Corte di Cassazione, sez. II Civile, Sentenza n.138 del 08/01/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sui ricorsi riuniti iscritti ai nn. 1297/2015 e 28877/2015 R.G.

proposti da:

Z.M., Z.G. e Zi.An., rappresentate e difese dagli Avv.ti Eugenio Rossignoli, Rinaldo Sartori, Dino Sartori e Stefania Zarba Meli per procura a margine del ricorso, elettivamente domiciliate in Roma presso lo studio di quest’ultima alla via Ronca Sinibalda n. 10;

– ricorrenti (1297/15) –

Zi.Lu.Fl., V.P., Zi.Ro., Zi.El., Zi.Fr., Z.M., Z.G. e Zi.An., rappresentati e difesi dagli Avv.ti Riccardo Ruffo, Eugenio Rossignoli, Dino Sartori e Andrea Manzi per procura a margine del ricorso, elettivamente domiciliati in Roma presso lo studio di quest’ultimo alla via F. Confalonieri n. 5;

– ricorrenti (28877/15) –

contro

F.A., M.M.V., M.A.P., quali eredi di M.E., nonchè

M.L., M.S. e Ma.Li., quali eredi di B.V.E., rappresentate e difese dagli Avv.ti Mauro Caselotti e Franco Pascucci per procure in calce ai controricorsi, elettivamente domiciliate in Roma presso lo studio di quest’ultimo alla via Dardanelli n. 15;

– controricorrenti (1297/15) –

– controricorrenti (28877/15) –

Congregazione delle Figlie di Gesù, quale erede di suor Ma.Li., rappresentata e difesa dagli Avv.ti Carlo Renzo Dioguardi e Stefania Zarba Meli per procura a margine del controricorso, elettivamente domiciliata in Roma presso lo studio di quest’ultima alla via Ronca Sinibalda n. 10;

– controricorrente e ricorrente incidentale (28877/15) –

e contro

Congregazione delle Figlie di Gesù, Zi.Lu.Fl., V.P., Zi.Ro., Zi.El. e Zi.Fr.;

– intimati (1297/15) –

avverso le sentenze della Corte d’appello di Venezia depositate il 21 novembre 2013 col n. 2822 e il 19 maggio 2015 col n. 1336;

Udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Enrico Carbone nell’udienza pubblica dell’8 ottobre 2019;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Pepe Alessandro, che ha concluso nel procedimento n. 1297/15 R.G. per il rigetto del ricorso e nel procedimento n. 28877/15 R.G. per l’accoglimento del secondo motivo del ricorso principale e dell’incidentale;

uditi l’Avv. Dario Lunder, per delega dell’Avv. Eugenio Rossignoli, l’Avv. Carlo Albini, per delega dell’Avv. Andrea Manzi, nonchè

l’Avv. Stefania Zarba Meli.

FATTI DI CAUSA

La controversia attiene allo scioglimento della comunione ereditaria sugli immobili di ***** caduti in successione in morte di M.G. e M.V., tra i quali immobili, in particolare, il cespite denominato “fondo *****”, oggetto della domanda di usucapione di un gruppo di condividenti.

La Corte d’appello di Venezia, con sentenza n. 2822/2013, ha confermato la sentenza non definitiva del Tribunale di Verona, portante il rigetto della domanda di usucapione; con sentenza n. 1336/2015, ha confermato la sentenza definitiva del medesimo Tribunale, portante la divisione per assegnazione di lotti e conguagli.

Z.M., Z.G. e Zi.An. hanno impugnato la sentenza n. 2822/2013, con ricorso per cassazione articolato in cinque motivi, iscritto al n. 1297/2015 R.G.; le stesse, insieme a Zi.Lu.Fl., V.P., Zi.Ro., Zi.El. e Zi.Fr., hanno impugnato la sentenza n. 1336/2015, con ricorso per cassazione articolato in cinque motivi, iscritto al n. 28877/2015 R.G., illustrato con memoria.

