LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ACIERNO Maria – Presidente –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –
Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 23530/2017 proposto da:
Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Nazionale 204, presso lo studio dell’avvocato Musco Carbonaro Benedetta, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Zitiello Luca, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
C.G., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato Saporito Antonella, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 1380/2017 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 12/06/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11/04/2019 dal cons. FALABELLA MASSIMO.
FATTI DI CAUSA
1. – C.G. agiva in giudizio con citazione notificata alla Banca Agricola Mantovana s.p.a., oggi Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a., in data 21 aprile 2006. Domandava dichiararsi la nullità, o pronunciarsi l’annullamento o la risoluzione per grave inadempimento, da parte della banca, di due operazioni di investimento in bond argentini effettuate il 18 aprile 2001 per complessivi Euro 414.000,00; chiedeva, altresì, la condanna della convenuta alla restituzione della somma investita, ovvero al risarcimento del danno, quantificato nella medesima cifra. La domanda si fondava sull’inadempimento della banca agli obblighi informativi, correlati anche all’andamento dei titoli a seguito del loro acquisto, e sul fatto che l’operazione sarebbe stata posta in essere dall’intermediario in una situazione di conflitto di interessi.
La banca si costituiva e resisteva, 2. – Era pronunciata, da parte del Tribunale di Bologna, sentenza di rigetto che C. impugnava.
Il 12 giugno 2017 la Corte di appello emiliana pronunciava sentenza con cui, in riforma della pronuncia di primo grado, condannava la Banca Monte dei Paschi di Siena al pagamento dell’importo di Euro 291.236,46, oltre interessi e rivalutazione monetaria a decorrere dal 12 marzo 2005.
3. – Contro quest’ultima pronuncia ricorre per cassazione la Banca Monte dei Paschi: l’impugnazione si fonda su nove motivi. C. resiste e propone, a sua volta, un ricorso incidentale che consta di un unico motivo. Entrambe le parti hanno illustrato le rispettive deduzioni con memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Col primo motivo vengono lamentate la violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., in punto di nuove produzioni documentali in appello; sono inoltre denunciate la violazione e falsa applicazione dell’art. 170 c.p.c., per non aver ritenuto la Corte di appello correttamente effettuata la notifica della sentenza di primo grado ai fini della decorrenza del termine breve per l’impugnazione. Ci si duole che la Corte di merito abbia attribuito rilievo alla rinuncia al mandato dell’avv. Degli Esposti: rinuncia che era stata prodotta solo con la memoria di replica in fase di gravame, allorquando l’appellante aveva formulato una nuova prospettazione dei fatti con riguardo al tema della legittimazione del nuovo difensore, avv. Barbieri, a ricevere l’atto di impugnazione. E’ spiegato, inoltre, che la rinuncia al mandato non era stata depositata in via telematica e che il documento prodotto non recava alcun timbro della cancelleria del Tribunale, presso cui l’atto sarebbe stato depositato. Secondo l’istante, la conclusione cui era pervenuta la Corte di appello – la quale aveva conferito rilievo alla rinuncia al mandato (seguita dalla nomina del nuovo difensore) che si sarebbe perfezionata due anni prima della notifica dell’atto di impugnazione – non poteva condividersi, in mancanza della tempestiva produzione, in primo grado, della predetta rinuncia.
Il secondo mezzo oppone la violazione e falsa applicazione dell’art. 346 c.p.c., per avere la Corte di Bologna esaminato la domanda di risoluzione degli ordini di investimento, che non era stata riproposta in appello da controparte. Assume l’istante che l’odierno controricorrente aveva rinunciato alla predetta domanda e che oggetto del giudizio di gravame era costituito dalla sola domanda risarcitoria, la quale, era basata sulla violazione, da parte della banca, degli obblighi informativi, oltre che sulla presunta inadeguatezza delle controverse operazioni di acquisto. Aggiunge la ricorrente che, in ogni caso, non vi era modo di configurare, in diritto, una risoluzione dei singoli ordini di investimento.
Col terzo motivo sono lamentate la violazione e falsa applicazione dell’art. 28, comma 2, reg. Consob n. 11522/1998 in relazione al mancato assolvimento degli obblighi informativi in occasione dell’acquisto delle obbligazioni Argentina. Si assume che la Corte di appello avrebbe errato nel ritenere inadempiuti i detti obblighi nonostante la consegna al cliente del documento sui rischi generali sugli investimenti in strumenti finanziari e che i documenti prodotti fornivano la prova della “perfetta familiarità” del controricorrente con gli strumenti finanziari oggetto di causa.
