LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ARMANO Uliana – Presidente –
Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –
Dott. CIGNA Mario – Consigliere –
Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –
Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1631/2014 R.G. proposto da:
N.R., rappresentata e difesa dall’Avv. Antonio Pimpini, con domicilio eletto in Roma, via Savoia, n. 80, presso lo studio dell’Avv. Elettra Bianchi;
– ricorrente –
contro
B.C., rappresentata e difesa dall’Avv. Giuliano Milia, con domicilio eletto in Roma, via G. Ferrari, n. 11, presso lo studio dell’Avv. Erica Giovannucci;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di L’Aquila, n. 1153/2012 depositata il 20 novembre 2012;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14 febbraio 2019 dal Consigliere Dott. Emilio Iannello.
RILEVATO IN FATTO
1. Con sentenza del 30/11/2010 il Tribunale di Pescara, in accoglimento della domanda proposta da N.R. nei confronti di B.C. dichiarava che il canone a questa dovuto dalla ricorrente per la locazione di immobile adibito ad uso abitativo era quello, pari a Euro 129,11 mensili, risultante dal contratto stipulato in data 4/3/1999 e registrato il successivo 9/3/1999, e non quello dedotto dalla resistente, pari a Euro 284,05 mensili, oltre aumenti Istat, risultante da contratto dissimulato stipulato in pari data ma non registrato, non risultando quest’ultimo provato attraverso una controdichiarazione sottoscritta dalle parti. Conseguentemente condannava B.C. alla restituzione dei canoni indebitamente percepiti, oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo, e rigettava le domande riconvenzionali dalla stessa proposte.
2. In accoglimento del gravame interposto dalla locatrice e in conseguente riforma della sentenza di primo grado, la Corte d’appello di L’Aquila ha rigettato il ricorso introduttivo della N. e condannato la stessa, siccome richiesto in via riconvenzionale dalla locatrice, al pagamento in favore di quest’ultima delle differenze sul canone di locazione maturate da novembre 2007 a marzo 2011, oltre interessi legali.
3. Avverso tale decisione N.R. propone ricorso per cassazione, articolando due motivi, cui resiste B.C., depositando controricorso.
Chiamata una prima volta nell’adunanza camerale del 30/1/2018, con ordinanza del 26/7/2018 la causa è stata rinviata a nuovo ruolo per l’acquisizione del fascicolo d’ufficio relativo al giudizio di secondo grado.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con il primo motivo di ricorso N.R. denuncia “nullità insanabile per error in procedendo”, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 158,267,420 e 437 c.p.c., in combinato disposto con l’art. 447-bis c.p.c., per violazione del principio di immodificabilità del collegio giudicante”.
Rileva che, nel giudizio di appello, le parti hanno svolto la discussione finale dinanzi ad un collegio diverso da quello che ha poi emesso il dispositivo e la successiva motivazione della sentenza per esteso. Segnala infatti che dal verbale d’udienza dell’11/10/2010 si ricava che la causa è stata discussa e trattenuta in decisione da collegio composto dalla Dott.ssa Sannite, quale presidente, dal dottor S., quale giudice relatore, e dalla Dott.ssa F., quale terzo componente, e che però il dispositivo, e poi anche la successiva sentenza per esteso, risultano emessi da differente collegio, dinanzi al quale non vi era stato alcun contraddittorio delle parti nè alcuna discussione, composto dalla Dott.ssa Sa., quale presidente, dal dottor S., quale giudice relatore, e dalla Dott.ssa C., quale terzo componente.
2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia in subordine, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, erronea e/o falsa applicazione della L. 9 dicembre 1998, n. 431, art. 1, comma 4; art. 1350 c.c., n. 13, artt. 1417 e 1418 c.c., in combinato disposto con l’art. 2697 c.c., artt. 214 e 215 c.p.c., nonchè dell’art. 2724 c.c., n. 3 e art. 2725 c.c., per avere la Corte d’appello ritenuto sussistente un secondo contratto di locazione in assenza di prova scritta.