La sentenza n. 1336/2015 è stata impugnata anche dalla Congregazione delle Figlie di Gesù, quale erede di suor Ma.Li., con ricorso incidentale su tre motivi e seguente memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Trattandosi dell’impugnazione di una sentenza d’appello su sentenza non definitiva e dell’impugnazione della conseguente sentenza d’appello su sentenza definitiva, i ricorsi per cassazione vanno riuniti, in quanto proposti contro sentenze che si integrano reciprocamente nella definizione sostanziale di un unico giudizio, caso assimilabile a quello disciplinato dall’art. 335 c.p.c., che prescrive la riunione delle impugnazioni plurime contro la medesima sentenza (Cass. 10 luglio 2001, n. 9377; Cass. 10 aprile 2017, n. 9192; Cass. 28 giugno 2019, n. 17603).

2. Il primo motivo del ricorso iscritto al n. 1297/2015 R.G. denuncia omissione di pronuncia “sul motivo di gravame concernente la totale inattendibilità del teste C.D.”.

2.1. Il motivo è infondato.

Il giudice d’appello ha utilizzato la testimonianza di C.D., insieme a molte altre, per formare ed esternare il suo giudizio negativo sul possesso ad usucapionem, cosicchè non vi è stata un’omissione di pronuncia sull’eccezione di inattendibilità del teste, bensì una pronuncia implicita di rigetto (Cass. 8 marzo 2007, n. 5351; Cass. 6 dicembre 2017, n. 29191; Cass. 13 agosto 2018, n. 20718; Cass. 4 giugno 2019, n. 15255).

Ove poi, sotto l’apparenza della denuncia per error in procedendo, le ricorrenti mirassero ad ottenere una nuova valutazione sull’attendibilità del teste C., dovrebbe rammentarsi che la valutazione della prova testimoniale, come in genere la selezione del materiale istruttorio, involge apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, nemmeno tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare ogni singola deduzione, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. 24 maggio 2006, n. 12362; Cass. 21 luglio 2010, n. 17097; Cass. 2 agosto 2016, n. 16056).

3. Il secondo motivo del ricorso iscritto al n. 1297/2015 R.G. denuncia omissione di pronuncia “sul motivo di gravame concernente la provata insussistenza di accordi di compensazione relativi ai frutti civili”.

3.1. Il motivo è infondato.

Le ricorrenti si dolgono che il giudice d’appello non abbia esaminato e censurato la tesi del primo giudice secondo la quale la percezione dei canoni di affitto del “fondo *****” non sarebbe stata indicativa di un possesso ad usucapionem e avrebbe potuto spiegarsi in un’ottica di compensazione nel godimento dei vari cespiti.

In realtà, il giudice d’appello ha considerato che M.M. era solita riscuotere i canoni di affitto del “fondo *****”, e tuttavia, sulla scorta di molte altre testimonianze, ha ritenuto che il fatto non fosse decisivo, in un quadro di persistente compossesso.

Vale quanto già notato circa la pronuncia implicita sul motivo di gravame e l’impossibilità di rivalutare le prove in sede di legittimità (supra, p. 2.1).

4. Il terzo motivo del ricorso iscritto al n. 1297/2015 R.G. denuncia omesso esame di fatto decisivo, a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per aver il giudice d’appello omesso di considerare che i condividenti E. e Ma.Gi. non avevano composseduto l’intero “fondo *****” e ne avevano invece posseduto “due ben determinate e limitate porzioni”.

4.1. Il motivo è infondato.

L’omesso esame ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 riguarda unicamente il fatto storico “decisivo”, e il vizio non sussiste quando tale fatto sia stato comunque preso in esame dal giudice di merito, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 29 ottobre 2018, n. 27415).

Il giudice d’appello ha esaminato il fatto storico che M.E. piantò un ciliegeto nel “fondo *****” e che Gi., fratello di E., ne utilizzava la cava; da tale fatto storico, e da molti altri, il giudice d’appello, sull’evidente premessa che il “fondo *****” fosse oggetto di un possesso non frazionato, ha tratto la conclusione negativa circa la sussistenza del possesso ad usucapionem.

Il fatto storico in esame non è decisivo nel senso del possesso ad usucapionem, essendo ben conciliabile con la tesi di un perdurante e non frazionato compossesso; in ogni caso, il giudice di merito lo ha esaminato, misurandone la rilevanza all’interno del proprio iter logico-giuridico.

