LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SESTINI Danilo – Presidente –
Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 19005/2018 proposto da:
M.T., elettivamente domiciliato in ROMA, V. MARIO SAVINI 7, presso lo studio dell’avvocato VALENTINA ROMAGNA, rappresentato e difeso dall’avvocato LORENZO ZANELLA;
– ricorrente –
contro
ITALFONDIARIO SPA, in persona del suo procuratore speciale, elettivamente domiciliata in ROMA, V. LUIGI LILIO 95, presso lo studio dell’avvocato TEODORO CARSILLO, rappresentata e difesa dall’avvocato ROBERTO M. PLATI;
– controricorrente –
contro
G.G.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 1002/2018 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 13/04/2018;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 30/09/2019 dal Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CARDINO Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato LORENZO ZANELLA;
udito l’Avvocato ROBERTO MARIA PLATI.
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza resa in data 13/4/2018, la Corte d’appello di Bologna ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado ha rigettato la domanda proposta da M.T., in contraddittorio con G.G. e con la Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza s.p.a., per l’accertamento della falsità del documento consistente in un modulo prestampato di fideiussione sottoscritto dal M. (per garanzia della banca convenuta di cui il G. era dipendente) e, comunque, per l’accertamento dell’inesistenza o della nullità della fideiussione dedotta in giudizio, oltre al risarcimento dei danni per l’abusivo riempimento del foglio in bianco e per l’illegittima segnalazione alla c.d. Centrale Rischi.
Con la medesima decisione, il giudice d’appello ha confermato il rigetto della domanda proposta in via subordinata dal M. per l’accertamento dell’avvenuta liberazione del fideiussore ex art. 1956 c.c..
2. A fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha confermato la decisione del primo giudice nella parte in cui aveva evidenziato come il M. non avesse ritualmente provveduto alla proposizione della querela di falso con riguardo al documento di fideiussione prodotto in giudizio, essendosi limitato a una prospettazione meramente generica dei fatti posta a suo fondamento.
Sotto altro profilo, la corte d’appello ha ribadito come il M. non avesse adeguatamente disconosciuto, tanto la sottoscrizione apposta alla ricevuta del documento di fideiussione debitamente compilato, quanto la conformità della copia di detto documento con l’originale della fideiussione asseritamente incompleto, sottolineando (di là dalla confermata validità della fideiussione, pur se conclusa mediante modulo privo di sottoscrizione della banca garantita) la sostanziale inverosimiglianza della tesi sostenuto dal M. in ordine alla pretesa sottoscrizione, da parte dello stesso, di un modulo di fideiussione in bianco e in assenza di specifici accordi per il relativo completamento.
Quanto, infine, alla domanda di liberazione del garante ex art. 1956 c.c., la corte territoriale ha confermato la genericità della proposizione di detta domanda e, in ogni caso, l’assoluta mancanza di prove a suo fondamento.
3. Avverso la sentenza d’appello, M.T. propone ricorso per cassazione sulla base di otto motivi d’impugnazione.
4. L’Italfondiario s.p.a., in qualità di procuratore di Credite Agricole Cariparma s.p.a. (già Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza s.p.a.) resiste con controricorso.
5. Nessun altro intimato ha svolto difese in questa sede.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 1938 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente omesso di riconoscere l’inesistenza o la nullità della fideiussione oggetto di lite, pur avendo affermato che il corrispondente documento, al momento della sua sottoscrizione, fosse privo dell’indicazione dell’importo e del soggetto garantito.
2. il motivo è inammissibile.
3. Osserva il Collegio come il ricorrente abbia prospettato il vizio in esame senza cogliere in modo specifico la ratio individuata dal giudice a quo a sostegno della decisione assunta.
4. Sul punto, varrà richiamare il principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale, il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, siccome per denunciare un errore occorre identificarlo (e, quindi, fornirne la rappresentazione), l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito, considerare nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4 (Sez. 3, Sentenza n. 359 del 11/01/2005, Rv. 579564-01).
