Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.17052 del 26/06/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16745-2017 proposto da:

R.L., elettivamente domiciliato in Roma, via Sistina 121, presso lo studio dell’avvocato ALBERTO PANUCCIO, che lo rappresenta e difende unitamente all’AVVOCATO GIUSEPPE PANUCCIO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’ISTRUZIONE, UNIVERSITA’ e RICERCA *****, ed UNIVERSITA’ degli STUDI di MESSINA, elettivamente domiciliati in ROMA, via DEI PORTOGHESI 12, presso. AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende per legge;

– controricorrenti –

e contro

B.D.G., C.C.V., B.A., B.L., domiciliati in Roma, presso la CANCELLERIA CIVILE della CORTE di CASSAZIONE, rappresentati e difesi dagli AVVOCATI MAURIZIO LA PEDALINA e CARMELO IARIA;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

avverso la sentenza n. 00358/2016 della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositata il 14/06/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20/03/2019 dal Consigliere Dott. VALLE Cristiano;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CARDINO Alberto, che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi;

udito l’Avvocato Giuseppe Panuccio per il ricorrente R.L.;

osserva quanto segue.

FATTI DI CAUSA

La Corte di Appello di Messina, nuovamente adita da R.L. a seguito di cassazione con rinvio (Cass. n. 08097 del 03/04/2013), con sentenza n. 358 del 14/06/2016 ha rigettato la domanda di risarcimento danni formulata in primo grado dal R. (ed originariamente accolta dal Tribunale della stessa sede) in relazione ad errate informazioni fornitegli nel marzo dell’anno 1983 dalla segreteria dell’Università degli studi di Messina, Facoltà di Medicina e chirurgia, e specificamente dall’addetto allo sportello B.A., circa l’anno di scadenza dell’iscrizione universitaria e ha confermato la sentenza di condanna del Tribunale solo in relazione al rimborso delle somme di denaro relative ad alcune annualità di tasse universitarie indebitamente pagate dallo stesso R..

Ricorre per cassazione con quattro motivi il R..

Il primo mezzo censura la sentenza d’appello in sede di rinvio ai sensi dell’art. 360, comma 1, art. 2043 in relazione al R.D. 31 agosto 1933, n. 1592, art. 149, (testo unico sull’istruzione universitaria).

Il secondo motivo è pure formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione agli artt. 392,393 e 394 c.p.c. ed alla statuizione di questa Corte con sentenza n. 08097 del 03/04/2013.

Il terzo motivo censura la pronuncia della Corte territoriale per violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 1223,1226 e 2056 c.c..

Infine il quarto mezzo impugna la compensazione delle spese ai sensi dell’art. 92 c.p.c..

Il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e l’Università degli studi di Messina resistono con controricorso.

C.C.V., B.D.G. e B.L., quali eredi di B.A., resistono con controricorso contenente ricorso incidentale, con il quale chiedono la riforma della sentenza d’appello in forza dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, in relazione al D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, artt. 22 e 23 e in relazione agli artt. 91 e 92 c.p.c., laddove la pronuncia ha, almeno implicitamente, affermato esservi stata colpa grave del loro dante causa nel dare le informazioni allo sportello al R..

R.L. ha depositato memoria per la discussione.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il primo motivo del ricorso di R.L. è fondato.

La pronuncia di rinvio n. 08097 del 09/04/2013 ha ritenuto sussistente il danno.

La Corte di Appello non tiene conto della pronuncia di cassazione, ricostruendo nuovamente la fattispecie concreta.

La sentenza di questa Corte n. 08097 del 2013 ha ritenuto che erroneamente il giudice territoriale d’appello non avesse ritenuto credibili le dichiarazioni del teste G., che, nel corso dell’istruttoria testimoniale in primo grado, aveva risposto affermativamente alla domanda se R.L. si era presentato nel marzo 1983 allo sportello della segreteria universitaria della Facoltà di medicina e chirurgia dell’Università di Messina per ottenere informazioni sulla sua situazione didattico-amministrativa e che in detta occasione B.A. gli rispose che aveva (ancora) un anno per evitare la decadenza dall’immatricolazione (e, quindi, fino a marzo 1984) e che a tal fine avrebbe dovuto versare le tasse arretrate per gli anni fuori corso e sostenere, sempre entro l’anno, un esame, seppure solo con esito negativo. Ugualmente la sentenza n. 08097 del 2013 di questa Corte ha ritenuto erronea la valutazione della prova testimoniale resa dal teste Ca., direttore amministrativo dell’Università, che aveva affermato che il B. aveva ammesso, sebbene solo in una prima circostanza, negandolo sempre successivamente, di avere commesso un errore.

