Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.1 del 02/01/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. PICCONE Valeria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 29631/2015 proposto da:

S.L.A.I. COBAS SINDACATO LAVORATORI AUTORGANIZZATI INTERCATEGORIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore domiciliato ope legis presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dagli Avvocati GIUSEPPE MARZIALE e ARCANGELO FELE;

– ricorrente –

contro

F.C.A. ITALY S.P.A., già FIAT GROUP AUTOMOBILES S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR 19, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELE DE LUCA TAMAJO, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati GIORGIO FONTANA, VINCENZO LUCIANI, ANTONIO DI STASIO;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 6835/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 21/11/2014 R.G.N. 4503/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23/05/2019 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SANLORENZO Rita, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso principale rigetto del ricorso incidentale;

udito l’Avvocato PATRIZIA TOTARO per delega verbale Avvocato GIUSEPPE MARZIALE;

udito l’Avvocato FEDERICA PATERNO’ per delega verbale Avvocato RAFFAELE DE LUCA TAMAJO.

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Napoli, con sentenza del 21.11.2014, respingeva il gravame proposto da S.L.A.I. Cobas – Sindacato Lavoratori Autorganizzati Intercategoriale – avverso la decisione del Tribunale di Nola che aveva respinto il ricorso in opposizione avanzato dal Sindacato, confermando l’affermata carenza di legittimazione attiva della OO.SS., per non sussistere il requisito della nazionalità: era evidenziata la mancata prova dello svolgimento di una effettiva attività sindacale connotata dal carattere nazionale in quanto la documentazione in atti era riferita a fatti risalenti nel tempo e ad azioni a carattere meramente localistico.

2. La Corte disattendeva la decisione impugnata quanto al ritenuto difetto di legittimazione attiva del sindacato, ritenendo che il requisito della rappresentatività richiesto dall’art. 28 St. Lav. fosse meno impegnativo di quello della maggiore rappresentatività richiesto per la costituzione di r.s.a. e che nella specie lo SLAI Cobas aveva posto in essere attività di sicuro rilievo nazionale.

3. Quanto alla condotta della società Fiat Group Automobiles s.p.a., consistita nell’avere trasferito, dallo stabilimento di ***** al costituendo ***** (*****, sito a 20 Km di distanza dal primo), 316 lavoratori, di cui 77 iscritti allo Slai Cobas o selezionati tra gli invalidi, la Corte di Napoli ne escludeva la asserita natura discriminatoria e/o illecita, ritenendo che il dato numerico, per quanto suggestivo, non fosse attendibile, poichè difettava di ogni termine di comparazione in riferimento alla consistenza ed entità dell’intero organico dello stabilimento di ***** all’epoca del trasferimento, sia con riferimento ai lavoratori con patologie invalidanti, che con riferimento al numero delle altre sigle sindacali operanti, alla consistenza delle stesse e dei lavoratori trasferiti.

4. Riteneva che la prova dell’intento discriminatorio non poteva ridursi alla deduzione della mancata rilevazione di elementi idonei ad individuare il nesso di causalità tra le circostanze pretermesse e l’asserito intento di rappresaglia e che a livello di presunzioni le risultanze processuali acquisite difettavano dei requisiti della gravità, precisione e concordanza. In particolare, il solo dato numerico cedeva rispetto alle prospettate esigenze tecnico organizzative poste a base del trasferimento, che aveva riguardato tutte le sigle sindacali.

5. Secondo il giudice del gravame, le ragioni del disposto trasferimento collettivo, lungi dal costituire il frutto di un intento antisindacale, corrispondevano ad una esigenza comprovata di razionalizzazione del processo industriale e di ottimizzazione dell’organizzazione aziendale. Peraltro, la scelta era stata ispirata ad un criterio “produttivistico”, essendo stato richiesto ai singoli capi UTE quali lavoratori fossero da assegnare all’Area Logistica ed essendo stati questi indicati in base a skill professionali ed attitudinali, il che non consentiva al giudice di valutare il merito della scelta effettuata, residuando lo spazio solo per verificare l’effettività delle ragioni addotte a sostegno dell’esercizio dello ius variandi.