5. Nella specie, la corte territoriale, lungi dall’affermare che il documento sottoscritto dal M., al momento della sua sottoscrizione, fosse privo dell’indicazione dell’importo e del soggetto garantito, ha viceversa evidenziato l’ovvia e necessaria destinazione delle (eventuali) parti in bianco del documento di fideiussione ad essere integrate con l’indicazione del soggetto e dell’importo massimo garantito, al solo scopo di argomentare, unitamente alla considerazione delle altre circostanze specificate in motivazione, l’inverosimiglianza della deduzione del M. circa l’avvenuto riempimento del modulo, ad opera di controparte, in assenza di alcun patto.
6. Pertanto, avendo la corte territoriale espressamente argomentato l’assoluta inverosimiglianza della tesi per cui il M. avrebbe sottoscritto un modulo di fideiussione privo di specificazioni di contenuto (o, quanto meno, di un simile modulo absque pactis, ossia in assenza di alcun accordo di riempimento), la censura in esame, là dove non si confronta con le articolazione argomentative sul punto illustrate dal giudice a quo deve ritenersi inammissibile per le ragioni in precedenza indicate.
7. Con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 222 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4), per avere entrambi i giudici del merito erroneamente omesso di provvedere agli adempimenti previsti dal richiamato art. 222 c.p.c., allo scopo di procedere, se del caso, all’istruzione della querela di falso.
8. Il motivo è inammissibile.
9. Osserva il Collegio, come l’giudici del merito abbiano espressamente sottolineato l’inammissibilità della querela di falso proposta dal M., non avendo quest’ultimo provveduto ritualmente alla relativa proposizione, essendosi limitato a un’esposizione solo generica delle circostanze di fatto poste a suo fondamento.
10. Ciò posto, nella misura in cui le ragioni della mancata esecuzione degli adempimenti previsti dall’art. 222 c.p.c., al fine di procedere all’istruzione della querela di falso, risalgono a tali specifiche ragioni, la presente censura, là dove trascura del tutto di correlarsi alla motivazione impugnata, deve ritenersi priva dei necessari presupposti di ammissibilità.
11. Con il terzo motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 214 e 215 c.p.c., nonchè degli artt. 2702 e 2719 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4), per avere la corte territoriale erroneamente affermato che il M. non avesse mai correttamente disconosciuto la sottoscrizione apposta alla ricevuta del documento di fideiussione debitamente compilato, nè la conformità di quest’ultimo all’originale, in contrasto con le risultanze di causa e le stesse deduzioni dell’attore originario, il quale non aveva mai contestato di aver sottoscritto il documento di fideiussione, ma solo di averlo sottoscritto nell’interezza dei suoi contenuti, in tal modo disconoscendo palesemente la conformità della copia prodotta in giudizio con l’originale in bianco, e in contrasto con la circostanza consistente nell’avvenuta contestazione dell’incompletezza della sottoscrizione apposta a margine della ricevuta del documento di fideiussione con la conseguente dichiarazione di impossibilità di verificarne la riferibilità a sè.
12. Il motivo è inammissibile per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6.
13. Osserva al riguardo il Collegio come, sulla base del principio di necessaria e completa allegazione del ricorso per cassazione ex art. 366 c.p.c., n. 6 (valido oltre che per il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, anche per quelli previsti dai nn. 3 e 4 della stessa disposizione normativa), il ricorrente che denunzia la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, non può limitarsi a specificare soltanto la singola norma di cui, appunto, si denunzia la violazione, ma deve indicare gli elementi fattuali in concreto condizionanti gli ambiti di operatività di detta violazione (cfr. Sez. L, Sentenza n. 9076 del 19/04/2006, Rv. 588498).
14. Siffatto onere sussiste anche allorquando il ricorrente affermi che una data circostanza debba reputarsi comprovata dall’esame degli atti processuali, con la conseguenza che, in tale ipotesi, il ricorrente medesimo è tenuto ad allegare al ricorso gli atti del processo idonei ad attestare, in relazione al rivendicato diritto, la sussistenza delle circostanze affermate, non potendo limitarsi alla parziale e arbitraria riproduzione di singoli periodi estrapolati dagli atti processuali propri o della controparte.
