LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –
Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. VARRONE Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 19441/2015 proposto da:
R.A., elettivamente domiciliato a Roma, via San Tommaso d’Aquino 75, presso lo studio dell’Avvocato MARIO LACAGNINA, che lo rappresenta e difende per procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
FONDAZIONE OPERA PIA MASTAI FERRETTI – STABILIMENTO PIO, rappresentata e difesa dall’Avvocato VIRGINIO MANFREDI FRATTARELLI, presso il cui studio a Roma, via Carlo Mirabello 6, elettivamente domicilia, per procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrente –
e M.F.A., rappresentato e difeso dall’Avvocato Andrea Marsili Feliciangeli, presso il cui studio a Roma, via Boezio 14, elettivamente domicilia, per procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
e R.M.R.;
– intimata –
avverso la sentenza n. 2360/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 14/04/2015;
udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del 27/02/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DONGIACOMO;
lette le conclusioni scritte depositate dal Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale della Repubblica, Dott. MISTRI Corrado, il quale ha chiesto l’accoglimento del ricorso per quanto di ragione.
FATTI DI CAUSA
R.A., con citazione dell’8/9/2007, ha convenuto in giudizio, innanzi al tribunale di Roma, la Fondazione Opera Pia Mastai Ferretti, R.M.R., quale collegataria, e l’avvocato M.F.A., esecutore testamentario, chiedendo, tra l’altro, di dichiarare la decadenza della Fondazione convenuta, ai sensi degli artt. 487 e/o 485 e/o 493 c.c., dalla facoltà di accettare l’eredità ad essa devoluta da R.M., sorella dell’attore, deceduta a Roma il 12/5/2004, che l’aveva nominata sua unica erede con testamento olografo pubblicato l’11/6/2004, per aver accettato l’eredità con beneficio d’inventario a mezzo di atto del 3/9/2004 ma senza procedere alla tempestiva redazione dell’inventario, e per aver compiuto in data 24/4/2006 atto di cessione di immobili a titolo transattivo senza che vi fosse allegata l’autorizzazione alla cessione dei beni ereditari o alla transazione prescritta dall’art. 493 c.c..
La Fondazione ha resistito alla domanda chiedendone il rigetto.
Il tribunale di Roma, con sentenza del 17/11/2010, ha rigettato la domanda.
R.A., con atto di citazione notificato in data 1/4/2011, ha proposto appello avverso la sentenza del tribunale, chiedendo l’accoglimento, tra l’altro, della domanda in precedenza esposta.
La Fondazione ha resistito al gravame, chiedendone il rigetto, ed ha proposto appello incidentale.
La corte d’appello di Roma, con la sentenza in epigrafe, ha rigettato l’appello.
La corte, in particolare, ha dichiaratamente condiviso la sentenza con la quale il tribunale, con riferimento al caso in cui non siano state osservate le formalità richieste dalle legge per l’accettazione beneficiata da parte delle persone giuridiche diverse dalla società, le quali, ai sensi dell’art. 473 c.c., non possono accettare le eredità ad esse devolute se non con il beneficio dell’inventario, ha ritenuto: – innanzitutto, che, “ove l’accettazione, nell’unica forma consentita loro dalla legge, sia divenuta inefficace”, “non potendo trovare applicazione, per evidente incompatibilità, la diversa disposizione in forza della quale il chiamato è da considerarsi erede puro e semplice”, “si deve escludere che sussista accettazione alcuna”, per cui “l’accettazione è inefficace o, meglio, inesistente”; – in secondo luogo, che “la persona giuridica, venuta meno l’efficacia dell’accettazione beneficiata per le ragioni di cui sopra, conservi comunque il diritto di accettare l’eredità nei confronti del testatore, continuando a rivestire la posizione di chiamata all’eredità, e che la stessa sia ancora in grado di riavviare la procedura di accettazione beneficiata, qualora il diritto di accettare l’eredità non si sia ancora prescritto”, traendone, quanto al