La sentenza in scrutinio ha errato nel ritenere che comunque il R. non avrebbe potuto regolarizzare la sua posizione, chiedendo di sostenere un esame, in quanto anche se effettivamente egli avesse ricevuto delle informazioni esatte allo sportello universitario nel marzo del 1983 avrebbe dovuto procedere immediatamente alla sanatoria della propria posizione, pagando le tasse per gli anni fuori corso e sostenere un esame nell’anno accademico ancora in corso.

L’affermazione è incongrua in quanto fondata sul presupposto che gli otto anni siano da computare quali solari e non quali accademici. L’ultimo esame sostenuto da R.L., nel marzo 1975, si collocava pacificamente nell’anno accademico 1974-1975 (pur trattandosi verosimilmente di sessione straordinaria dell’anno accademico 1973-1974). Ne consegue che l’ultimo anno accademico utile per il R. era il 1983-1984 e in questo ambito l’ultima utile sessione di esame, che poteva cadere anche dopo il marzo 1983. Sul punto si richiama la giurisprudenza del giudice amministrativo (più di recente: Tar Abruzzo-L’Aquila n. 00750 del 05/11/2015 e in precedenza Tar Lazio Roma n. 09333 del 31/10/2002 e ancora in precedenza Consiglio di Stato n. 01498 del 24/11/1989) che afferma che ai fini del computo degli otto anni necessari al maturarsi della decadenza deve aversi riguardo agli anni accademici e non a quelli solari.

E’ incontroverso che il R. aveva sostenuto l’ultimo esame universitario in forza dell’originaria iscrizione il 15 marzo 1975 (e quindi nell’anno accademico 1974-1975). Al fine di evitare la decadenza avrebbe dovuto (e potuto) chiedere e sostenere un esame, anche con esito negativo, entro l’ultima sessione utile dell’ottavo anno accademico successivo a quello in cui aveva sostenuto detto ultimo esame, e pertanto nell’arco dell’anno accademico 1983-1984. Con ragionamento controfattuale risulta pertanto che se effettivamente egli avesse ottenuto delle informazioni esatte nel marzo 1983, mese nel corso del quale egli incontrovertibilmente si recò allo sportello della segreteria universitaria della Facoltà di medicina, è altamente probabile che avrebbe potuto sostenere, anche se solo con esito negativo (cd. esame suicida, valido ai soli fini dell’interruzione della decadenza) nel corso dell’anno accademico 1983-1984, una prova d’esame. Viceversa, essendosi recato a regolarizzare la propria posizione amministrativa soltanto nell’aprile del 1984, a causa dell’errata informazione ricevuta allo sportello, da parte del B., subì le conseguenze negative derivanti dalla preclusione alla regolarizzazione (e la conclusione non muterebbe se si ipotizza che si fosse presentato per la regolarizzazione nel marzo 1984).

Il primo motivo del ricorso del R. è, quindi, accolto. L’accoglimento del primo motivo di ricorso rende assorbiti i restanti motivi (secondo, terzo e quarto) del ricorso principale.

Il ricorso principale è, pertanto accolto.

La sentenza impugnata è cassata e la causa rinviata per nuovo giudizio alla Corte di appello di Messina, in diversa composizione, che nel deciderla si atterrà quanto sopra rilevato.

Al giudice del rinvio è demandato di provvedere anche sulle spese di questo giudizio di cassazione con riferimento al giudizio relativo al motivo devoluto.

Il ricorso incidentale degli eredi di B.A. è infondato.

Sull’insussistenza del fatto illecito del loro dante causa non si è formato giudicato in quanto la sentenza in scrutinio comunque afferma che le informazioni fornite da B.A. a R.L. erano state errate e la questione, pertanto, è stata oggetto di cognizione e l’impugnazione incidentale non adduce alcuna effettiva ragione di dissenso rispetto al detto capo di sentenza. La Corte territoriale ha, infatti, ritenuto sussistente l’illecito del funzionario (pag. 13) ritenendone solo insufficiente (ma ingiustificatamente, giusta quanto sopra rilevato) l’incidenza causale.

Il ricorso incidentale è, pertanto, rigettato.

Le spese di lite relative al ricorso incidentale sono poste a carico dei ricorrenti incidentali e sono liquidate in favore di R.L. e della Pubblica Amministrazione come in dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1, deve darsi atto dell’insussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13 e della sussistenza per il detto versamento da parte dei ricorrenti incidentali con riferimento all’importo dovuto per il ricorso incidentale.

P.Q.M.

accoglie il primo motivo del ricorso principale, assorbiti i restanti;

cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese di questo giudizio, alla Corte di Appello di Messina, in diversa composizione;

rigetta il ricorso incidentale e condanna i ricorrenti incidentali al pagamento delle spese di lite in favore di R.L. e del Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, che liquida in Euro 2.250,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, per ciascuna parte, oltre rimborso forfetario al 15%, oltre CA ed IVA per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13 e dei presupposti del detto versamento da parte dei ricorrenti incidentali con riferimento all’importo dovuto per il ricorso incidentale.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, sezione 3 civile, il 20 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2019

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