LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –
Dott. MELONI Marina – Consigliere –
Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –
Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 17271/2018 proposto da:
S.B., elettivamente domiciliato in Roma, Via Giuseppe Marcora n. 18/20, presso lo studio dell’avvocato Faggiani Guido, rappresentato e difeso dall’avvocato Dalla Bona Roberto, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in Roma, Via Dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
contro
Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale Milano;
– intimata –
avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, del 20/04/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/03/2019 dal cons. Dott. AMATORE ROBERTO.
RILEVATO
CHE:
1. Con il decreto impugnato il Tribunale di Milano – decidendo sulla domanda di protezione internazionale e, in via gradata, su quella di protezione sussidiaria e umanitaria, avanzata da S.B. (cittadino del *****), dopo il provvedimento di diniego della richiesta tutela emesso dalla Commissione territoriale – ha rigettato la domanda del richiedente.
Il Tribunale ha ritenuto non credibile il racconto reso dal ricorrente in ordine alla sua vicenda personale e alle ragioni dell’espatrio, che si fondavano sul riferito episodio di un incendio colposo, nel quale sarebbe stato coinvolto, come lavoratore addetto alla custodia dello stabilimento, e del quale era stato ingiustamente ritenuto responsabile.
Il tribunale ha ritenuto non verosimile il racconto del ricorrente perchè non credibile la dinamica dell’incendio e la successiva reazione del datore di lavoro. Il tribunale ha, poi, osservato – in relazione alla situazione sociopolitica del ***** – che il paese africano, dopo un lungo periodo di dittatura, è ora avviato su un percorso di democratizzazione e che, comunque, sulla base di fonti informative istituzionali, non vi sono attualmente situazioni di violenza indiscriminata nel paese, se si esclude il rischio terrorismo che è, peraltro, presente in ogni paese. Il tribunale ha dunque concluso per la insussistenza delle condizioni per il riconoscimento della richiesta protezione sussidiaria e umanitaria, in mancanza di una situazione di particolare vulnerabilità del richiedente.
2. Il decreto, pubblicato il 20.4.2018, è stato impugnato da S.B. con ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, cui il Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso.
CONSIDERATO
CHE:
1.Con il primo motivo la parte ricorrente – lamentando, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione del D.Lgs. n. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3 della direttiva 2004/83/CE e del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3, – si duole dell’erroneità del giudizio espresso dal tribunale, in riferimento al profilo di non credibilità di quanto narrato dal richiedente.
2. Con un secondo motivo si articola, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c, e della direttiva 2004/83/CE, in relazione alla valutazione svolta dal tribunale della situazione socio politica del *****.
3. Con un terzo motivo si declina vizio di violazione di legge in relazione alla violazione sempre della direttiva 2004/83/CE, dell’art. 2 Cost. e dell’art. 8 CEDU, in riferimento al diniego della protezione umanitaria.
4. Con il quarto motivo si denunzia nullità del decreto impugnato per la mancata sottoscrizione dello stesso da parte di uno dei componenti del collegio.
5. Il ricorso è infondato.
Ante omnia, occorre respingere l’eccezione pregiudiziale di inammissibilità del ricorso, eccezione sollevata dalla difesa erariale.
Sul punto è utile ricordare che la giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che la procura per il ricorso per cassazione è validamente conferita, soddisfacendo il requisito di specialità di cui all’art. 365 c.p.c., anche se apposta su di un foglio separato, purchè materialmente unito al ricorso e benchè non contenente alcun riferimento alla sentenza impugnata o al giudizio da promuovere, in quanto, ai sensi dell’art. 83 c.p.c. (come novellato dalla L. 27 maggio 1997, n. 141), si può ritenere che l’apposizione topografica della procura sia idonea – salvo diverso tenore del suo testo – a fornire certezza della provenienza dalla parte del potere di rappresentanza e a far presumere la riferibilità della procura medesima al giudizio cui l’atto accede (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 29785 del 19/12/2008). Ciò posto, va osservato come dall’esame del fascicolo processuale – cui anche questa Corte è legittimata (trattando la censura proposta di un vizio processuale) – emerggchiaramente l’esistenza della procura alle liti per la proposizione dell’odierno ricorso per cassazione come allegata e congiunta materialmente (sebbene su foglio separato) al ricorso stesso, non risultando dal tenore letterale della procura espressioni incompatibili con la proposizione del contestato mezzo di impugnazione.
Ne consegue che, alla luce dei principi sopra ricordati e qui di nuovo riaffermati, l’eccezione così sollevata dalla difesa erariale non ha pregio e va pertanto disattesa.
5.1 Il primo motivo di censura è inammissibile.
Orbene, la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito. Per contro, poichè il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, mentre l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità, il giudizio di fatto circa la credibilità del ricorrente non può essere censurato sub specie della violazione di legge (Cass., 05/02/2019, n. 3340).
Nella specie, il ricorrente denuncia la violazione di norme di legge relative alla valutazione sulla credibilità del richiedente protezione internazionale, attraverso il richiamo alle disposizioni disattese e fornendo (inammissibilmente in questa sede) una ricostruzione della fattispecie concreta difforme da quella accertata dal Tribunale, che ha accertato in fatto, oltre alla mancanza di prove, la lacunosità e la inverosimiglianza della narrazione del ricorrente, peraltro limitandosi ad affermazioni di principio e ad allegazioni del tutto generiche.
2. Il secondo motivo di censura è del pari inammissibile.
Sul punto, occorre ricordare che – a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), – la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, va, invero, rappresentata dal ricorrente come minaccia grave e individuale alla sua vita, sia pure in rapporto alla situazione generale del paese di origine, ed il relativo accertamento costituisce apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito non censurabile in sede di legittimità (Cass., 12/12/2018, n. 32064). Nel caso concreto, il Tribunale ha accertato – mediante il ricorso a fonti internazionali aggiornate – la insussistenza di una situazione di violenza indiscriminata nella regione del ***** di provenienza del ricorrente, ed il mezzo, oltre che generico, ripropone questioni di merito.
3. Il terzo motivo di censura è anch’esso inammissibile, poichè assolutamente generico, essendosi il ricorrente limitato ad enunciazioni di principio, a fronte delle motivate valutazioni in fatto del Tribunale che ha spiegato trattarsi di un giovane (il richiedente), autonomo e che, in patria, può contare su una famiglia che può prendersi cura di lui.
4. Il quarto motivo è infondato.
Il provvedimento emesso dal tribunale nella forma del decreto – alla stregua di quanto previsto per i procedimenti in camera di consiglio, anche se di natura contenziosa – legittimamente è sottoscritto dal solo presidente (che nel caso concreto è, tra l’altro, anche relatore), ai sensi dell’art. 135 c.p.c., comma 4, non essendo necessaria la firma del relatore o di altro giudice del collegio (Cass. 2381/2000; Cass. 2969/2006; Cass. 21952/2014; Cass. 19722/2015).
Ne consegue il complessivo rigetto del ricorso.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da separato dispositivo.
Non è dovuto il doppio contributo stante l’ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.100 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, il 13 marzo 2019.
Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2019