6. Nè poteva, secondo la Corte, rilevare che nel nuovo ***** i lavoratori per oltre sei anni non avessero prestato attività, essendo ciò dipeso da altri fattori ed essendosi verificata analoga situazione anche nello stabilimento di *****. Il trasferimento non aveva neanche impedito ai lavoratori trasferiti di svolgere attività sindacale, potendo gli stessi svolgere le prerogative sindacali attraverso la messa a disposizione di navette per consentirne lo spostamento e per la partecipazione alle assemblee, con godimento di tutti i diritti di elettorato attivo e passivo, senza che nessun discredito o all’immagine fosse derivato sotto ogni profilo all’O.S. ricorrente.

7. La Corte partenopea aggiungeva che tali circostanze, allegate dalla società, non erano state oggetto di specifica contestazione da parte del sindacato ricorrente, non potendo pertanto ritenersi provata la natura discriminatoria o illecita della condotta datoriale e non avendo nessun lavoratore impugnato il trasferimento, ulteriore circostanza, questa, a conforto della validità della ricostruzione effettuata.

8. Veniva, poi, escluso che fosse stato violato l’obbligo, previsto dall’art. 16, comma 4, del CCNL di categoria, di informazione e consultazione attraverso apposita procedura, essendo dall’istruttoria risultato che gli oneri relativi erano stati assolti, con conseguente esclusione della dedotta antisindacalità della condotta.

9. Di tale decisione domanda la cassazione lo SLAI COBAS, affidando l’impugnazione a due motivi, cui resiste, con controricorso, la FIAT Group Automobiles s.p.a., che propone ricorso incidentale, affidato ad unico motivo.

10. Nella adunanza camerale del 21.2.2019, sulle conclusioni scritte del P.M., la causa è stata rinviata per la trattazione in pubblica udienza.

11. Entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

12. Il ricorrente principale ha depositato atto di nomina di nuovo difensore, avv. Arcangelo Fele, in aggiunta all’avv. Giuseppe Marziale.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Va preliminarmente rilevata l’invalidità della nomina del nuovo difensore del Sindacato, avv. Arcangelo Fele, ai sensi dell’art. 83 c.p.c., nel testo vigente ratione temporis in relazione a giudizio instaurato prima della L. n. 69 del 2009. Ed invero, nel giudizio di cassazione, il nuovo testo dell’art. 83 c.p.c., secondo il quale la procura speciale può essere apposta a margine od in calce anche di atti diversi dal ricorso o dal controricorso, si applica esclusivamente ai giudizi instaurati in primo grado dopo la data di entrata in vigore della L. n. 69 del 2009, art. 45(4 luglio 2009), mentre per i procedimenti instaurati – come nella specie – anteriormente a tale data, se la procura non viene rilasciata a margine od in calce al ricorso e al controricorso, si deve provvedere al suo conferimento mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata, come previsto dall’art. 83, comma 2 (cfr., tra le altre, Cass. 9.2.2015 n. 2460 ed, in termini, Cass. 26.3.2010 n. 7241).

RICORSO PRINCIPALE:

