LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MAMMONE Giovanni – Primo Presidente –
Dott. TIRELLI Francesco – Presidente di sez. –
Dott. MANNA Antonio – Presidente di sez. –
Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Consigliere –
Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –
Dott. ORICCHIO Antonio – rel. Consigliere –
Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –
Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –
Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 12501-2018 proposto da:
T.B., elettivamente domiciliata in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati FRANCESCO GIAMPA’ e IVANA CALCOPIETRO;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore, COMMISSIONE ESAME AVVOCATO – SESSIONE 2013, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;
– controricorrenti –
e contro
SOTTO-COMMISSIONE ESAMINATRICE DEL CONCORSO PER ESAME PER L’ABILITAZIONE ALL’ESERCIZIO DELLA PROFESSIONE DI AVVOCATO –
SESSIONE 2013 – INDETTO CON D.M. 2 settembre 2013. PUBBLICATO NELLA G.U. CONCORSI DEL 6.9.13, ISTITUITA PRESSO LA CORTE D’APPELLO DI REGGIO CALABRIA, SOTTO-COMMISSIONE ESAMINATRICE DEL CONCORSO PER ESAME PER L’ABILITAZIONE ALL’ESERCIZIO DELLA PROFESSIONE DI AVVOCATO
– SESSIONE 3013 – INDETTO CON D.M. 2 settembre 2013, PUBBLICATO NELLA G.U. CONCORSI DEL 6.9.13, ISTITUITA PRESSO LA CORTE D’APPELLO DI BRESCIA, M.M.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 302/2018 del CONSIGLIO DI STATO, depositata il 18/01/2018;
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22/10/2019 dal Consigliere Dott. ANTONIO ORICCHIO;
udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dott. MATERA MARCELLO, che ha concluso in via principale per l’inammissibilità, in subordine per il rigetto del ricorso;
uditi gli avvocati Ivana Colapietro, Francesco Giampà e Luigi Siemoli per l’Avvocatura Generale dello Stato.
FATTI DI CAUSA
T.B. propone, con atto affidato a due ordini di motivi, ricorso ex art. 110 c.p.A. chiedendo l’annullamento della sentenza emessa dal Consiglio di Stato, Sezione Quarta, in sede giurisdizionale il 16 gennaio 2018.
Con tale decisione veniva respinto il ricorso della stessa T. per l’ottemperanza della sentenza del medesimo Consiglio n. 526/2016, che – decidendo in sede di appello avverso la sentenza n. 618/2014 del TAR Calabria – aveva totalmente riformato quest’ultima.
Più specificamente e per quanto oggi rileva il Tribunale Amministrativo Regionale aveva, con la sua pronuncia del 2014, rigettato il ricorso col quale l’odierna ricorrente aveva impugnato la non ammissione a sostenere le prove orali dell’esame per l’ammissione all’esercizio della professione di avvocato, sessione 2013, indetto con D.M. 2 settembre 2013.
Il Consiglio di Stato, in sede di appello, provvedeva – quindi – con la già citata sentenza del 2016 ed accoglieva in ricorso della T..
La ricorrente, quindi, lamentando che – a seguito della notifica all’Amministrazione della pronuncia del Consiglio di Stato del 2016 e dell’invito ad adempiere – vi era stata inerzia ed inottemperanza a provvedere della P.A. adiva nuovamente lo stesso Consiglio per l’ottemperanza.
Con la decisione oggi impugnata e resa nel contraddittorio delle parti, il Consiglio – nel rigettare il ricorso di ottemperanza – chiariva, testualmente, che “dall’esecuzione della sentenza non discende il diritto della ricorrente ad ottenere un maggior punteggio, nè tantomeno il diritto alla diretta ammissione, seppur con riserva, alle prove orali”, come preteso e perseguito dalla ricorrente stessa.
Il ricorso è resistito con controricorso dal Ministero della Giustizia, che ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Il primo motivo del ricorso è così rubricato: “nullità della sentenza per: eccesso di potere giurisdizionale e difetto di potestas iudicandi”;
error in procedendo per violazione dei principi e delle regole di rito e dei principi regolatori del giusto processo.
Violazione e falsa applicazione di legge avuto riguardo agli artt. 99, 112,115, 116,276,324 c.p.c. ed artt. 39, 114, comma 4, lett. A) c.p.A, nonchè art. 111 Cost..
Violazione di giudicato e dei limiti esterni alla giurisdizione dell’ottemperanza. Diniego di giustizia” Dall’affastella/sequenza di norme promiscuamente invocate (fra l’altro senza indicazione del parametro normativo processuale di riferimento) emergerebbe già in sè l’inammissibilità del motivo.
Deve, tuttavia e per completezza, osservarsi ulteriormente quanto segue.
Parte ricorrente, in violazione del principio di specificità, non esplicita – innanzitutto – in cosa sarebbe consistito il lamentato diniego di giustizia.
Dall’affastellata sequenza di norme promiscuamente invocate (fra l’altgro senza indicazione del parametro normativo processuale di riferimento emergerebbe già in sè l’inammissibilità del motivo.
Deve, tuttavia e per completezza, osservarsi ulteriormente quanto segue.
Parte ricorrente, in violazione del principio di specificità, non esplicita – innanzitutto – in cosa sarebbe consistito il lamentato diniego di giustizia.