3. E’ fondato il primo motivo di ricorso.
Come questa Corte ha già avuto modo di chiarire, il principio della immodificabilità della composizione del collegio giudicante a partire dal momento in cui ha inizio la discussione della causa (principio applicabile anche al rito del lavoro, ovviamente con riguardo alle decisioni in grado di appello) comporta che, ove dal verbale d’udienza e dal dispositivo letto in udienza risultino due diverse composizioni dell’organo collegiale, determinandosi così una assoluta incertezza sul permanere della identità di composizione del collegio dall’inizio della discussione della causa alla lettura del dispositivo, la sentenza deve ritenersi affetta da nullità insanabile ai sensi dell’art. 158 c.p.c. (Cass. 01/07/1999, n. 6797, Rv. 528190; Cass. 19/04/1999, n. 3889; Cass. 17/03/1997, n. 2336; cfr. anche Cass. 16/05/2016, n. 10011).
Ciò è quello che si verifica nel caso di specie, alla stregua di quanto specificamente dedotto in ricorso e verificabile dalla consultazione degli atti, cui questa Corte ha diretto accesso trattandosi di violazione di norma processuale, essendovi difformità (per la diversità di uno dei componenti) tra il collegio davanti al quale, giusta verbale d’udienza, la causa risulta discussa e trattenuta in decisione e quello che risulta poi aver emesso il dispositivo e dato lettura dello stesso in udienza.
La controricorrente, a sostegno della richiesta di rigetto del motivo in esame, invoca il principio pure costantemente affermato nella giurisprudenza di legittimità richiamata nel controricorso secondo cui la nullità della sentenza deliberata da giudici diversi da quelli che hanno assistito alla discussione, che è insanabile e rilevabile d’ufficio ai sensi dell’art. 158 c.p.c., può essere dichiarata solo quando vi sia la prova della non partecipazione al collegio deliberante di un giudice che aveva invece assistito alla discussione della causa e tale prova non può evincersi dalla sola omissione, nella intestazione della sentenza, del nominativo del giudice non tenuto alla sottoscrizione, quando esso sia stato invece riportato nel verbale dell’udienza di discussione, sia perchè l’intestazione della sentenza non ha una sua autonoma efficacia probatoria riproducendo in effetti i dati del verbale d’udienza, sia perchè da quest’ultimo, facente fede fino a querela di falso dei nomi dei giudici componenti il collegio e della, riserva espressa degli stessi giudici a fine udienza di prendere la decisione in camera di consiglio, nasce la presunzione della delibera della sentenza da parte degli stessi giudici che avevano partecipato all’udienza collegiale, ulteriormente avvalorata dalla circostanza che, ai sensi dall’art. 276 c.p.c., tra i compiti del Presidente del collegio vi è quello di controllare che i giudici presenti nella camera di consiglio siano quelli risultanti dal verbale dell’udienza di discussione; ne consegue che la omissione nella intestazione della sentenza del nome di un giudice, indicato invece nel verbale anzidetto, si presume determinata da errore materiale emendabile ai sensi degli artt. 287 e 288 c.p.c..
Tale principio però non è pertinente e non può essere invocato con riferimento alla fattispecie in esame nel quale la difformità investe due atti entrambi dotati di fede privilegiata: da un lato il verbale d’udienza, dall’altro il dispositivo letto nell’udienza medesima.
Come chiarito invero da Cass. n. 3889 del 1999, cit., la lettura del dispositivo costituisce il momento centrale della decisione ed i membri del collegio presenti a tale adempimento assumono con tale atto la paternità della statuizione, come delibata in camera di consiglio e resa pubblica in tutta la sua portata vincolante per le parti, sicchè ove, come nella specie, il collegio che dà lettura del dispositivo sia nella sua composizione diverso da quello risultante dal verbale dell’udienza di discussione si viene a determinare un contrasto radicale tra due riscontri documentali, entrambi dotati di fede privilegiata, che si traduce in una nullità insanabile di tutta la sentenza, come tale non emendabile con la procedura di correzione di errore materiale.
4. In accoglimento del primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio al giudice a quo al quale va anche demandato il regolamento delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo di ricorso; dichiara assorbito il secondo; cassa la sentenza; rinvia alla Corte d’appello di L’Aquila, cui demanda anche il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 14 febbraio 2019.
Depositato in Cancelleria il 23 maggio 2019
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