1. con il primo motivo, il ricorrente denunzia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2103,1324,1343,1418 c.c., L. n. 300 del 1970, art. 15,D.Lgs. n. 216 del 2003, artt. 4 e 6 e D.Lgs. n. 215 del 2003, nonchè della L. n. 300 del 1970, art. 28 e lamenta omesso esame di fatto decisivo ai fini della decisione del giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 (riferito alla deduzione di esame apparente e/o perplesso e/o incomprensibile), rilevando di avere precisato nell’iniziale ricorso la consistenza numerica dei dipendenti dello stabilimento di ***** e di avere indicato che dei 21 componenti del direttivo provinciale di Napoli presenti in quello stabilimento 17 erano stati trasferiti al *****, circostanze di fatto che consentivano di verificare che l’80% degli iscritti al sindacato ricorrente aveva avuto tale diversa destinazione. Ritiene che pertanto i trasferimenti, per i connotati che esprimono, rientrino nelle tipologie di illiceità di cui agli articoli menzionati nel motivo di ricorso per cassazione essendo la condotta posta in essere dalla società connotata da plurioffensività e che per l’accertamento della fattispecie discriminatoria ritorsiva e/o illecita occorra valutare anche il motivo che ha determinato il comportamento datoriale. Richiama le norme dello Statuto e dei D.Lgs. n. 215 del 2003 e D.Lgs. n. 216 del 2003, riferite alle condotte datoriali discriminatorie e ritorsive, attuative delle direttiva CEE 2000/78 in materia di contrasto delle discriminazioni sul lavoro, modificate, da ultimo, con D.Lgs. n. 150 del 2011, non applicabile ratione temporis. Sostiene che gli elementi di carattere statistico, nella specie non contestati, siano stati minimizzati dalla Corte del merito, laddove ogni onere probatorio, in base al particolare regime dello stesso, a partire dalla entrata in vigore del D.Lgs. n. 215 del 2003, incombeva alla società, che non l’aveva assolto.

2. Con il secondo motivo, lo SLAI Cobas ascrive alla decisione impugnata violazione e/o falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 28, nonchè omesso esame nei termini indicati nel precedente, evidenziando che la sentenza ha affermato che nessun danno per l’organizzazione sindacale ricorrente si è verificato con i trasferimenti effettuati, perchè la società aveva allegato una serie di circostanze che denotavano la partecipazione degli iscritti alle prerogative sindacali, non contestate dal sindacato ricorrente. Assume che tali circostanze avrebbero un valore del tutto marginale e non significativo e che, diversamente da quanto argomentato dalla Corte d’appello, la esistenza della connotazione plurioffensiva dell’impugnata condotta di FCA Italy non poteva essere negata, avendo l’organizzazione sindacale ricorrente perso la gran parte dei suoi iscritti aderenti ed attivisti nello stabilimento di *****, con totale vulnerazione della possibilità stessa di esercitare l’attività sindacale in fabbrica e rilevante discredito e danno per l’immagine stessa del sindacato, nonchè in termini di pregiudizio nei riguardi della missione istituzionale e statutaria del sindacato in relazione all’operazione aziendale tesa ad estromettere gli invalidi ed i lavoratori con RCL.

RICORSO INCIDENTALE:

3. Con il ricorso incidentale, la società si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 28 St. Lav., contestando i principi applicati in ordine alla rappresentatività della sigla sindacale ai fini della legittimazione attiva all’azione ai sensi dell’art. 28.

4. Deve esaminarsi il ricorso incidentale per evidenti ragioni di priorità logico giuridica.

5. Va esclusa la fondatezza dei rilievi formulati dalla società al riguardo, alla luce di consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità affermativo della legittimazione della Slai Cobas (cfr., tra le altre, con specifico riferimento a SLAI COBAS ed alla legittimazione ad agire ai sensi dell’art. 28 St. Lav.: Cass. 2.8.2017 n. 19272, Cass. 20.4.2012 n. 6206, Cass. 17.2.2012 n. 2314, Cass. 16787/11, Cass. 16383/06).

6. E’ stato precisato (cfr. Cass. n. 5209/10 cit.; Cass. n. 13240/09), che non devono confondersi i requisiti di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 19, per la costituzione di rappresentanze sindacali, titolari dei diritti di cui al titolo 3, con la legittimazione prevista ai fini dell’art. 28 della stessa legge. Mentre l’art. 19 richiede la sottoscrizione di contratti collettivi nazionali (o anche provinciali o aziendali, purchè applicati in azienda), oppure, a seguito dell’intervento additivo della Corte Costituzionale con sentenza n. 231/13, la partecipazione del sindacato alla negoziazione relativa agli stessi contratti, quali rappresentanti del lavoratori, l’art. 28 richiede, invece, solo che l’associazione sia nazionale.