caso di specie, la conseguenza per cui “la dichiarazione di accettazione dell’eredità posta in essere dalla fondazione convenuta in data 3.9.2004 è divenuta inefficace e, dunque, tamquam non esset, a causa della mancata redazione dell’inventario nel termine di legge”: tuttavia, “poichè… il diritto di accettare l’eredità in capo alla convenuta non si era ancora prescritto, valida deve ritenersi la (seconda) dichiarazione di accettazione beneficiata dell’eredità del 31.07.2006”, relativamente alla quale “l’inventario, iniziato in data 27.10.2006, e, dunque, entro tre mesi dalla (seconda) dichiarazione di accettazione (avvenuta il 31.7.2006), è stato completato, nei termini di legge, in data 11.3.2007, a seguito di proroga di sei mesi concessa dall’autorità giudiziaria”. D’altra parte, ha aggiunto la corte, “non v’è dubbio che, in difetto di inventario, l’accettazione dell’eredità, da parte della persona giuridica, debba ritenersi tamquam non esset”, deponendo, in tal senso, il principio per cui, “in tema di accettazione dell’eredità, poichè le persone giuridiche diverse dalle società non possono, ai sensi dell’art. 473 c.c., accettare le eredità loro devolute se non con il beneficio d’inventario…, qualora l’accettazione, nell’unica forma consentita dalla legge, sia divenuta inefficace (nella specie, per mancata redazione dell’inventario entro tre mesi dall’accettazione, in assenza di richiesta di proroga del termine), si deve ritenere che, non potendo trovare applicazione, per evidente incompatibilità, la diversa disposizione in forza della quale il chiamato è da considerare erede puro e semplice, va esclusa l’esistenza stessa dell’accettazione”. Nella specie, ha osservato la corte, poichè l’inventario non è stato mai effettuato, deve dichiararsi l’inesistenza giuridica dell’accettazione da parte della fondazione: tuttavia, “l’effetto dell’inesistenza della accettazione è il permanere della chiamata all’accettazione fin tanto che il diritto non sia prescritto”, tanto più che, “stante il regime di tassatività delle decadenze, in assenza di una norma specifica che prevede espressamente una decadenza, essa non possa essere ritenuta applicabile in via analogica (in assenza di una lacuna della legge)”. Tra l’altro, ha concluso la corte, lo strumento dell’accettazione con beneficio di inventario, senza la possibilità di un’accettazione semplice, è dettato ad esclusiva tutela dell’ente e ne contraddirebbe la ratio la configurazione di una decadenza non prevista, che determinerebbe un trattamento giuridico deteriore.
La corte, inoltre, riportandone per intero la motivazione, ha condiviso la decisione del tribunale anche nella parte in cui il giudice di primo grado aveva ritenuto infondata la domanda di dichiarazione di decadenza del beneficio d’inventario e, dunque, di incapacità a succedere basata sulla circostanza che la Fondazione avrebbe transatto relativamente ai beni ereditari senza autorizzazione giudiziaria ai sensi dell’art. 493 c.c., rilevando che “le persone giuridiche diverse dalle società, non potendo acquistare l’eredità se non nella forma beneficiata, nel caso in cui siano incorse in decadenze o irregolarità relative all’inventario (nelle quali deve ritenersi ricompresa anche l’alienazione dei beni ereditari senza autorizzazione, di cui all’art. 493 c.c.), non possono, per ciò solo, ritenersi incapaci a succedere”.
La corte, infine, rigettato l’appello incidentale della Fondazione, ha ritenuto che, per la sua prevalente soccombenza, l’appellante principale doveva essere condannato al rimborso delle spese processuali in favore dei due appellati, liquidandole nella somma di Euro. 18.000,00, per compensi, oltre accessori, per ciascuno di essi.
R.A., con ricorso notificato in data 30.31/7/2015, ha chiesto, per tre motivi, la cassazione della sentenza della corte d’appello, dichiaratamente non notificata.
Hanno resistito, con distinti controricorsi, la Fondazione Opera Pia Mastai Ferretti – Stabilimento Pio ed M.F.A..
R.M.R. è rimasta, invece, intimata.
