LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –
Dott. SCOTTI Umberto Luigi – Consigliere –
Dott. MELONI Marina – Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –
Dott. SOLAINI Luca – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 2090/2015 proposto da:
C.S.A., elettivamente domiciliata in Roma, Via Paolo Emilio n. 28, presso lo studio dell’avvocato Fantozzi Giampaolo, rappresentata e difesa dall’avvocato Polato Paolo, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.a., già Banca Antonveneta S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via F. Confalonieri n. 5, presso lo studio dell’avvocato Manzi Andrea che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Trabucchi Giuseppe, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2862/2013 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 26/11/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/01/2019 dal cons. Dott. SOLAINI LUCA.
RILEVATO
che:
C.S.A. conveniva in giudizio, davanti al Tribunale di Padova, la banca Antoniana Popolare Veneta chiedendo la declaratoria di nullità o in subordine l’annullabilità o la risoluzione, per errore motivo, del contratto di ordine di acquisto di obbligazioni “*****” per Euro 31.000,00 sottoscritto in data 19.1.00, con conseguente condanna dell’istituto di credito alla restituzione della somma utilizzata per l’acquisto dei bonds *****, oltre agli interessi al tasso legale dalla data di conclusione del contratto al saldo, alla rivalutazione monetaria e al risarcimento di tutti gli ulteriori danni da determinarsi in corso di causa. Inoltre, poichè i titoli in questione erano stati sottoposti a pegno in favore della banca convenuta, la C. aveva chiesto che venisse accertata e dichiarata la piena disponibilità degli stessi in capo a sè, attesa l’inesistenza e/o l’inopponibilità del vincolo pignoratizio sottoscritto in data 25.1.00 per essersi estinta l’obbligazione garantita e per essere spirato il termine della prestata garanzia.
Nella resistenza della banca, il Tribunale rigettava la domanda.
Era proposto gravame che la Corte d’Appello di Venezia respingeva con sentenza pubblicata il giorno 26.11.2013.
Il giudice distrettuale, premessa la distinzione tra regole di validità del contratto e regole comportamentali, per cui solo le prime determinano la nullità, a norma dell’art. 1418 c.c. (oltre che il difetto di forma scritta, ex art. 23 TUF), in quanto genetiche, mentre, le seconde, in quanto riguardano la fase esecutiva del contratto, sono fonte di responsabilità per la parte inadempiente agli obblighi previsti e possono eventualmente condurre alla risoluzione del contratto e/o al risarcimento del danno nel caso riguardino i singoli contratti di acquisto, rilevava come l’appellante aveva allegato solo violazioni di norme comportamentali (ex artt. 26, 28 e 29 reg. Consob n. 11522/98) e, quindi, correttamente il Tribunale aveva rigettato la domanda di nullità del contratto ed esaminato quella di risoluzione e risarcitoria, rilevando l’infondatezza dell’eccezione relativamente all’inadempimento degli obblighi informativi e di inadeguatezza dell’operazione, risultando che la banca aveva per iscritto indicato alla C. che l’operazione non era adeguata al suo profilo di investitore e non allineata agli obblighi d’investimento dichiarati nel contratto. In riferimento all’abusivo riempimento del foglio firmato in bianco, l’appellante avrebbe dovuto sporgere formale querela di falso, mentre, era insussistente il conflitto d’interessi, nello svolgimento dell’operazione d’intermediazione. Infine, in riferimento alla sottoposizione a pegno delle obbligazioni acquistate, l’obbligazione garantita non era estinta in quanto la garanzia pignoratizia riguardava tutti i crediti vantati dalla banca nei confronti del soggetto nel cui interesse era stato costituito il pegno che ancora non erano stati estinti.
C.S.A. ricorre per cassazione contro la predetta sentenza della Corte veneziana affidando l’impugnazione a due motivi. Resiste con controricorso la banca convenuta.
CONSIDERATO
che:
Il primo motivo denuncia il vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti e che è relativo a mancato adempimento degli obblighi di informazione attiva di cui all’art. 29 reg. Consob n. 11522/98. In particolare, giudice territoriale avrebbe omesso l’esame della circostanza che l’ordine di acquisto era stato sottoscritto in bianco e solo successivamente oggetto di apposita stampigliatura riportante i dati del titolo acquisito e la relativa informativa d’inadeguatezza, nella specie, di stile e, quindi, inadeguata.
Il secondo motivo denuncia il vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti e che è relativo al mancato adempimento degli obblighi di informazione attiva di cui all’art. 29 reg. Consob n. 11522/98. In particolare, il giudice d’appello non avrebbe esaminato la circostanza pacifica della mancata consegna del documento illustrativo (cd. offering circular).
Il primo motivo è infondato, per quanto riguarda la censura di omesso esame relativamente al profilo concernente le dedotte “aggiunte” postume sull’ordine d’investimento, in quanto, la Corte di Appello ha preso in considerazione la denuncia di abusivo riempimento, disattendendola, tuttavia, perchè sarebbe stata necessaria una querela di falso. In riferimento al profilo relativo, all’inadempimento degli obblighi informativi, poichè era insufficiente ad integrare l’avviso d’inadeguatezza dell’operazione la mera, generica stampigliatura “oper. inadeguata: richiesta del cliente operaz. non allineata agli obb. invest. dichi.”, il motivo è inammissibile per novità della censura (che presuppone un accertamento di fatto, ossia il contenuto e le modalità dell’avviso), che viene per la prima volta formulato in questa sede (nè dalla sentenza nè dal ricorso risulta se e quando sia stata formulata nel giudizio di merito).
Il secondo motivo di censura è, invece, inammissibile, perchè non coglie la ratio decidendi, in quanto, la Corte d’Appello ha ritenuto che la stampigliatura di cui si è detto escludesse la violazione di ogni altro obbligo informativo, compreso anche la mancata consegna della offering circular all’investitrice.
Il ricorso va, quindi, rigettato e le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente a pagare alla Banca Monte dei Paschi di Siena, in persona del legale rappresentante pt, le spese di lite del presente giudizio, che liquida nell’importo di Euro 4.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre il 15% per spese generali, oltre accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 17 gennaio 2019.
Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2019