Invero il Consiglio di Stato (con la sua prima decisione del 2016) aveva statuito genericamente in dispositivo l'”accoglimento del ricorso di primo grado”, ricorso col quale si domandava “l’ammissione con riserva alle prove orali…e/o in subordine l’ordine di rinnovazione delle operazioni di correzione relative alle tre prove scritte della ricorrente”.
Orbene l’ambivalenza delle domande formulate col detto ricorso in primo grado (non chiaramente risolta in dispositivo dal Consiglio di Stato nel 2016) e la conseguente verosimile incertezza per la conseguente esecuzione è stata, invero, sciolta con la pronuncia oggi gravata dello stesso Consiglio di Stato.
Quest’ultimo, infatti, ha chiarito esplicitamente che la sua prima decisione andava eseguita – in rifermento “al riconoscimento della fondatezza del dedotto (secondo vizio) vizio” relativo a legittimità formale della procedura – con riguardo al solo “mero obbligo di procedere alla correzione degli elaborati”, cui l’Amministrazione è tenuta.
Non è dato, quindi, comprendere – al di là della stessa impropria rubricazione e prospettazione del motivo qui in esame – in cosa possa, nella concreta fattispecie – consistere il lamentato diniego di giustizia.
Al riguardo non può che richiamarsi il principio, a suo tempo già enunciato, per cui “in tema di sindacato delle Sezioni Unite della Suprema Corte sulle decisioni del Consiglio di Stato per motivi inerenti alla giurisdizione, è configurabile l’eccesso di potere giurisdizionale con riferimento alle regole del processo amministrativo solo nel caso di un radicale stravolgimento delle norme di rito che implichi un evidente diniego di giustizia (nella fattispecie si riteneva non è affetta da tale vizio la pronuncia con la quale il giudice amministrativo, facendo applicazione della sanzione stabilita dal D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 40 nonchè dell’art. 3, comma 2 medesimo D.Lgs., aveva dichiarato l’inammissibilità dell’atto d’appello per violazione dei doveri di specificità, chiarezza e sinteticità espositiva)” (Cass. Sez. U – Sent. 17 gennaio 2017, n. 964). Deve, poi, altresì evidenziarsi l’inammissibilità del ricorso anche sotto il profilo del pur lamentato eccesso di potere.
Infatti “l’eccesso di potere giurisdizionale, denunziabile con il ricorso per cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione, va riferito alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione – che si verifica quando un giudice speciale affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o alla discrezionalità amministrativa, ovvero, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che la materia non possa formare oggetto in assoluto di cognizione giurisdizionale -, nonchè di difetto relativo di giurisdizione, riscontrabile quando detto giudice abbia violato i c.d. limiti esterni della propria giurisdizione, pronunciandosi su materia attribuita alla giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione speciale, ovvero negandola sull’erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici; conseguentemente, in coerenza con la nozione di eccesso di potere giurisdizionale esplicitata dalla Corte costituzionale (sent. n. 6 del 2018), che non ammette letture estensive neanche se limitate ai casi di sentenze “abnormi”, “anomale” ovvero di uno “stravolgimento” radicale delle norme di riferimento, tale vizio non è configurabile per “errores in procedendo”, i quali non investono la sussistenza e i limiti esterni del potere giurisdizionale dei giudici speciali, bensì solo la legittimità dell’esercizio del potere medesimo ” (Sez. U – Sent. 20 marzo 2019, n. 7926, nonchè – in precedenza e conformemente – Cass. U – Sent. n. ri 32175/2018, 23395/2016 e 475/2015). La citata decisione della Corte Costituzionale (n. 6/2018) aveva, infatti, già affermato “l’inammissibilità (di) ogni interpretazione che consenta una più o meno completa assimilazione del ricorso in Cassazione avverso le sentenze del Consiglio di Stato e della Corte dei conti per “motivi inerenti alla giurisdizione” con il ricorso in Cassazione per violazione di legge, (non essendo) l’intervento delle sezioni unite, in sede di controllo di giurisdizione, nemmeno giustificato dalla violazione di norme dell’Unione o della CEDU, (in quanto) l'”eccesso di potere giudiziario” va riferito alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione, e cioè quando il Consiglio di Stato o la Corte dei conti affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o all’amministrazione (cosiddetta invasione o sconfinamento) ovvero, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che la materia non può formare oggetto, in via assoluta, di cognizione giurisdizionale (cosiddetto arretramento), nonchè a quelle di difetto relativo di giurisdizione”.
Il motivo è, quindi, del tutto inammissibile.
2.- Con il secondo motivo si insite nella deduzione della nullità della sentenza gravata per errore in procedendo e per violazione di legge.
Il motivo, in virtù dei principi già innanzi richiamati e per le stese ragioni già esposte, non può che essere parimenti dichiarato inammissibile.
3.- Il ricorso è, quindi e nel suo complesso, inammissibile.
4.- Le spese seguono la soccombenza e di determinano coì come in dispositivo.
5.- Sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13.
PQM
LA CORTE dichiara il ricorso inammissibile.
Condanna la ricorrente alla refusione delle spese del giudizio in favore della Amministrazione controricorrente determinate in Euro 2500,00, oltre spese prenotate e debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio delle Sezioni Unite Civili della Corte Suprema di Cassazione, il 22 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2019
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