Il quarto motivo oppone la violazione e falsa applicazione dell’art. 28, comma 3 e comma 4, reg. Consob n. 11522/1998 in relazione al mancato assolvimento degli obblighi informativi successivi all’operazione di investimento. Rileva l’istante che tali obblighi non si configurano e che, quindi, l’intermediario non era tenuto a rendere edotta la controparte circa l’andamento negativo dei titoli acquistati.
Col quinto mezzo la sentenza impugnata viene censurata per la violazione e falsa applicazione dell’art. 29 reg. Consob n. 11522/1998 in relazione all’inadeguatezza dell’operazione di investimento. Assume la banca che la Corte di merito avrebbe errato nel ritenere che il profilo di rischio del cliente fosse inadeguato all’acquisto dei titoli argentini; richiama, in proposito, quanto dichiarato dal controricorrente, prima dell’acquisto, nel “questionario per l’investitore in strumenti finanziari” in ordine alla pregressa operatività, a livello di esperienza e agli obiettivi di investimento, dello stesso C..
Col sesto motivo è lamentata la violazione e falsa applicazione dell’art. 1455 c.c. per avere la Corte di merito valutato di non scarsa importanza l’inadempimento della banca. Secondo la ricorrente la domanda avrebbe dovuto essere respinta, stante la correttezza del proprio operato; aggiunge che, in ogni caso, era ragionevole presumere che una diversa condotta, da parte di essa istante, difficilmente avrebbe inciso causalmente sulle scelte del cliente (che quindi si sarebbe egualmente determinato all’operazione di acquisito).
Il settimo motivo censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 1458 c.c., con riguardo all’omessa detrazione delle cedole percepite dal quantum dovuto dalla banca a fronte della condanna alla restituzione, in favore del cliente, delle somme investite. Sostiene la ricorrente che, una volta pronunciata la risoluzione dell’ordine di acquisto, il cliente sarebbe stato tenuto a restituire i titoli acquistati, con le relative cedole, in forza della previsione contenuta nell’art. 2037 c.c.: ciò che, di fatto, la Corte di appello aveva negato, rilevando come le cedole rappresentassero il frutto civile maturato e incassato in buona fede dal cliente.
L’ottavo motivo prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2033 c.c., per avere la Corte di appello condannato la banca a rifondere a C. gli interessi legali maturati da una data diversa da quella della domanda. Viene spiegato che erroneamente il giudice del gravame aveva fatto decorrere i predetti interessi dal momento della vendita dei titoli.
Col nono motivo sono lamentate la violazione e falsa applicazione dell’art. 1224 c.c., per avere la Corte di merito condannato la banca a rifondere al cliente la rivalutazione monetaria in assenza del maggior danno. E’ rilevato che il maggior danno sofferto dal creditore per effetto della svalutazione monetaria debba essere allegato e provato.
Il ricorso incidentale prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.. L’istante si duole del mancato esame dell’eccezione di nullità del contratto quadro da lui sollevata nella comparsa conclusionale di appello: nell’occasione era stato infatti eccepito che il detto contratto recava la sola firma del cliente.
2. – Il primo motivo del ricorso principale è fondato.
La censura involge la questione circa la tempestività del gravame, avendo riguardo al fatto che la sentenza del Tribunale – secondo quanto rileva la Corte distrettuale – fu notificata all’odierno controricorrente “presso il domicilio originariamente eletto in atto di citazione in prima istanza, ovverosia presso l’avv. Dagoberto Degli Esposti”. La Corte di appello, nell’esaminare l’eccezione di tardività dell’appello proposta dalla banca, ha rilevato che l’originario difensore di C., il nominato avvocato Degli Esposti, aveva rinunciato alla difesa in data 16 ottobre 2009 e che il nuovo difensore della parte, l’avvocato Barbieri, si era costituito in cancelleria il successivo 26 ottobre. Il giudice del gravame ha evidenziato che il venir meno del rapporto di mandato aveva travolto anche l’elezione di domicilio presso il difensore rinunciante, onde la notifica attuata presso lo studio del primo difensore non poteva far decorrere il c.d. termine breve per l’impugnazione della sentenza di primo grado.
