LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –
Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –
Dott. TRIA Lucia – Consigliere –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –
Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 29563/2014 proposto da:
C.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI PIETRALATA 320, presso lo studio dell’avvocato GIGLIOLA MAZZA RICCI, rappresentato e difeso dall’avvocato VINCENZO ANTONUCCI;
– ricorrente –
contro
A.S.L. FOGGIA – AZIENDA SANITARIA LOCALE DELLA PROVINCIA DI FOGGIA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI GRACCHI 278, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO BIGGIO, rappresentata e difesa dall’avvocato GIUSEPPINA NORMA BORTONE;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1825/2014 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 09/07/2014; r.g.n. 5254/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/07/2019 dal Consigliere Dott. ROBERTO BELLE’;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VISONA’ Stefano, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. La Corte d’Appello di Bari, adita dalla A.S.L. di Foggia, in riforma della sentenza del Tribunale di Lucera che aveva accolto il ricorso, ha respinto la domanda proposta da C.A., il quale aveva chiesto la condanna dell’Azienda Sanitaria al pagamento della somme asseritamente dovute a titolo di indennità di specificità medica, ex art. 54 del CCNL 5 dicembre 1996 per l’area della dirigenza medica e veterinaria del S.S.N..
La Corte territoriale riteneva decisivo il fatto che il ricorrente avesse optato, nel transitare alle dipendenze della USL, per il trattamento economico onnicomprensivo di cui al D.P.R. n. 270 del 1987, art. 110, cui la successiva contrattazione collettiva aveva escluso si dovessero aggiungere ulteriori emolumenti.
2. Il C. ha proposto ricorso per cassazione con un motivo, poi illustrato da memoria e resistito da controricorso della U.S.L..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il ricorrente, con nove motivi di ricorso, formulati ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, artt. 1362 c.c. e segg., D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 5, denunciano la violazione e falsa applicazione di numerose disposizioni di legge e di contratto collettivo (allegato n. 6 tavola 3 c) di cui all’art. 13, comma 1, CCNL 3.11.2005; artt. 36, 45 e 48 dello stesso CCNL; art. 70 CCNL 5/12/1996; artt. 37, 43 e 46 c.c.n.l. 8/6/2000; art. 2909 c.c.; D.P.R. n. 761 del 1979, art. 30; D.P.R. n. 270 del 1987, art. 110; artt. 6 e 13 CEDU; artt. 24,111 e 113 Cost.; art. 54 CCNL 5/12/1996; art. 4 CCNL 5/7/2006; art. 1418 c.c.; D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45; art. 112 c.p.c.) e sostengono, in estrema sintesi, che la Corte territoriale ha erroneamente interpretato le clausole contrattuali riguardanti l’indennità di specificità medica e il trattamento onnicomprensivo riconosciuto in favore degli ex medici condotti.
Egli rileva che l’I.S.M. prescinde dall’esclusività ed è attribuita a tutti i dirigenti medici, anche se a tempo definito, tanto che nell’allegato n. 6, tavola 3, del CCNL 2005 l’indennità è inclusa nel trattamento fondamentale dei dirigenti medici a tempo definito e rapporto di lavoro non esclusivo;
Sostiene altresì che la locuzione “trattamento onnicomprensivo” non poteva più essere intesa nell’accezione di cui al D.P.R. n. 270 del 1987, art. 110, perchè la norma aveva cessato di produrre effetti a seguito dell’annullamento da parte del TAR Lazio del D.P.R. n. 384 del 1990, art. 133, comma 2 e, quindi, l’espressione contenuta nel CCNL 8.6.2000 era da intendersi come sinonimo di “trattamento tabellare”.
Il C. ancora addebita alla sentenza impugnata la violazione dell’art. 2909 c.c., per non avere riconosciuto il valore di giudicato della sentenza del TAR Lazio n. 640/1994, confermata dal Consiglio di Stato, che aveva ritenuto ingiustificato il trattamento retributivo differenziato, rilevando che gli ex medici condotti, divenuti dipendenti delle unità sanitarie locali, possedevano uno status non diverso da quello degli altri dirigenti medici e ritiene che la Corte territoriale, nel negare il diritto all’indennità di specificità medica, avrebbe violato il principio della parità di trattamento sul quale si era formato il giudicato, ponendosi in contrasto con gli artt. 6 e 13 della CEDU nonchè con gli artt. 24,111,113 Cost., che garantiscono l’effettività della tutela giurisdizionale.
Inoltre con il ricorso si richiamano le disposizioni contrattuali che disciplinano la struttura della retribuzione dei dirigenti medici di primo e secondo livello nonchè la graduazione delle funzioni ed insiste nel sostenere che l’indennità spetta a tutti i dirigenti medici e veterinari, in quanto è volta a compensare lo svolgimento di attività di cura, diagnosi e tutela della salute pubblica, mentre l’esclusività del rapporto è remunerata dalla diversa indennità prevista dall’art. 42, sicchè la stessa deve essere riconosciuta agli ex medici condotti, non essendo in discussione la loro qualità di dirigenti medici.