6.1. Anche il requisito della nazionalità è stato oggetto di numerose pronunce di questa Corte che, pur statuendo che esso non può desumersi da dati meramente formali e da una dimensione statica, puramente organizzativa e strutturale, dell’associazione, essendo necessaria anche un’azione diffusa a livello nazionale, nondimeno hanno puntualizzato che non necessariamente essa deve coincidere con la stipula di contratti collettivi di livello nazionale.

6.2. Ciò che rileva è la diffusione del sindacato sul territorio nazionale, a tal fine essendo necessario e sufficiente lo svolgimento di un’effettiva azione sindacale non su tutto, ma su gran parte del territorio nazionale, senza che in proposito sia indispensabile che l’associazione faccia parte di una confederazione, nè che sia maggiormente rappresentativa (così Cass. S.U. 21.12.2005 n. 28269).

6.3. Le S.U. di questa Corte hanno ribadito che, in presenza di tale requisito, devono intendersi legittimate anche le associazioni sindacali intercategoriali per le quali, peraltro, i limiti minimi di presenza sul territorio nazionale devono ritenersi più elevati di quelli di una associazione di categoria.

6.4. La Corte partenopea ha fatto corretta applicazione dei principi sopra richiamati in quanto ha ritenuto sussistente il requisito della “nazionalità” del sindacato istante sulla scorta non del dato della stipula di contratti collettivi a livello nazionale, valorizzato dalla società, ma di una serie di elementi, quali la costituzione di comitati provinciali del Sindacato Cobas in 57 province e 13 regioni, sedi delle più rilevanti realtà di fabbrica, significativa per riguardare circa la metà del territorio nazionale, e la diffusione non a carattere meramente locale, lo svolgimento di attività di rilievo nazionale come la presentazione del referendum popolare sulla L. n. 300 del 1970, art. 19, in linea con gli scopi statutari dell’associazione, la richiesta di ripristino degli automatismi della contingenza ed ulteriori iniziative afferenti a problematiche di politica sindacale rilevanti sotto l’aspetto contenutistico del requisito della “nazionalità”.

7. Passando all’esame del ricorso principale, va precisato che il procedimento ex art. 28 S.L. è riservato ai casi in cui venga in questione la tutela dell’interesse collettivo del sindacato al libero esercizio delle sue prerogative, interesse che è distinto ed autonomo rispetto a quello dei singoli lavoratori. Il D.Lgs. n. 216 del 2003, art. 5, comma 2, prevede l’azione delle organizzazioni sindacali, delle associazioni e delle organizzazioni rappresentative del diritto o dell’interesse leso qualora si intenda far valere una discriminazione collettiva a danno di un gruppo di lavoratori identificati dall’appartenenza sindacale e, dunque, non individuati nominativamente in modo diretto e immediato quali persone lese dalla discriminazione (cfr. Cass. 20.7. 2018 n. 19443). Nonostante i punti di contatto, entrambe collettive ed entrambe poste a tutela di un interesse collettivo, le due azioni processuali sono diverse e la scelta della FIOM di fare rientrare l’appartenenza sindacale nel motivo delle convinzioni personali ha avuto l’effetto di rendere in parte fungibili le due azioni.

8. Nella specie il profilo dedotto, che asseritamente incide in termini negativi sull’interesse del sindacato al libero esercizio delle sue prerogative è quello della discriminatorietà della condotta, consistita nel trasferimento al ***** di un numero percentualmente elevato di lavoratori dello stabilimento di ***** iscritti al sindacato Sali Cobas.

9. Va premesso che, la nozione di discriminazione sia diretta che indiretta è stabilita dal D.Lgs. n. 216 del 2003, art. 2, che definisce la prima come riferita alle ipotesi in cui” per religione, per convinzioni personali, per handicap, per età o per orientamento sessuale, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga” e la seconda con riferimento ai casi in cui “una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri possono mettere le persone che professano una determinata religione o ideologia di altra natura, le persone portatrici di handicap, le persone di una particolare età o di un orientamento sessuale in una situazione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone”.

