in cui i difetti dell’opera, incidendo in modo notevole sulla struttura e sulla funzionalità della stessa, siano tali da renderla del tutto inadatta alla sua destinazione ovvero all’uso cui sia preordinata, non assumendo, al riguardo, rilevanza il profilo estetico dell’opera (cfr. Cass. (ord.) 15.12.2011, n. 26965).
Ebbene in tal guisa è innegabile, nei limiti della novella formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (evidentemente l’asserito vizio motivazionale de quo agitur non può che rilevare in relazione alla previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) e nel solco dell’insegnamento delle sezioni unite di questa Corte n. 8053/2014, che l’iter motivazionale che sorregge in parte qua il dictum della corte toscana – ben vero a prescindere dalle valutazioni ulteriori da compiersi in sede di rinvio – risulta in toto ineccepibile sul piano della correttezza giuridica ed assolutamente congruo ed esaustivo.
La corte toscana ha esplicitato – il che è congruo ed esaustivo – che l’inadempimento del P., “per entità delle opere cui si riferisce, per entità delle conseguenze, che ne sono scaturite, per entità dei costi necessari a porvi rimedio, per entità delle difformità riscontrate” (così sentenza d’appello, pag. 8), era da considerare di scarsa importanza, sì da non giustificare la risoluzione del vincolo.
Il quinto motivo del ricorso principale è viceversa destituito di fondamento.
Va debitamente rimarcato che allorquando la corte d’appello ha dato atto che il direttore dei lavori, incaricato dalla committente, aveva, in contraddittorio con le parti, determinato il prezzo dell’appalto in Euro 108.000,00, ha altresì soggiunto che “l’appellante principale nulla ha obiettato sul punto, così come nulla aveva rilevato in prime cure” (così sentenza d’appello, pag. 7).
Orbene siffatta affermazione della corte di merito non è stata in modo specifico e puntuale censurata dalla C. con il quinto mezzo della sua impugnazione a questa Corte.
In ogni caso, in tema di appalto, il direttore dei lavori è rappresentante del committente, tant’è che nei confronti del committente è responsabile (cfr. Cass. 13.4.2015, n. 7370).
In questi termini si evidenzia quanto segue.
La ricorrente principale non può sic et simpliciter, genericamente, addurre che non ha accettato la contabilità finale dei lavori. Viepiù al cospetto del rilievo della corte distrettuale secondo cui il direttore dei lavori “è pervenuto, nel contraddittorio delle parti, a determinare il prezzo dell’appalto” (così sentenza d’appello, pag. 7).
La ricorrente principale non può sollecitare questo Giudice del diritto alla “rilettura” delle risultanze istruttorie (“come emerge agli atti è il D.L. che asserisce (…)”: così ricorso principale, pag. 13; “è pacifico e risulta agli atti che nessun mandato (…)”: così ricorso principale, pag. 13; “se la Corte si fosse data la pena di leggere i documenti (…)”: così ricorso principale, pag. 13).
Difatti il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892).
Destituito di fondamento è pur il sesto motivo del ricorso principale.
Questo Giudice del diritto spiega l’esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c., presuppone che sia provata l’esistenza di danni risarcibili e che risulti obiettivamente impossibile o particolarmente difficile provare il danno nel suo preciso ammontare, sicchè grava sulla parte interessata l’onere di provare non solo l'”an debeatur” del diritto al risarcimento, ove sia stato contestato o non debba ritenersi “in re ipsa”, ma anche ogni elemento di fatto utile alla quantificazione del danno e di cui possa ragionevolmente disporre nonostante la riconosciuta difficoltà, sì da consentire al giudice il concreto esercizio del potere di liquidazione in via equitativa, che ha la sola funzione di colmare le lacune insuperabili ai fini della precisa determinazione del danno stesso (cfr. Cass. 8.1.2016, n. 127; Cass. 17.10.2016, n. 20889; Cass. 19.3.1980, n. 1837).