Il ricorrente e la Fondazione hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 473 e 487 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, uniformandosi integralmente alla decisione assunta dal tribunale, ha ritenuto, da un lato, che “in difetto di inventario, l’accettazione dell’eredità, da parte della persona giuridica, debba ritenersi tamquam non esset”, e, dall’altro lato, che l’effetto dell’inesistenza della accettazione è il permanere della chiamata all’accettazione fin tanto che il diritto non si sia prescritto, tanto più che, “stante il regime di tassatività delle decadenze, in assenza di una norma specifica che prevede espressamente una decadenza, essa non possa essere ritenuta applicabile in via analogica (in assenza di una lacuna della legge)”. Così opinando, tuttavia, ha osservato il ricorrente, la corte d’appello ha fatto erronea applicazione delle norme previste dagli artt. 473 e 487 c.c., non potendosi dubitare sul fatto che le persone giuridiche, potendo accettare l’eredità solo con il beneficio di inventario, sono tenute alla redazione dello stesso secondo i termini e le formalità prescritte dalla legge e che, se non assolvono a tale adempimento, decadono dall’eredità, non potendo ad esse applicarsi la disposizione per la quale i chiamati all’eredità devono essere considerati eredi puri e semplici. Nel caso di specie, ha proseguito il ricorrente, la Fondazione ha dichiarato l’accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario con atto del 3/9/2004 ma non ha redatto l’inventario nei tre mesi con la conseguenza che, fosse da considerarsi o meno nel possesso dei beni ereditari, non poteva che ritenersi decaduta dal beneficio. Peraltro, ha aggiunto il ricorrente, una volta che la dichiarazione di accettazione è divenuta inefficace a causa della mancata redazione dell’inventario nei termini di legge, la conseguenza è la definitiva decadenza dal beneficio dell’inventario, non essendovi ragione per ritenere che, in mancanza di alcun appiglio normativo, tale decadenza debba operare per tutti i chiamati all’eredità tranne che per le persone giuridiche: le quali, pertanto, ha concluso il ricorrente, perdono, per effetto della disposizione dell’art. 473 c.c., il diritto di accettare l’eredità, dal momento che, in ragione dell’incapacità della persona giuridica ad assumere la qualità di erede se non in via beneficiata, l’accettazione non seguita dalla tempestiva redazione dell’inventario non può regredire ad accettazione pura e semplice.
2. Con il secondo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 473 e 493 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui, a fronte del motivo con il quale l’appellante aveva dedotto la violazione e l’erronea interpretazione degli artt. 473 e 493 c.c., per avere il tribunale rigettato la domanda con la quale lo stesso aveva invocato la declaratoria di incapacità a succedere della Fondazione avendo transatto e alienato beni ereditari senza mai chiedere nè ottenere la prescritta autorizzazione, la corte d’appello ha fatto propria, senza aggiungere nulla al riguardo, la motivazione della decisione appellata, per la quale, al contrario, la circostanza che la Fondazione avesse transatto relativamente a beni ereditari senza l’autorizzazione giudiziaria, ai sensi dell’art. 493 c.c., non aveva determinato la sua incapacità a succedere sul rilievo, in particolare, che le persone giuridiche diverse dalle società, non potendo acquistare l’eredità se non nella forma beneficiata, nel caso in cui siano incorse in decadenze o irregolarità relative all’inventario, tra le quali deve ritenersi compresa anche l’alienazione dei beni ereditari senza autorizzazione, non possono, per ciò solo, ritenersi incapaci a succedere. Sennonchè, ha osservato il ricorrente, la Fondazione, alla data di quella cessione, non aveva iniziato alcun inventario e, quindi, non poteva essere incorsa in alcuna irregolarità del medesimo, per cui, non potendo soccorrere la successiva accettazione con beneficio d’inventario, tale ulteriore inottemperanza da parte della convenuta non poteva rimanere senza conseguenze, vale a dire la decadenza dalla capacità a succedere prevista dagli artt. 493 e 473 c.c..
3. Con il terzo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte la corte d’appello lo ha condannato, in ragione della sua prevalente soccombenza, al pagamento delle spese processuali nei confronti sia della Fondazione, che dell’avv. M.F.A., esecutore testamentario, realizzando, così, una grave ed inescusabile violazione dell’art. 91 c.p.c., la quale prevede, quale presupposto della liquidazione delle spese, la soccombenza di una parte nei confronti dell’altra. Nel caso di specie, l’attore non aveva proposto alcuna domanda nei confronti dell’esecutore testamentario, chiamato in causa ai soli fini di doverosa conoscenza, tant’è che lo stesso esecutore testamentario si era correttamente mantenuto estraneo alla lite, chiedendo, infatti, alla corte d’appello di “decidere secondo giustizia”, sia pur con vittoria delle spese. L’appellante, quindi, non potendo essere considerato soccombente nei confronti dell’esecutore testamentario, non poteva essere condannato al rimborso delle spese nei suoi confronti, specie se si considera che il rigetto dell’appello proposto dal ricorrente è derivato dal mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti che l’art. 92 c.p.c. considera sufficiente per una pronuncia di compensazione delle spese.