La ricorrente, col motivo di censura in esame, invoca l’applicazione del noto principio per cui ove la parte sia costituita nel giudizio di primo grado a mezzo di due procuratori con uguali poteri di rappresentanza e la notifica della sentenza sia fatta ad entrambi, il termine per l’impugnazione decorre dalla prima notifica, anche se effettuata presso il procuratore non domiciliatario, sempre che tale procuratore non sia esercente fuori dal circondario e non eligente domicilio R.D. n. 37 del 1934, ex art. 82, atteso che i poteri, le facoltà e gli oneri che fanno capo al difensore domiciliatario sono identici a quelli che ineriscono al mandato del difensore non domiciliatario, con la conseguenza che quest’ultimo non può restare inerte (Cass. 4 febbraio 2011, n. 2774; Cass. 23 marzo 2004, n. 5759).
Come si è anticipato, la sentenza impugnata ha escluso che tale regola potesse trovare applicazione, ritenendo che il primo difensore avesse rinunciato al mandato e il secondo fosse stato officiato in sostituzione del primo, non in aggiunta a quest’ultimo.
In termini generali, la nomina, nel corso del giudizio, di un secondo procuratore non autorizza, di per sè sola, in difetto di univoche espressioni contrarie, a presumere che la stessa sia fatta in sostituzione del primo, dovendosi, invece, presumere che ne sia stato aggiunto a questi un altro, e che ognuno di essi sia munito di pieni poteri di rappresentanza processuale della parte, in base al principio del carattere ordinariamente disgiuntivo del mandato stabilito dall’art. 1716 c.c., comma 2, (Cass. 31 marzo 2017, n. 8525; Cass. 27 luglio 2007, n. 16709).
Ora, non risulta affatto che, al momento della notificazione della sentenza di primo grado, l’avvocato Barbieri fosse l’unico difensore dell’odierno controricorrente. In base all’atto di “nomina nuovo difensore” che risulta depositato il 26 ottobre 2009, e cui il Collegio ha accesso, vertendosi in tema di error in procedendo, il nominato professionista è stato infatti officiato “congiuntamente e disgiuntamente al già nominato avv. Degli Esposti”. Nè il conferimento in via esclusiva dei poteri difensivi avrebbe potuto validamente desumersi, come ha fatto la Corte di appello, da una pregressa rinuncia dell’avvocato Degli Esposti. Infatti, non risulta che l’atto di rinuncia presente nel fascicolo di appello di C. sia stato prodotto in prime cure o con l’atto di appello: l’atto in questione risulta documentato da una comunicazione datata 16 ottobre 2009 che parrebbe richiamata in una “nota di deposito” del 27 ottobre successivo, ma l’atto in questione, al pari della nota, non recano alcuna attestazione di deposito presso la cancelleria. A ragione, quindi, la ricorrente lamenta la mancata osservanza della preclusione all’acquisizione processuale della predetta rinuncia (siccome depositata con la memoria di replica di appello). In conclusione, non esiste alcuna evidenza documentale quanto al fatto che alla data della notifica della sentenza del Tribunale da parte dell’odierna ricorrente il primo difensore di C. avesse rinunciato al mandato.
La Corte di merito avrebbe dovuto piuttosto verificare se la rinuncia potesse ricavarsi da altri elementi processuali. Infatti, per la rinuncia al mandato da parte del procuratore ad litem non è prescritto alcun atto formale, e quindi la rinuncia può desumersi da atti che dimostrino l’abbandono, da parte del procuratore, delle sue funzioni, in coincidenza con l’assunzione di esse da parte di altro procuratore: tale giudizio compete al giudice del merito ed è sottratto al sindacato di legittimità (Cass. 29 agosto 1973, n. 2396); in particolare, la rinuncia del difensore al mandato può avvenire per facta concludentia, ma in tal caso non basta la sola assenza del difensore dalle udienze, occorrendo anche altri fatti i quali, considerati insieme a detta assenza, inducano a ritenere cessato il rapporto tra la parte ed il difensore, secondo l’apprezzamento del giudice del merito, incensurabile in sede di legittimità se congruamente motivato (Cass. Sez. U. 7 ottobre 1981, n. 5260, che fa salva la censura motivazionale: censura oggi da raccordare all’assetto delineatosi a seguito della novellazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5).
In tal senso, la sentenza va cassata, con rinvio della causa al giudice di appello, chiamato a svolgere un accertamento nel senso indicato.
3. – Gli altri motivi del ricorso principale restano assorbiti e così pure il ricorso incidentale.
4. – La Corte di appello di Bologna che, in diversa composizione, giudicherà della causa in sede di rinvio, statuirà pure sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso principale; dichiara assorbiti i restanti motivi del ricorso principale e il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Bologna, in diversa composizione, anche per le spese.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Prima Civile, il 11 aprile 2019.
Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2019
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