I motivi addebitano poi alla Corte territoriale di avere violato l’art. 54 del CCNL 1996, l’art. 37 del CCNL 8.6.2000, l’art. 36 del CCNL 2005 con i quali si è sottolineata la peculiarità della funzione medica, che costituisce “non solo il perno produttivo dell’attività aziendale ma anche il fine istituzionale di essa” e che perciò è stata compensata con una specifica indennità, che costituisce un istituto di carattere generale del trattamento economico fondamentale e ribadiscono che l’art. 48 CCNL 2005 e art. 4 CCNL 2006 nel richiamare il trattamento economico onnicomprensivo si riferiscono allo stipendio tabellare, al fine di escludere la dinamica degli incrementi contrattuali lordi previsti per le voci stipendiali, ed a conferma di detta interpretazione evidenzia che gli ex medici condotti percepivano comunque anche altre indennità, come la r.i.a., l’indennità integrativa speciale, l’elemento distintivo della retribuzione, l’una tantum ex lege n. 438 del 1992.
Infine il ricorrente sostiene che l’interpretazione delle clausole contrattuali fatta propria dalla Corte territoriale viola il principio della parità di trattamento sancito dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45 e, quindi, rende nulle le clausole stesse per violazione di norma imperativa, lamentando altresì che la Corte di Appello avrebbe omesso di pronunciare (art. 112 c.p.c.) sulla pur dedotta questione di nullità, 2. I motivi, da trattare unitariamente in ragione della loro connessione logico-giuridica, sono infondati perchè la sentenza impugnata è conforme all’orientamento ormai consolidato di questa Corte secondo cui “gli ex medici condotti tuttora con rapporto non esclusivo con le A.S.L., in ragione della loro libera scelta di non esercitare la relativa opzione, permangono in una posizione giuridica differenziata rispetto al restante personale medico del servizio sanitario nazionale, mantenendo, in particolare, il trattamento retributivo omnicomprensivo originariamente previsto dal D.P.R. 20 maggio 1987, n. 270, art. 110, con esclusione degli ulteriori emolumenti previsti dalla contrattazione collettiva per i dirigenti medici del servizio sanitario nazionale con rapporto esclusivo di dipendenza con la A.S.L., tra cui l’indennità di specificità medica” (Cass. n. 1487/2014 e negli stessi termini in fattispecie sovrapponibili a quella oggetto di causa Cass. n. 16303/2017; cfr. anche Cass. n. 28833/2018; Cass. n. 27222/2017; Cass. n. 27221/2017; Cass. n. 26168/2017; Cass. n. 6057/2016).
Con le richiamate decisioni, alla cui motivazione si rinvia ex art. 118 disp. att. c.p.c., si è rimarcata la posizione giuridica differenziata degli ex medici condotti, che non abbiano optato per il rapporto esclusivo, rispetto al restante personale medico del servizio sanitario nazionale e, pertanto, è stata esclusa l’eccepita violazione delle norme costituzionali e sovranazionali nonchè del principio di parità di trattamento di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45.
Si è evidenziato che gli ex medici condotti, in ragione di una loro libera scelta, sono titolari di un doppio rapporto, convenzionale e dipendente, sicchè è razionale la scelta della contrattazione collettiva di mantenere il trattamento retributivo onnicomprensivo originariamente previsto dal D.P.R. n. 270 del 1987.
Si è richiamato, inoltre, il principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, alla stregua del quale il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45, fa divieto al datore di lavoro pubblico di riconoscere trattamenti individuali migliorativi o peggiorativi rispetto a quelli previsti dal contratto collettivo, ma non costituisce parametro per giudicare delle eventuali differenziazioni operate in sede di contrattazione.
Detto orientamento, condiviso dal Collegio, non è scalfito dai pur diffusi e ampi argomenti svolti nel ricorso.
2.1 Nè ha fondamento il richiamo, contenuto nella memoria ex art. 380 bis 1 c.p.c., L. n. 205 del 2017, art. 1, comma 456, secondo cui “in ottemperanza alle sentenze del tribunale amministrativo regionale (TAR) del Lazio, sezione 1-bis, n. 640/1994, e del Consiglio di Stato, sezione IV giurisdizionale, n. 2537/2004, e per il completamento degli interventi perequativi indicati dal Ministero della salute con atto DGPROF/P/3/I.8.d.n. 1 del 16 giugno 2017, è autorizzata la spesa di 500.000 Euro per l’anno 2018 e di un milione di Euro per ciascuno degli anni 2019 e 2020. Il Ministero della salute, con apposito decreto, individua i criteri di riparto delle risorse tra i soggetti beneficiari nel limite della spesa autorizzata e assicura il relativo monitoraggio”.
Tale disposizione non ha infatti riconosciuto il diritto degli ex medici condotti a percepire l’indennità della quale qui si discute, nè ha impegnato le amministrazioni a liquidare l’indennità stessa con efficacia retroattiva, essendosi limitata a prevedere uno stanziamento di somme, da ripartire secondo criteri che il Ministero della Salute avrebbe dovuto individuare con finalità perequative e che, allo stato, non risultano precisati.
3. Il ricorso va, pertanto, rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controparte delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali, in misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 4 luglio 2019.
Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2019
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