4. Il primo ed il secondo motivo, da trattare congiuntamente per l’intima connessione dei temi trattati, sono infondati.
4.1. L’accettazione dell’eredità ad opera di una persona giuridica non può che avvenire, a norma dell’art. 473 c.c., comma 1, con beneficio d’inventario, con la conseguenza che il mancato perfezionamento del modulo legale, per omessa redazione dell’inventario nei termini e modi previsti dalla legge, comporta che l’ente chiamato non acquisti la qualità di erede (Cass. n. 9514 del 2017). L’accettazione con beneficio d’inventario, infatti, costituisce una fattispecie a formazione progressiva che si compone d’una pluralità di atti (e cioè la dichiarazione, da riceversi da un notaio o dal cancelliere del tribunale o della sezione distaccata di esso territorialmente competente e soggetta a pubblicità, e la redazione dell’inventario nei termini e con le modalità stabiliti dalla legge) l’uno dei quali, a seconda delle ipotesi considerate, precede o segue l’altro ma tra loro indissolubilmente connessi in quanto intesi entrambi al fine (voluto dall’erede ovvero imposto, come nel caso delle persone giuridiche, dalla legge) di evitare la confusione del patrimonio dell’erede con quello ereditario e di limitare intra vires la responsabilità dello stesso per le obbligazioni ereditarie. L’art. 484 c.c., in effetti, nella parte in cui dispone che “l’accettazione col beneficio d’inventario si fa mediante dichiarazione…” e che questa “deve essere preceduta o seguita dall’inventario”, delinea chiaramente una fattispecie la cui realizzazione richiede il compimento, quali suoi elementi costitutivi, tanto dell’uno (la dichiarazione di accettazione beneficiata), quanto dell’altro (la redazione del relativo inventario) adempimento: sia la prevista indifferenza della loro successione cronologica, sia la comune configurazione degli stessi in termini di necessarietà, sia, infine, la mancanza di distinte discipline dei loro effetti, fanno apparire ingiustificata l’attribuzione all’uno dell’autonoma idoneità a dare luogo al beneficio, salvo il successivo suo venir meno, in caso di difetto dell’altro (Cass. n. 11030 del 2003, in motiv.; conf. Cass. n. 16739 del 2005; più di recente, Cass. n. 9514 del 2017). Del resto, le norme che impongono il compimento dell’inventario in determinati termini non ricollegano mai all’inutile decorso del termine stesso un effetto di decadenza la quale, al contrario, è chiaramente ancorata solo ed esclusivamente ad altre condotte, che attengono alla fase della liquidazione (art. 493,494 e 505 c.c.), e sono, quindi, necessariamente successive alla redazione dell’inventario, del quale, pertanto, confermano la natura di elemento costitutivo della fattispecie in esame. Ne consegue che “il mancato perfezionamento della fattispecie – per non esserne stato realizzato e non essere più realizzabile uno degli elementi costitutivi, come nell’ipotesi dell’omessa redazione dell’inventario, nei termini imposti dalla legge, successivamente alla dichiarazione d’accettazione beneficiata determina, non potendosi più produrre l’effetto giuridico finale riconosciuto dall’ordinamento, il venir meno anche degli effetti, prodromici e strumentali, degli atti già posti in essere”: e poichè le persone giuridiche diverse dalle società, ai sensi dell’art. 473 c.c., non possono accettare le eredità loro devolute se non con il beneficio d’inventario, “ove l’accettazione, nell’unica forma consentita loro dalla legge, sia divenuta inefficace, si deve ritenere che, non potendo trovare applicazione, per evidente incompatibilità, la diversa disposizione in forza della quale il chiamato è da considerare erede puro e semplice, devesi escludere che sussista accettazione alcuna” (Cass. n. 19598 del 2004, in motiv.). L’omessa redazione dell’inventario nei termini prescritti da parte dell’ente chiamato all’eredità comporta, poi, oltre al mancato acquisto dello status di erede (che non può che essere beneficiato), anche, ed a maggior ragione, l’impossibilità, per l’ente medesimo, di decadere dallo stesso pur avendo provveduto, dopo la dichiarazione di accettazione ma senza aver redatto l’inventario nei termini prescritti, all’alienazione, in via transattiva, di beni ereditari.