15. E’ appena il caso di ricordare come tali principi abbiano ricevuto l’espresso avallo della giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte (cfr., per tutte, Sez. Un., Sentenza n. 16887 del 05/07/2013), le quali, dopo aver affermato che la prescrizione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, è finalizzata alla precisa delimitazione del thema decidendum, attraverso la preclusione per il giudice di legittimità di porre a fondamento della sua decisione risultanze diverse da quelle emergenti dagli atti e dai documenti specificamente indicati dal ricorrente, onde non può ritenersi sufficiente in proposito il mero richiamo di atti e documenti posti a fondamento del ricorso nella narrativa che precede la formulazione dei motivi (Sez. Un., Sentenza n. 23019 del 31/10/2007, Rv. 600075), hanno poi ulteriormente chiarito che il rispetto della citata disposizione del codice di rito esige che sia specificato in quale sede processuale nel corso delle fasi di merito il documento, pur eventualmente individuato in ricorso, risulti prodotto, dovendo poi esso essere anche allegato al ricorso a pena d’improcedibilità, in base alla previsione del successivo art. 369, comma 2, n. 4 (cfr. Sez. Un., Sentenza n. 28547 del 02/12/2008 (Rv. 605631); con l’ulteriore precisazione che, qualora il documento sia stato prodotto nelle fasi di merito e si trovi nei fascicolo di parte, l’onere della sua allegazione può esser assolto anche mediante la produzione di detto fascicolo, ma sempre che nel ricorso si specifichi la sede in cui il documento è rinvenibile (cfr. Sez. Un., Ordinanza n. 7161 del 25/03/2010, Rv. 612109, e, con particolare riguardo al tema dell’allegazione documentale, Sez. Un., Sentenza n. 22726 del 03/11/2011, Rv. 619317).
16. Nella violazione di tali principi deve ritenersi incorso il ricorrente con il motivo d’impugnazione in esame, atteso che lo stesso, nel dolersi che la corte d’appello avrebbe erroneamente affermato che il M. non avesse mai correttamente disconosciuto la sottoscrizione apposta alla ricevuta del documento di fideiussione debitamente compilato, nè la conformità di quest’ultimo all’originale, in contrasto con le risultanze di causa e le stesse deduzioni dell’attore originario, ha tuttavia omesso di fornire alcuna idonea e completa indicazione circa gli atti e i documenti (e il relativo contenuto) comprovanti l’avvenuta rituale proposizione dei ridetti disconoscimenti, non risultando contrastate le affermazioni di entrambi i giudici del merito là dove hanno espressamente sottolineato come le formule e le dichiarazioni rese dal M. in sede processuale non fossero valse a integrare gli estremi di un valido e rituale disconoscimento delle sottoscrizioni apposte alla ricevuta del documento di fideiussione (oltre che di quella apposta a quest’ultimo), nonchè di un valido e rituale disconoscimento della conformità del documento di fideiussione prodotto in giudizio all’originale (asseritamente in bianco).
17. Il mancato adeguato assolvimento, da parte del ricorrente, dei ridetti oneri di completa e puntuale allegazione vale a precludere, a questa Corte, la possibilità di apprezzare la concludenza delle censure formulate al fine di giudicare la fondatezza del motivo d’impugnazione proposto.
18. Con il quarto motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 1334 e 1333 c.c., nonchè dell’art. 117 Testo Unico bancario (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente affermato la validità del documento di fideiussione sottoscritto dalla sola parte garante, non tenendo conto della circostanza che la fideiussione in esame conteneva precisi obblighi anche in capo alla banca garantita, con la conseguente attestazione del carattere bilaterale degli impegni obbligatori assunti dalle parti e della nullità del patto consacrato in un documento sottoscritto solo dal garante.
19. Con il quinto motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per omesso esame di fatti decisivi controversi (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5), per avere la corte territoriale omesso la considerazione degli obblighi sussistenti anche in capo alla banca garantita, con la conseguente erronea mancata applicazione degli artt. 1325 e 1326 c.c. e dell’art. 117Testo Unico bancario ai fini della verifica della validità del contratto oggetto di esame.
20. Entrambi i motivi – congiuntamente esaminabili per ragioni di connessione – sono inammissibili per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6.
