Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.7628 del 18/03/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 885-2018 proposto da:

CITTA’ METROPOLITANA DI ROMA CAPITALE, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 119/A, presso la sede dell’AVVOCATURA della Città Metropolitana di Roma Capitale, rappresentata e difesa dall’avvocato MASSIMILIANO SIENI;

– ricorrente –

contro

PREFETTURA UFFICIO TERRITORIALE DEL GOVERNO DI ROMA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 10769/2017 del TRIBUNALE di ROMA, depositata il 29/05/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 12/12/2018 dal Consigliere Dott. COSENTINO ANTONELLO.

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE La Città Metropolitana di Roma Capitale, già Provincia di Roma, ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza con cui il tribunale di Roma, confermando la sentenza del giudice di pace della stessa città, ha rigettato la sua opposizione avverso l’ordinanza-ingiunzione emessa dal prefetto di Roma il 4 febbraio 2015, con cui l’odierna ricorrente era stata sanzionata in relazione alla sosta di un suo vicolo in divieto di fermata. Tale sosta vietata era stata accertata (in contestualità all’accertamento di sosta vietata di altre otto automobili di servizio della stessa Amministrazione provinciale) in *****, con verbale della polizia municipale dell’1/6/2014, giorno antecedente la festa della Repubblica (in cui si sarebbe svolta una sfilata sul via dei Fori Imperiali).

Il tribunale di Roma ha disatteso la prospettazione dell’odierna ricorrente, secondo cui, quando le vetture della Amministrazione provinciale – tra cui quella a cui si riferisce l’ordinanza ingiunzione impugnata nel presente giudizio vennero posteggiate in ***** (al più tardi alle ore 19 del 30 maggio 2014), la segnaletica istitutiva del divieto di fermata con rimozione dalle ore 00,01 dell’1 giugno, fino al 2 giugno, non era stata ancora collocata sul posto. Al riguardo il tribunale ha ritenuto attendibile la comunicazione trasmessagli il 20/11/11 dalla Polizia Municipale di Roma – secondo la quale l’apposizione della suddetta segnaletica era stata effettuata alle ore 12 del 29 maggio 2014 – ed ha giudicato incapaci di deporre i testi indotti al riguardo dall’Amministrazione provinciale.

Il ricorso della Città Metropolitana di Roma Capitale si articola su tre motivi.

La prefettura di Roma non ha depositato controricorso.

La causa è stata chiamata all’adunanza di camera di consiglio del 12 dicembre 2018, per la quale la ricorrente ha depositato una memoria.

Il primo mezzo di ricorso, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 5, denuncia in primo luogo l’omesso esame del fatto decisivo che i cartelli mobili di divieto di sosta non erano stati ancora collocati sulla sede stradale nel momento in cui l’automobile della Amministrazione ricorrente venne parcheggiata in *****. In secondo luogo nel motivo si deduce la violazione degli artt. 115 c.p.c. e 2700 c.c. in cui la sentenza gravata sarebbe incorsa affermando che, per contestare l’esistenza in loco della segnaletica di divieto di sosta, sarebbe stata necessaria la querela di falso avverso il verbale di accertamento della Polizia Municipale. Al riguardo nel mezzo di ricorso si sottolinea che, in sede di opposizione amministrativa al verbale di accertamento, l’Amministrazione provinciale non aveva contestato la presenza della segnaletica al momento della redazione di tale verbale, bensì il fatto che detta segnaletica fosse già presente sul posto nel momento in cui le autovetture erano state posteggiate.

Con il secondo mezzo di ricorso, riferito alla violazione e falsa applicazione degli artt. 101,112 e 221 c.p.c., dei principi in materia di querela di falso, dell’art. 2697 c.p.c., la ricorrente reitera la censura già proposto nel primo motivo avverso la statuizione del tribunale concernente la necessità della querela di falso.

Con il terzo motivo di ricorso, riferito alla violazione dell’art. 246 c.p.c., si censura la statuizione del tribunale relativa alla incapacità di deporre degli autisti dei veicoli dell’Amministrazione provinciale, da quest’ultima indotti come testi sul fatto che, nel momento in cui viene posteggiato il veicolo a cui si riferisce la sanzione impugnata nel presente giudizio, non era presente in loco alcun segnale mobile di divieto di fermata.

Il Collegio ritiene che ragioni di ordine logico impongano di iniziare l’esame del ricorso dal terzo motivo di censura, che va giudicato fondato.