9.1. Con riguardo alla possibilità di includere nell’espressione “convinzioni personali” di cui al D.Lgs. n. 216 del 2003, art. 1, secondo lo spirito della direttiva 2000/78, di cui il decreto legislativo costituisce attuazione, (in particolare il D.Lgs. n. 216 del 2003, art. 4, prevedente il principio di parità di trattamento senza distinzione di religione, di convinzioni personali, di handicap, di età e di orientamento sessuale si applica a tutte le persone sia nel settore pubblico che privato ed è suscettibile di tutela giurisdizionale secondo le forme previste dall’art. 4, con specifico riferimento tra l’atro, alla lett. a) all’accesso all’occupazione e al lavoro, sia autonomo che dipendente, compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione) tale Direttiva stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, individuando il campo di applicazione del provvedimento, le azioni e le misure specifiche dirette ad evitare le discriminazioni sul luogo di lavoro.

9.2. Essa trova fondamento nell’art. 13 del trattato di Amsterdam che modifica il Trattato sull’Unione Europea, i trattati che istituiscono le Comunità Europee e alcuni atti connessi che, nella versione pubblicata nella Gazzetta ufficiale n. C 340 del 10 novembre 1997 testualmente recita “Fatte salve le altre disposizioni del presente trattato e, nell’ambito delle competenze da esso conferite alla Comunità, il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento Europeo, può prendere i provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l’origine etnica, la religione o le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali. ”

La contiguità dei due termini, religione e convinzioni personali, separati dalle altre definizioni da una virgola, pone in rilievo l’affinità dei due concetti, senza tuttavia confonderli.

9.3. La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (c.d. Carta di Nizza) all’art. 21 ribadisce il divieto di qualsiasi forma di discriminazione.

La versione ufficiale dell’art. 21 testualmente recita:

“Non discriminazione.

1. E’ vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali”.

L’elenco dei possibili motivi di discriminazione contenuti nell’art. 21, tra cui le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, non è esauriente, ma costituisce solo un tentativo di esemplificazione espresso dalla formula ” in particolare”.

9.4. Accedendosi ad una interpretazione delle norme coerente con la ratio della norma comunitaria letta alla luce dei principi fondamentali del Trattato, nel caso specifico può senz’altro ritenersi che la direttiva 2000/78/CE, tutelando le convinzioni personali avverso le discriminazioni, abbia dato ingresso nell’ordinamento comunitario al formale riconoscimento (seppure nel solo ambito della regolazione dei rapporti di lavoro) della libertà ideologica il cui ampio contenuto materiale può essere stabilito anche facendo riferimento all’art. 6 del TUE e, quindi, alla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo. Infatti, se il legislatore comunitario avesse voluto comprendere nelle convinzioni personali solo quelle assimilabili al carattere religioso, non avrebbe avuto alcun bisogno di differenziare le ipotesi di discriminazione per motivi religiosi da quelle per convinzioni per motivi diversi.

Il contenuto dell’espressione “convinzioni personali” richiamato dal D.Lgs. n. 216 del 2003, art. 4, non può perciò che essere interpretato nel contesto del sistema normativo speciale in cui è inserito, restando del tutto irrilevante che in altri testi normativi l’espressione “convinzioni personali” possa essere utilizzata come alternativa al concetto di opinioni politiche o sindacali. Sicuramente l’affiliazione sindacale rappresenta la professione pragmatica di una ideologia di natura diversa da quella religiosa, connotata da specifici motivi di appartenenza ad un organismo socialmente e politicamente qualificato a rappresentare opinioni, idee, credenze suscettibili di tutela in quanto oggetto di possibili atti discriminatori vietati.

9.5. Nella giurisprudenza di questa Corte non si rinvengono precedenti specifici, tuttavia in alcune pronunce di legittimità, sia pure in fattispecie aventi diverso oggetto, incidenter tantum, l’espressione convinzioni personali è stata qualificata come professione di un’ideologia di altra natura rispetto a quella religiosa (in tal senso Cass. 10179/04 e, da ultimo, Cass. 3821/2011, che definisce la discriminazione per convinzioni personali come quella fondata su ragioni di appartenenza ad un determinato credo ideologico).