4.2. Una volta stabilito che le persone giuridiche non acquistano, in caso di mancata redazione dell’inventario nei termini perentori di cui agli artt. 485 e 487 c.c., lo status di erede, si pone l’ulteriore problema di stabilire se la mancata redazione dell’inventario nei termini stabiliti comporta l’incapacità della persona giuridica a succedere nell’eredita ad essa devoluta, come pretende il ricorrente, ovvero se, al contrario, come ritenuto dalla corte d’appello, la persona giuridica, pur non avendo redatto l’inventario nel termine, conserva il diritto di accettare l’eredità fino alla sua prescrizione, posto che, “stante il regime di tassatività delle decadenze, in assenza di una norma specifica che prevede espressamente una decadenza, essa non possa essere ritenuta applicabile in via analogica (in assenza di una lacuna della legge)”.
4.3. La prima soluzione è stata sostenuta da questa Corte sul rilievo che, in caso di “omessa redazione dell’inventario nei termini e con le modalità normativamente stabiliti”, “il mancato completamento” “della fattispecie a formazione progressiva dell’accettazione con beneficio d’inventario, con la quale è stato regolato l’acquisto dell’eredità da parte delle persone giuridiche diverse dalle società”, unitamente alla sua sopravvenuta impossibilità, “si traduce nella mancata acquisizione della capacità speciale a succedere da parte delle persone giuridiche stesse, in quanto condizionata ad una valida aditio nella forma stabilita…” (Cass. n. 19598 del 2004, in motiv.; Cass. n. 2617 del 1979).
4.4. Da tale indirizzo, tuttavia, il collegio reputa di doversi discostare. Non risulta, infatti, condivisibile la tesi per cui, in caso di mancata o tardiva formazione dell’inventario, la persona giuridica subisca la perdita non solo, come visto, degli effetti “prodromici e strumentali” della dichiarazione di accettazione beneficiata precedentemente assunta, dovendosi in tal caso escludere che sussista alcuna accettazione, ma anche, in conseguenza di una speciale incapacità a succedere (peraltro sopravvenuta rispetto all’apertura della successione) del diritto stesso di accettare l’eredità. Ritiene, al contrario, la Corte che – una volta che la dichiarazione di accettazione dell’eredità abbia perduto i suoi effetti in conseguenza della mancata formazione dell’inventario nei termini stabiliti dalla legge – la persona giuridica, in mancanza di un’espressa disposizione normativa che ne preveda espressamente la perdita, conserva (salvi, naturalmente, gli effetti estintivi conseguenti, secondo le norme comuni, alla sua prescrizione ovvero al decorso del termine fissato a norma dell’art. 481 c.c.) il diritto di accettare l’eredità. In quest’ultimo senso, in effetti, depone il rilievo secondo il quale la soluzione qui avversata, nella misura in cui prospetta la definitiva perdita del diritto di accettare l’eredità in conseguenza della mancanza o della tardiva formazione dell’inventario successivamente alla dichiarazione di accettazione beneficiata, finisce per individuare una causa di decadenza da tale diritto, che, in realtà, nessuna norma prevede: tanto più se si considera che, negli altri casi di accettazione beneficiata, la stessa evenienza (e cioè la mancata o tardiva formazione dell’inventario dopo la dichiarazione di accettazione con il relativo beneficio) comporta non la perdita del diritto di accettare l’eredità ma soltanto l’acquisto dello status di erede, che consegue all’esercizio di quel diritto, in modo puro e semplice (artt. 485 c.c., comma 1, art. 487 c.c., comma 2, e art. 489 c.c.). Deve, pertanto, ritenersi che l’ente al quale sia stata devoluta un’eredità, una volta che l’accettazione beneficiata abbia perduto i suoi effetti per la mancata formazione dell’inventario nei termini prescritti, possa senz’altro procedere ad una nuova dichiarazione di accettazione beneficiata ed al successivo inventario nei predetti termini: vale a dire – nell’impossibilità di applicare alle persone giuridiche forme di acquisto dell’eredità diverse da quella imposta dall’art. 473 c.c., ivi compresa l’accettazione ex lege prevista dall’art. 485, comma 2, e art. 487, comma 2, seconda parte (cfr., sul punto, Cass. n. 19598 del 2004) – i termini stabiliti, in generale, dall’art. 484 c.c., comma 3, e art. 487 c.c., comma 2, prima parte. Del resto, se l’accettazione