21. Richiamate le argomentazioni in iure illustrate con riguardo alla decisione emessa in relazione al terzo motivo d’impugnazione, osserva il Collegio come il ricorrente sia incorso nella violazione dei principi ivi enunciati anche con i motivi in esame, atteso che lo stesso, nel dolersi che la corte d’appello avrebbe erroneamente affermato la validità del documento di fideiussione sottoscritto dalla sola parte garante, non tenendo conto della circostanza che la fideiussione in esame conteneva precisi obblighi anche in capo alla banca garantita (obblighi, nella specie, non considerati, con la conseguente erronea mancata applicazione degli artt. 1325 e 1326 c.c. e dell’art. 117Testo Unico bancario ai fini della verifica della validità del contratto oggetto di esame), ha tuttavia omesso di individuare in modo analitico la natura e l’entità specifiche delle obbligazioni contratte dalla banca nel caso di specie, limitandosi a dedurre generici riferimenti a pretesi obblighi della banca di tutelare il garante o richiedenti la sottoscrizione anche dell’istituto di credito, senza inoltre precisare alcunchè in ordine all’idoneità di tali elementi negoziali a escludere il carattere unilaterale del contratto tipico di fideiussione in esame in questa sede, con ciò precludendo a questa Corte la possibilità di apprezzare la concludenza delle censure formulate al fine di giudicare la fondatezza dei motivi d’impugnazione proposti.
22. Con il sesto motivo, il ricorrente si duole della nullità della sentenza impugnata (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4), per avere la corte territoriale omesso totalmente di giustificare la mancata ammissione delle prove testimoniali invocate dall’odierno ricorrente.
23. Con il settimo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per omesso esame di fatti decisivi controversi (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5), per avere la corte territoriale omesso la considerazione degli elementi fattuali dedotti nei capitoli di prova formulati e non ammessi.
24. Con l’ottavo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per omesso esame di fatti decisivi controversi (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5), per avere la corte territoriale trascurato l’esame della dichiarazione scritta resa da Mo.Si. prodotta agli atti del giudizio.
25. Tutti e tre i motivi – congiuntamente esaminabili per ragioni di connessione – sono infondati.
26. Osserva il Collegio come, a riguardo, sia appena il caso di richiamare il principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale, qualora con il ricorso per cassazione siano denunciati la mancata ammissione di mezzi istruttori e vizi della sentenza derivanti dal rifiuto del giudice di merito di dare ingresso a mezzi istruttori ritualmente richiesti (rifiuto che il giudice di merito non è tenuto a formalizzare in modo espresso e motivato, qualora l’inconcludenza dei mezzi istruttori invocati dalle parti possa implicitamente dedursi dal complesso della motivazione adottata: cfr. Sez. L, Sentenza n. 5742 del 25/05/1995, Rv. 492429-01), il ricorrente ha l’onere di dimostrare che con l’assunzione delle prove richieste la decisione sarebbe stata diversa, in base a un giudizio di certezza e non di mera probabilità, così da consentire al giudice di legittimità un controllo sulla decisività delle prove (cfr. Sez. 6-1, Ordinanza n. 23194 dei 04/10/2017, Rv. 645753-01).
27. Ciò posto, le censure qui in esame devono ritenersi radicalmente destituite di fondamento, avendo il ricorrente del tutto trascurato di articolare e argomentare adeguatamente la pretesa decisività delle prove testimoniali e documentali non ammesse dal giudice a quo (ossia la circostanza per cui, in caso di ammissione delle prove respinte, la decisione sarebbe stata sicuramente diversa, in base a un giudizio di certezza e non di mera probabilità), sì da impedire a questa Corte ogni possibilità di valutazione in ordine alla prospettabile concludenza delle doglianze così formulate.
28. Sulla base di tali premesse, rilevata la complessiva infondatezza dei motivi esaminati, dev’essere pronunciato il rigetto del ricorso, con la conseguente condanna dei ricorrente al rimborso, in favore della società controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità secondo la liquidazione di cui al dispositivo, oltre all’attestazione della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 6.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 30 settembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 8 gennaio 2020
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