In tal guisa, allorquando la corte territoriale ha puntualizzato che C.D. “nei due gradi di giudizio non (ha) mai (…) indicato in che cosa siano consistiti i ridetti danni” (così sentenza d’appello, pag. 9), ha – evidentemente – inteso rimarcare che la principale appellante non solo non aveva provato, ma, ancor prima, neppure aveva fornito allegazione e di un pregiudizio effettivo e di concreti elementi di fatto utili alla quantificazione dell’asserito pregiudizio.
Invero “il minor godimento del bene”, il “disagio abitativo” ed “il pregiudizio alla commerciabilità del bene immobile” appaiono prospettazioni del tutto indefinite, evanescenti, inidonee a dar contezza di una menomazione concreta e reale.
Privo di fondamento è il primo motivo del ricorso incidentale.
Ovviamente l’interpretazione degli atti di autonomia privata costituisce attività riservata al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizi di motivazione (cfr. Cass. 22.2.2007, n. 4178, e Cass. 2.5.2006, n. 10131).
Ebbene non si scorgono nè l’addotto difetto di specifica motivazione, nè le addotte violazioni e false applicazioni di legge.
La corte di Firenze ha dato atto – in sede di disamina del primo motivo dell’appello incidentale – che con “la lettera datata 31 gennaio 2003 diretta dal direttore dei lavori (…) all’appaltatore, (…) veniva espressamente denunciata una serie di difetti negli impianti” (così sentenza d’appello, pag. 6).
Al contempo questa Corte spiega che, in tema di appalto, ai fini di cui all’art. 1667 c.c. non è necessaria una denuncia specifica ed analitica delle difformità e dei vizi dell’opera, tale, cioè, da consentire l’individuazione di ogni anomalia di quest’ultima, essendo, per converso, sufficiente ad impedire la decadenza del committente dalla garanzia cui è tenuto l’appaltatore una pur sintetica indicazione delle difformità (nella specie, attraverso la spedizione di un telegramma), suscettibile di conservare l’azione di garanzia anche con riferimento a quei difetti accertabili, nella loro reale sussistenza, solo in un momento successivo (cfr. Cass. 23.1.1999, n. 644; Cass. 25.5.2011, n. 11520; Cass. 7.12.1981, n. 6479).
Non merita seguito quindi la prospettazione del ricorrente incidentale secondo cui con la missiva datata 31.1.2003 venivano “semplicemente espresse delle doglianze sulla scarsa qualità delle macchine (che componevano gli impianti)” (così ricorso incidentale, pag. 27) ed avanzate “critiche e riserve sulla qualità dei prodotti che componevano gli impianti e non sulla presenza di vizi e difetti” (così ricorso incidentale, pag. 29).
D’altro canto, allorchè il ricorrente incidentale adduce che “aveva allegato che i macchinari che componevano gli impianti (…) erano stati scelti e voluti dalla committente” (così ricorso incidentale, pag. 30), analogamente sollecita questa Corte di legittimità al riesame delle risultanze istruttorie.
Cosicchè parimenti riveste valenza l’insegnamento di questa Corte n. 11892/2016 menzionato in sede di disamina del quinto motivo del ricorso principale.
Da ultimo, in ordine al rilievo finale veicolato dal primo mezzo dell’impugnazione incidentale, è sufficiente porre in risalto che non è censurabile in sede di legittimità il giudizio (anche implicito) espresso dal giudice di merito in ordine alla superfluità della prova testimoniale dedotta da una parte, specie quando lo stesso giudice abbia, con ragionamento logico e giuridicamente corretto, ritenuto di avere già raggiunto, in base all’istruzione probatoria già esperita, la certezza degli elementi necessari per la decisione (cfr. Cass. 27.7.1993, n. 8396). Ed, altresì, che la motivazione di rigetto di un’istanza di mezzi istruttori non deve essere necessariamente data in maniera espressa, potendo la stessa ratio decidendi, che ha risolto il merito della lite, valere da implicita esclusione della rilevanza dei mezzi dedotti ovvero da implicita ragione del loro assorbimento in altri elementi acquisiti al processo (cfr. Cass. 16.6.1990, n. 6078).
