Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.13823 del 22/05/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Gianluca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

(ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 5 e art. 380-bis.1 c.p.c.) sul ricorso (iscritto al N. R.G. 2332/’15) proposto da:

G.A., (C.F.: *****), quale titolare dell’omonima azienda agricola, rappresentato e difeso, in forza di procura speciale a margine del ricorso, dall’Avv. Domenico Conti ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. Stefano Lupis, in Roma, Viale Mazzini, n. 6;

– ricorrente principale –

contro

V.A., (C.F.: *****), quale titolare dell’omonima ditta, rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale a margine del controricorso, dagli Avv.ti Massimo Battista e Nicola Lipartiti e domiciliato “ex lege” presso la Cancelleria della Corte di cassazione in Roma, P.zza Cavour;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

Avverso la sentenza della Corte di appello di Campobasso n. 314/2014, depositata il 25 novembre 2014 (non notificata).

RILEVATO IN FATTO

Con sentenza depositata il 6 novembre 2009 il Tribunale di Larino rigettava l’opposizione proposta da G.A. avverso il decreto ingiuntivo n. 252/2005 ottenuto da V.A. in relazione al pagamento del corrispettivo dovuto per l’esecuzione di alcuni lavori oggetto di appalto, in merito al quale il citato G. non aveva addotto alcuna contestazione inerente l’an ma soltanto riguardanti il quantum debeatur.

Decidendo sul gravame formulato dal G.A. e nella contumacia dell’appellato, la Corte di appello di Campobasso, con sentenza n. 341/2014 (depositata il 25 novembre 2014), rigettava l’appello e confermava l’impugnata sentenza.

A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte molisana rilevava che l’appellante non aveva fornito alcuna prova circa i supposti danni ed inconvenienti conseguenti all’esecuzione dei lavori costituenti oggetto del contratto di appalto, siccome la denuncia operata con nota dell’8 luglio 2005 era risultata del tutto generica e, quindi, tale da non consentire all’appaltatore di avere piena cognizione dei vizi riscontrati, donde la sua inidoneità ad integrare le condizioni previste dall’art. 1667 c.c..

CONSIDERATO IN DIRITTO

Avverso la suddetta sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione il G.A., riferito a cinque motivi, al quale ha resistito con controricorso (contenente un motivo di ricorso incidentale) l’intimato V.A.. La difesa del ricorrente ha anche depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..

1. Con la prima censura il ricorrente ha dedotto – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – il vizio di omessa pronuncia sull’eccezione di inadempimento da lui formulata fin dall’atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo.

2. Con il secondo motivo il ricorrente ha prospettato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e falsa applicazione dell’art. 1667 c.c. nonchè degli artt. 99 e 112 c.p.c., avuto riguardo all’inidoneità della denuncia dei vizi formulata ai sensi del citato art. 1667 c.c.

3. Con la terza doglianza il ricorrente ha denunciato – in ordine all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – il vizio di motivazione (così rubricato) sul punto decisivo della controversia attinente alla contestazione, fin dall’atto di opposizione, del quantum della pretesa creditoria avversa per come documentata nella fattura n. 10 del 2005 (per Euro 22734,00).

4. Con il quarto motivo la difesa del G.A. ha dedotto – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e falsa applicazione degli artt. 2735 e 2729 c.c., con riferimento all’asserita efficacia confessoria del certificato di regolare esecuzione dei lavori appaltati siccome diretto alla Regione Molise e, peraltro, proveniente da un soggetto terzo (il direttore dei lavori).

5. Con la quinta ed ultima censura, il ricorrente ha denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e falsa applicazione degli artt. 1453,1455 e 1667 c.c., con riguardo alla mancata presa in considerazione, da parte della Corte di secondo grado, della circostanza che egli – sempre nello stesso atto di opposizione al decreto monitorio – aveva contestato all’appaltatore il mancato completamento dell’opere commissionategli, ragion per cui, nel caso di specie, difettava il presupposto per la ravvisata applicabilità del citato art. 1667 c.c.

6. Con l’unico motivo di ricorso incidentale il V. ha denunciato la nullità dell’impugnata sentenza per violazione del combinato disposto degli artt. 163-bis e 164 c.p.c. avuto riguardo al mancato rispetto del termine minimo a comparire in appello e alla conseguente illegittimità della sua dichiarazione di contumacia, senza che potesse ritenersi verificata alcuna ipotesi di sanatoria della configuratasi nullità.

7. La prima doglianza prospettata dal ricorrente principale è infondata poichè la Corte di appello ha implicitamente rigettato (donde l’inconfigurabilità del dedotto vizio di omessa pronuncia: cfr., ad es., tra le più recenti, Cass. n. 21191/2017 e Cass. n. 20718/2018) l’eccezione di inadempimento laddove ha valorizzato – nello svolgimento motivazionale di cui a pag. 5 dell’impugnata sentenza – la “pregnante significatività” di cinque certificati di regolare esecuzione dei lavori approvati dalle parti e dal direttore dei lavori.

8. Il secondo motivo del G. è inammissibile perchè esso si fonda per intero sulla portata di due documenti (la lettera del committente dell’8 luglio 2005 e la risposta dell’appaltatore in data 22 luglio 2005) di cui il ricorrente non solo non ha trascritto il contenuto (quanto meno per la parte relativa alla denunzia dei vizi e alla risposta che aveva dato in proposito l’appaltatore) ma non ha offerto neppure i dati necessari al reperimento nella documentazione processuale, osservandosi come il loro esame (specialmente della suddetta lettera di risposta) era quanto mai essenziale proprio per comprendere in che modo l’appaltatore aveva contestato la lettera del committente.