La sentenza gravata afferma, infatti, che l’Amministrazione opponente aveva indotto la testimonianza di quattro autisti (tra cui S.G., conducente del veicolo per la cui sosta era stata emessa l’impugnata ordinanza ingiunzione), al fine di provare che i cartelli di divieto di sosta non risultavano collocati sulla sede stradale nel momento in cui i veicoli affidati ai testi erano stati parcheggiati in *****.

Tanto premesso, il tribunale non pronuncia alcun giudizio di inammissibilità o di irrilevanza dei capitoli di prova testimoniale formulati dall’Amministrazione opponente, ma si limita ad argomentare che i testi indotti “non avrebbero potuto essere ascoltati in qualità di testi essendo, in realtà, i soggetti che avevano commesso la infrazione”.

Tale affermazione contrasta col disposto dell’art. 246 c.p.c., che esclude la capacità di testimoniare solo per i soggetti “aventi nella causa un interesse che potrebbe legittimare la loro partecipazione al giudizio”. Nella specie tale interesse non sussisteva nè in capo a S.G. (cfr. Cass. 18474/05: “In tema di violazioni al codice della strada, il conducente del veicolo con il quale sia stata commessa l’infrazione è privo di legittimazione a proporre opposizione all’ordinanza – ingiunzione emessa soltanto a carico del proprietario del veicolo, responsabile in solido della violazione, trovando, in questo caso, la legittimazione a ricorrere fondamento nell’esistenza di un interesse giuridico alla rimozione di un atto del quale il ricorrente sia destinatario, mentre il fatto di essere esposto ad una eventuale azione di regresso integra un semplice interesse di fatto”; conf. Cass. 6506/17) nè, tanto meno, in capo agli altri autisti indotti come testi; fermo restando il potere/dovere del giudice di merito di verificare in concreto l’attendibilità delle relative deposizioni (Cass. 20731/07: “il collega di lavoro del dipendente sottoposto a procedimento disciplinare per fatto addebitato ad entrambi in concorso non è titolare di interesse, neppure “ad adiuvandum”, che possa legittimare la sua partecipazione al giudizio nel quale il dipendente impugni la sanzione disciplinare irrogatagli, avendo tale giudizio oggetto necessariamente limitato a tale sanzione; ne consegue che la deposizione testimoniale dello stesso è ammissibile e non può essere esclusa “a priori”, restando peraltro attribuita al prudente apprezzamento del giudice di merito, la cui valutazione è incensurabile in cassazione se correttamente motivata, di verificare in concreto l’attendibilità della deposizione testimoniale del collega di lavoro).

Il terzo motivo va quindi accolto; tale accoglimento determina l’assorbimento della censura, sviluppata nel primo motivo, concernente l’omesso esame della circostanza che, al momento in cui il veicolo de quo fu posteggiato, non risultava collocata la segnaletica mobile di divieto di sosta; tale censura presuppone, infatti, la previa dimostrazione processuale di tale circostanza, che l’odierna ricorrente aveva chiesto di fornire mediante la prova per testi non ammessa con la statuizione cassata in accoglimento del terzo motivo.

Va invece giudicata inammissibile, perchè non pertinente all’argomentazione della sentenza impugnata, la censura – proposta nella seconda parte del primo motivo di ricorso e ulteriormente sviluppata nel secondo motivo – concernente l’affermazione della sentenza impugnata secondo cui le contestazioni in fatto dell’Amministrazione provinciale si sarebbero dovute far valere mediante querela di falso avverso il verbale di accertamento. La sentenza gravata, infatti, afferma (correttamente) la necessità della querela di falso per contestare la presenza della segnaletica in loco nel momento della redazione del verbale, ma non fa riferimento alla querela di falso ai fini della contestazione della circostanza che detta segnaletica fosse già presente sul posto nel momento in cui il veicolo de quo fu posteggiato (circostanza, quest’ultima, che il tribunale non desume dal verbale di accertamento, bensì della missiva trasmessagli della Polizia Municipale in data 20 novembre 2011).

In definitiva il terzo motivo di ricorso va accolto, con parziale assorbimento del primo motivo e rigetto del secondo e, in parte, del primo; la sentenza gravata va cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio al tribunale di Roma, in altra composizione, che si atterrà agli enunciati principi di diritto.

PQM

La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, rigetta il secondo motivo e, in parte, il primo, per il resto assorbito nei sensi di cui in motivazione.

Cassa l’impugnata sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia la causa al tribunale di Roma in altra composizione, che provvederà anche al regolamento delle spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 12 Dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 18 marzo 2019

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