Tanto a prescindere dal rilievo della ricorrente principale, che certo osta alla qualificazione dell’appaltatore in guisa di mero nudus minister, secondo cui “la ditta (appaltatrice) ha incluso e fatturato al pari delle altre opere gli impianti che si era impegnata a realizzare” (così controricorso al ricorso incidentale, pag. 2), sicchè aveva comunque provveduto all’acquisto dei macchinari costituenti gli impianti.
Privo di fondamento è pur il secondo motivo del ricorso incidentale.
E’ fuor di dubbio che, ai fini della specificità dei motivi d’appello richiesta dall’art. 342 c.p.c., l’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto invocate a sostegno del gravame può sostanziarsi anche nella prospettazione delle medesime ragioni addotte nel giudizio di primo grado, purchè ciò determini una critica adeguata e specifica della decisione impugnata e consenta al giudice del gravame di percepire con certezza il contenuto delle censure in riferimento alle statuizioni adottate dal primo giudice (cfr. Cass. 12.2.2016, n. 2814; Cass. sez. un. 25.11.2008, n. 28057).
In questi termini la corte d’appello, seppur concisamente, ha congruamente ritenuto che non si fosse al cospetto di una critica adeguata e specifica al primo dictum.
Tanto, ben vero, a prescindere dal rilievo per cui è lo stesso ricorrente incidentale che dà atto che il motivo di impugnazione, recte il quarto motivo dell’appello incidentale, è stato “ritenuto fondato nel merito” (così ricorso incidentale, pag. 35), evidentemente allorchè la corte distrettuale ha comunque determinato in Euro 108.000,00 il corrispettivo dell’appalto, determinazione impregiudicata all’esito ed in dipendenza del rigetto del quinto motivo del ricorso principale.
In accoglimento per quanto di ragione del primo, del secondo, del terzo e del quarto motivo del ricorso principale la sentenza n. 218 dei 20.1/4.2.2015 della corte d’appello di Firenze va cassata con rinvio ad altra sezione della stessa corte.
All’enunciazione – in ossequio alla previsione dell’art. 384 c.p.c., comma 1 – del principio di diritto – al quale ci si dovrà uniformare in sede di rinvio – può farsi luogo per relationem, nei medesimi termini espressi dalle massime desunte dagli insegnamenti di questa Corte n. 1585/2015 e n. 2110/1991 dapprima citati.
In sede di rinvio si provvederà alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
Il ricorso principale è (in parte) da accogliere.
Non sussistono i presupposti perchè, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, la ricorrente principale, C.D., sia tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione a norma dell’art. 13, comma 1 bis D.P.R. cit..
Il ricorso incidentale è da respingere.
Sussistono i presupposti perchè, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, il ricorrente incidentale, P.A., sia tenuto a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione a norma dell’art. 13, comma 1 bis D.P.R. cit..
P.Q.M.
La Corte così provvede:
accoglie per quanto di ragione il primo motivo, il secondo motivo, il terzo motivo ed il quarto motivo del ricorso principale;
cassa – in relazione e nei limiti degli accolti motivi del ricorso principale – la sentenza n. 218 dei 20.1/4.2.2015 della corte d’appello di Firenze;
rinvia ad altra sezione della corte d’appello di Firenze anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità;
rigetta il quinto motivo ed il sesto motivo del ricorso principale;
rigetta il ricorso incidentale;
non sussistono i presupposti perchè, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, la ricorrente principale, C.D., sia tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione a norma dell’art. 13, comma 1 bis D.P.R. cit.; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, P.A., dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis D.P.R. cit..
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sez. seconda civ. della Corte Suprema di Cassazione, il 20 novembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 10 maggio 2019
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