Peraltro, la Corte di appello molisana – ai fini della validità e dell’efficacia della operata denuncia dei vizi assunta come formalizzata ai sensi dell’art. 1667 c.c. – ha accertato, con un’insindacabile valutazione di merito, l’assoluta genericità del suo contenuto, poichè il G. si era limitato ad allegare non meglio specificati “numerosi danni ed inconvenienti”, in tal senso rendendo una dichiarazione inidonea a sortire gli effetti propri della suddetta denuncia (cfr., per opportuni riferimenti, Cass. n. 644/1999 e Cass. n. 11520/2011).

9. E’ privo di fondamento anche il terzo motivo proposto nell’interesse del G., con il quale risulta dedotto che la Corte territoriale ha fondato il proprio giudizio – relativamente alla quantificazione del corrispettivo per i lavori – sulla fattura prodotta a corredo del ricorso per decreto ingiuntivo.

Infatti, diversamente da questa prospettato, il giudice di appello – per il suo convincimento sul punto – non si è basato affatto sulla fattura, ma “su dati e conteggi approvati dalle parti e dal direttore dei lavori” (e, quindi, anche su riscontri probatori ulteriori) e tale adeguata motivazione costituisce frutto di un apprezzamento in fatto non censurabile nella presente sede di legittimità.

10. Il quarto motivo del G. è inammissibile per una pluralità di ragioni, ovvero: a) nell’impugnata sentenza non si discorre giammai di confessione ed è, quindi, del tutto fuori luogo il richiamo a tale istituto; b) la censura si risolve nella confutazione degli accertamenti fattuali insindacabilmente operati dalla Corte di secondo grado ed attiene alla valutazione degli esiti delle prove, che costituisce prerogativa del giudice di merito; c) la censura, poi, è priva di specificità perchè con essa, ancora una volta, si richiamano appositi documenti senza riprodurne il contenuto (neppure per le parti di rilievo).

Nella sostanza, poi, la doglianza investe una valutazione di merito adeguatamente compiuta dalla Corte molisana circa l’efficacia probatoria (senza mai fare riferimento ad una confessione stragiudiziale) della documentazione inerente lo svolgimento dei lavori appaltati così come risultanti dai certificati della loro regolare esecuzione e dal recepimento dei dati e dei conteggi approvati dalle parti e dal direttore dei lavori, dotati di un valore probatorio risolutivo ai fini della risoluzione della controversia.

11. Anche il quinto ed ultimo motivo del ricorso principale non coglie nel segno perchè – diversamente da quanto dedotto – la Corte di appello non ha affatto dichiarato la decadenza dalla garanzia ex art. 1667 c.c. e la relativa critica, per il resto, si incentra sulla non condivisione dell’apprezzamento in fatto della stessa Corte di secondo grado, che, invece, ha ravvisato la regolare esecuzione delle opere, privilegiando, come era in sua facoltà, un elemento istruttorio (ovvero le risultanze emergenti dai certificati di regolare esecuzione lavori) piuttosto che un altro (ossia i rilievi evincibili dal contenuto della relazione del c.t.u.).

12. Per effetto dell’integrale rigetto dei motivi del ricorso principale va dichiarato l’assorbimento dell’unica – riportata – censura del ricorso incidentale, la cui cognizione è da ritenersi fosse implicitamente condizionata dall’esito di quello principale, nel senso che avrebbe dovuto essere esaminato nel solo caso della ravvisata fondatezza di una o più doglianze di quello, per l’appunto, formulato in via principale.

Deve, infatti, trovare conferma il principio alla stregua del quale, in tema di giudizio di cassazione, il ricorso incidentale proposto dalla parte totalmente vittoriosa nel giudizio di merito, che investa questioni preliminari di merito o pregiudiziali di rito (quale, nella specie, la nullità dell’impugnata sentenza per violazione del termine minimo a comparire nella proposizione dell’appello, con derivante illegittimità dalla dichiarazione di contumacia) ha natura di ricorso condizionato all’accoglimento del ricorso principale, indipendentemente da ogni espressa indicazione di parte, sicchè, laddove le medesime questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito siano state oggetto di decisione esplicita o implicita da parte del giudice di merito, tale ricorso incidentale va esaminato dalla Corte di legittimità solo in presenza dell’attualità dell’interesse, ovvero unicamente nell’ipotesi della fondatezza del ricorso principale (cfr. Cass. S.U. n. 5456/2009, Cass. S.U. n. 7381/2014 e Cass. n. 6138/2018).

13. In definitiva, alla stregua delle ragioni complessivamente esposte, il ricorso principale del G. deve essere per intero respinto (da cui deriva l’assorbimento del motivo di ricorso incidentale), con la conseguente condanna dello stesso ricorrente principale soccombente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate nella misura di cui in dispositivo.

Ricorrono, infine, le condizioni per dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, del raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta integralmente il ricorso principale e dichiara assorbito il motivo di ricorso incidentale.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 2.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario nella misura del 15% ed accessori come per legge.

Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, del raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 29 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2019

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