9.6. Pertanto, nell’ambito della categoria generale delle convinzioni personali, caratterizzata dall’eterogeneità delle ipotesi di discriminazione ideologica estesa alla sfera dei rapporti sociali, può essere ricompresa, diversamente da quanto sostiene la società, anche la discriminazione per motivi sindacali, con il conseguente divieto di atti o comportamenti idonei a realizzare una diversità di trattamento o un pregiudizio in ragione dell’affiliazione o della partecipazione del lavoratore ad attività sindacali.

10. Passando ad esaminare il nucleo delle doglianze espresse nel primo motivo del ricorso principale, che va individuato nei profili probatori e specificamente attiene al piano della ripartizione dei relativi oneri, va rilevato che il giudice del gravame ha escluso i caratteri di gravità precisione e concordanza degli indizi ritenendo applicabile un procedimento logico-conoscitivo di tipo presuntivo o indiziario ed attribuendo scarsa significatività al dato numerico offerto. A sostegno del proprio ragionamento ha richiamato principi desunti da pronunce della Corte di legittimità in tema di licenziamenti discriminatori o illeciti e, in linea con le affermazioni nelle stesse contenute, ha affermato che “la prova dell’intento discriminatorio cede a carico di colui che lo denunzia”, pur precisando che l’onere può essere assolto attraverso il ricorso ad elementi presuntivi. Ha ritenuto il dato numerico di per sè generico e non probante in quanto non contestualizzato in termini di raffronto con dati comparativi riferiti alla consistenza ed entità dell’intero organico dello stabilimento, alla percentuale di trasferimenti di lavoratori appartenenti ad altre sigle sindacali, e ne ha sostenuto la cedevolezza rispetto alle circostanze allegate dalla società, che aveva fatto riferimento a decisioni organizzative non sindacabili, alla scelta dei lavoratori da trasferire da parte dei capi dell’UTE in base a validi elementi selettivi ispirati a criteri produttivistici.

10.1. Nell’ambito del giudizio antidiscriminatorio l’attore ha soltanto l’onere di fornire elementi di fatto, anche di carattere statistico, idonei a far presumere l’esistenza di una discriminazione, ma non è affatto previsto che i dati statistici debbano assurgere ad autonoma fonte di prova; conseguentemente, qualora il dato statistico fornito dal ricorrente indichi una condizione di svantaggio per un gruppo di lavoratori, è onere del datore di lavoro dimostrare che le scelte sono state invece effettuate secondo criteri oggettivi e non discriminatori (cfr. art. 8 Direttiva 2000/78/CE e Par 15 dei “considerando”).

10.2. Quanto all’agevolazione probatoria in favore del soggetto che lamenta la discriminazione è stato evidenziato (cfr. Cass. 27.9.2018 n. 23338, Cass. 12.10.2018 n. 25543) che le direttive in materia (n. 2000/78, così come le nn. 2006/54 e 2000/43), come interpretate della Corte di Giustizia, ed i decreti legislativi di recepimento impongono l’introduzione di un meccanismo di agevolazione probatoria o alleggerimento del carico probatorio gravante sull’attore “prevedendo che questi alleghi e dimostri circostanze di fatto dalle quali possa desumersi per inferenza che la discriminazione abbia avuto luogo, per far scattare l’onere per il datore di lavoro di dimostrare l’insussistenza della discriminazione”, (cfr. Cass. n. 14206 del 2013, in materia di discriminazione di genere), con l’ulteriore precisazione che “nulla… autorizza a ritenere il suddetto regime probatorio applicabile solo all’azione speciale e, del resto, una interpretazione in senso così limitativo confliggerebbe con i principi posti dal legislatore comunitario”. L’agevolazione probatoria in tanto può realizzarsi in quanto l’inversione dell’onere venga a situarsi in un punto del ragionamento presuntivo anteriore rispetto alla sua completa realizzazione secondo i canoni di cui all’art. 2729 c.c., finendosi altrimenti per porre a carico di chi agisce l’onere di una prova piena del fatto discriminatorio, ancorchè raggiunta per via presuntiva. Il lavoratore deve provare il fattore di rischio, il trattamento che assume come meno favorevole rispetto a quello riservato a soggetti in condizioni analoghe e non portatori del fattore di rischio, deducendo una correlazione significativa fra questi elementi che rende plausibile la discriminazione; il datore di lavoro deve dedurre e provare circostanze inequivoche, idonee a escludere, per precisione, gravità e concordanza di significato, la natura discriminatoria del recesso, in quanto dimostrative di una scelta che sarebbe stata operata con i medesimi parametri nei confronti di qualsiasi lavoratore privo del fattore di rischio, che si fosse trovato nella stessa posizione, (cfr. Cass. n. 14206/13 coerente con le indicazioni espresse dalla Corte di Giustizia 17.7.08, C303/06 Colemann, 10.7.08 C-54/07 Feryn, 16.7.15 C- 83/14 Chez).