dell’eredità può essere compiuta perfino dal chiamato che via abbia in precedenza rinunziato (art. 525 c.c.), non si vede come, sia pur nei limiti della prescrizione del relativo diritto, possa essere impedito alla persona giuridica di accettare nuovamente l’eredità dopo che l’accettazione beneficiata precedentemente compiuta sia divenuta, per le ragioni dette, giuridicamente inefficace. Soltanto così, del resto, è possibile, per un verso, conservare gli effetti della disposizione testamentaria con la quale il de cuius ha nominato l’ente quale suo erede, e, per altro verso, tutelare le ragioni dello stesso ente e del suo diritto ad accettare, sia pur in forma necessariamente beneficiata, l’eredità ad esso devoluta. Le ragioni dei creditori e dei legatori, del resto, non sono necessariamente affidate all’inventario redatto dall’erede che ha accettato con il relativo beneficio ed alla sua tempestiva redazione rispetto ai termini stabiliti dagli artt. 485 e 487 c.c., ben potendo essere tutelate, a norma dell’art. 512 c.c. e ss., con la separazione dei beni del defunto da quelli dell’erede, che assicura tanto la rapida formazione dell’inventario (e la pronuncia delle disposizioni necessarie per la conservazione dei beni), quanto la soddisfazione delle predette ragioni, analogamente a quanto accade con l’accettazione beneficiata, con preferenza rispetto a quelle dei creditori dell’erede. L’inefficacia giuridica della dichiarazione di accettazione beneficiata non seguita dalla tempestiva redazione dell’inventario, non esclude, in definitiva, che, entro il termine di prescrizione e salva la scadenza del termine fissato ai sensi dell’art. 481 c.c., l’ente chiamato all’eredità possa nuovamente dichiarare la sua accettazione con beneficio d’inventario.
4.5. Nel caso di specie, le conclusioni che precedono consentono, in definitiva, di ritenere: – innanzitutto, che la Fondazione convenuta, non avendo redatto l’inventario nei termini prescritti dopo la prima dichiarazione di accettazione dell’eredità, non ha acquistato, in conseguenza dell’inefficacia di tale accettazione (e della conseguente impossibilità di un successivo perfezionamento della fattispecie), la qualità di erede, e che l’alienazione dalla stessa compiuta dopo la dichiarazione ma senza che l’inventario sia stato redatto nei termini, non ne ha comportato, in ragione del mancato completamento della fattispecie acquisitiva della predetta qualità, la decadenza dai relativi effetti; – in secondo luogo, che la dichiarazione di accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario che la Fondazione convenuta ha successivamente compiuto è senz’altro valida ed efficace ed, in quanto tale, idonea ad attribuire alla stessa la qualità di erede (beneficiato).
5. Il terzo motivo è parimenti infondato. Il ricorrente, infatti, lamenta, in sostanza, che la corte d’appello, pur in difetto di una soccombenza nel merito nei confronti dell’esecutore testamentario, lo abbia nondimeno condannato a rimborsare a quest’ultimo le spese di giudizio senza, cioè, procedere, specie a fronte del mutamento giurisprudenziale in ordine alle questioni trattate, alla compensazione delle stesse. Sennonchè, com’è noto, con riferimento al regolamento delle spese processaualil, il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite (Cass. n. 8421 del 2017; Cass. n. 24502 del 2017).
6. Il ricorso dev’essere, quindi, rigettato.
7. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
8. La Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per l’applicabilità del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.
PQM
la Corte così provvede: rigetta il ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare alla Fondazione Opera Pia Mastai Ferretti le spese di lite, che liquida in Euro 12.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e spese generali nella misura del 15%; condanna il ricorrente a rimborsare ad M.F.A., nella qualità di esecutore testamentario, le spese di lite, che liquida in Euro 9.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e spese generali nella misura del 15%;
dà atto della sussistenza dei presupposti per l’applicabilità del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile, il 27 febbraio 2019.
Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2019
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