10.3. Quali che siano i termini in cui si declina la prova semipiena di cui è onerato il ricorrente, se prova di una porzione di fattispecie, o prova di probabilità “attenuata” del nesso causale, ciò che è significativo è che al raggiungimento della stessa si sposta sul convenuto (resistente) il rischio della mancata controprova dell’insussistenza del nesso di causalità tra la disparità ed il fattore (in aggiunta al rischio delle mancata prova della sussistenza di fatti impeditivi, come da regime ordinario). Se quest’ultimo onere non è assolto, la regola di giudizio applicabile determinerà l’accoglimento del ricorso, benchè gli elementi di fatto dedotti dal ricorrente lascino un margine di incertezza circa la sussistenza di tutti i fatti costitutivi della fattispecie discriminatoria. Ciò consente di ritenere, quindi, che, nel regime speciale applicabile nei giudizi antidiscriminatori, si configuri un’inversione, seppure parziale, dell’onere probatorio. Si ritiene che si configuri una “presunzione” di discriminazione indiretta qualora sia accertato che l’applicazione del criterio astrattamente neutro pregiudichi in percentuale molto più elevata i soggetti portatori in fattore di rischio rispetto ai non portatori. Solo laddove questo fatto sia accertato, spetta al datore di lavoro dimostrare il contrario (cfr. CGUE C226-98 Jorgensen, in materia di discriminazione per sesso). Laddove si afferma che il datore debba provare “il contrario”, ci si riferisce sia alla prova contraria della sussistenza dei fatti costitutivi (ad esempio, la disparità di trattamento non è collegata al criterio o l’impatto pregiudizievole del criterio è smentito sulla base di altri dati statistici, da cui risulti “meno che particolare”), sia alla prova dei fatti impeditivi, di cui il datore è gravato in base alle regole generali. La prova della sussistenza di cause di giustificazione non può qualificarsi come prova contraria dell’insussistenza di un fatto costitutivo della fattispecie: non smentisce l’impatto pregiudizievole del criterio, lo scrimina.

10.4. Un’automatica applicazione del meccanismo di cui all’art. 2729 c.c., non è, per quanto detto, conforme alla normativa Europea e la lettura della norma di cui al D.Lgs. n. 216 del 2003, art. 4 (a cui, peraltro, ha fatto seguito l’introduzione del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 28, preceduta dall’apertura di una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia da parte della Commissione Europea per mancata osservanza dei criteri dettati in materia dalla direttiva) deve essere quella che non si tratta di una vera e propria inversione dell’onere probatorio, bensì di un’agevolazione in favore del soggetto che lamenti la discriminazione e che potrebbe trovarsi in una situazione di difficoltà a dimostrare l’esistenza degli atti discriminatori, soprattutto nei casi di coinvolgimento di una pluralità di lavoratori.

10.5. Parzialmente diverso (rispetto al D.Lgs. n. 216 del 2003, art. 4, comma 4) è il tenore del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 28, comma 4 (pacificamente non applicabile nella specie ratione temporis), secondo cui “Quando il ricorrente fornisce elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere statistico, dai quali si può presumere l’esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori, spetta al convenuto l’onere di provare l’insussistenza della discriminazione. I dati di carattere statistico possono essere relativi anche alle assunzioni, ai regimi contributivi, all’assegnazione delle mansioni e qualifiche, ai trasferimenti, alla professione in carriera e ai licenziamenti dell’azienda interessata”. Tuttavia, dovendo escludersi che le due norme costituiscano un inutile doppione della regola generale prevista dall’art. 2729 c.c., comma 2, il loro confronto è tale da indurre a ritenere la mancanza del requisito di “gravità”, sul piano dell’assolvimento dell’onere della prova che richiede per il ricorrente il conseguimento di un grado di certezza inferiore rispetto a quello consueto.

10.6. Sulla base di tali premesse deve ritenersi erronea la sentenza impugnata laddove ha addossato l’onere probatorio definito attraverso il richiamo integrale ai canoni dell’art. 2729 c.c., al sindacato, senza tener conto del descritto criterio di agevolazione che si esprime in una diversa ripartizione degli oneri di allegazione e soprattutto della relativa prova.

10.7. In particolare, deve dissentirsi dalle affermazioni della Corte partenopea in quanto, rispetto al dato, rilevante ed incontrastato, secondo cui i trasferimenti hanno interessato il 6% degli addetti allo stabilimento, per quel che riguarda gli iscritti al sindacato ricorrente ne sono stati fatti oggetto in misura dell’80%. E rispetto a tale inconfutabile dato non può ritenersi correttamente valutata la l’assenza di discriminatorietà, la cui dimostrazione è stata considerata fornita con riferimento al criterio della valutazione dei criteri di scelta da parte dei capi dell’UTE con richiamo ad un “criterio produttivistico”, terminologicamente privo di precisa valenza e significato ai fini considerati, di fronte al dato statistico fornito ex adverso. Nè risulta appagante e dirimente la generica valutazione compiuta con riguardo alla circostanza, rilevante sul piano del controllo di effettività delle ragioni tecniche organizzative e produttive richiamate a fondamento della scelta imprenditoriale, della inattività dei lavoratori trasferiti presso il *****.

10.8. Va poi, rilevato, in adesione a quanto già osservato da questa Corte, che la definizione della condotta antisindacale di cui all’art. 28 dello Statuto dei lavoratori non è analitica ma teleologica, poichè individua il comportamento illegittimo non in base a caratteristiche strutturali, bensì alla sua idoneità a ledere i “beni” protetti. Ne consegue che il comportamento che leda oggettivamente gli interessi collettivi di cui sono portatrici le organizzazioni sindacali integra gli estremi della condotta antisindacale di cui all’art. 28 dello Statuto dei lavoratori, senza che sia necessario – nè, comunque, sufficiente – uno specifico intento lesivo da parte del datore di lavoro, poichè l’esigenza di una tutela della libertà sindacale può sorgere anche in relazione a un’errata valutazione del datore di lavoro circa la portata della sua condotta, così come l’intento lesivo del datore di lavoro non può di per sè far considerare antisindacale una condotta che non abbia rilievo obbiettivamente tale da limitare la libertà sindacale (cfr. Cass. 17.6.2014 n. 13726).

11. Quanto al secondo motivo del ricorso principale, è evidente il suo assorbimento per effetto dell’accoglimento del primo, che impone, a seguito della cassazione della decisione in parte qua, la revisione dell’esame da parte del giudice del rinvio designato in motivazione, sulla base di corretta applicazione del regime probatorio.

12. Tale giudice provvederà anche alla determinazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

13. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo, rigetta il ricorso incidentale, cassa la decisione impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma dell’art. 13, comma 1 bis, del citato D.P.R..

Così deciso in Roma, il 23 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 2 gennaio 2020

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