5. Il quarto motivo del ricorso iscritto al n. 1297/2015 R.G. denuncia omissione di pronuncia “sul motivo di gravame concernente l’irrilevanza e sostanziale neutralità probatoria della scrittura privata 17 marzo 1955”.

5.1. Il motivo è infondato.

Le ricorrenti si dolgono che il giudice d’appello non abbia esaminato e censurato la tesi del primo giudice secondo la quale la scrittura del 17 marzo 1955 costituirebbe indizio contrario alla sussistenza dell’accordo divisionale originante l’usucapione.

In realtà, il giudice d’appello ha considerato che manca la prova di tale accordo divisionale, e “anzi” la scrittura del 1955 depone contro di esso: nel riportare il pertinente brano di motivazione della sentenza d’appello, il ricorso (pag. 40) omette di trascriverlo per intero, amputandone l’incipit (“correttamente il giudice di primo grado ha rilevato che manca la prova di un accordo in tal senso ed anzi… “), sicchè ne esce alterato il senso del ragionamento del giudice distrettuale.

Vale quanto già notato circa la pronuncia implicita sul motivo di gravame e l’impossibilità di rivalutare le prove in sede di legittimità (supra, p. 2.1).

6. Il quinto motivo del ricorso iscritto al n. 1297/2015 R.G. denuncia omissione di pronuncia “in ordine al vizio di erronea applicazione di legge, sollevato in appello, cui faceva seguito la riproposta istanza di ammissione di prove testimoniali”.

6.1. Il motivo è infondato.

Le ricorrenti si dolgono che il giudice d’appello abbia confermato il rifiuto del Tribunale di dar ingresso ad ulteriori prove testimoniali in ordine al possesso ad usucapionem.

Il giudice d’appello ha ritenuto infondata la censura rivolta al primo giudice, condividendone la valutazione di sufficienza del materiale istruttorio acquisito, e quindi non vi è stata alcuna omissione di pronuncia.

Sull’assunto che spetti al compossessore attore in usucapione l’onere di provare l’esclusione del possesso degli altri compossessori assunto conforme all’indirizzo di legittimità (Cass. 15 giugno 2001, n. 8152; Cass. 20 settembre 2007, n. 19478) -, il giudice d’appello ha evidentemente ritenuto che tale onere non fosse più assolvibile, in presenza di numerose testimonianze di segno contrario.

Ciò appare in linea con la previsione dell’art. 209 c.p.c., che autorizza la chiusura dell’istruttoria quando il giudice, per i risultati già raggiunti, ne reputi superflua la prosecuzione.

Per il principio di libera valutazione delle prove, sancito dall’art. 116 c.p.c., il giudice di merito apprezza discrezionalmente gli elementi probatori acquisiti, e può ritenerli sufficienti per la decisione, attribuendo ad essi valore preminente, ed escludendo gli altri richiesti dalle parti, con stima insindacabile nella sede di legittimità (Cass. 8 maggio 2017, n. 11176).

7. Il primo motivo del ricorso principale iscritto al n. 28877/2015 R.G. e il primo motivo del pertinente ricorso incidentale denunciano violazione degli artt. 81,110,303,305,307 c.p.c. e nullità della sentenza, per non aver il giudice d’appello rilevato l’inesistenza della notifica della riassunzione fatta collettivamente e impersonalmente agli eredi della condividente suor Ma.Li. pur dopo l’anno dalla morte e per non aver egli dichiarato, quindi, l’estinzione del processo.

7.1. Il motivo è infondato.

Pacifico che il termine annuale di riassunzione fissato dall’art. 303 c.p.c., comma 2, per la notifica collettiva e impersonale agli eredi nell’ultimo domicilio del defunto risulta osservato, nella specie, solo qualora esso si riconosca soggetto alla sospensione feriale dei termini processuali, è della natura del termine medesimo che questa Corte deve occuparsi, assumendo i ricorrenti che si tratti di un termine sostanziale, correlato alla presunzione di persistenza della relazione degli eredi con l’ultimo domicilio del defunto.

In generale, atteso che la riassunzione della causa è la riattivazione di un processo quiescente, non può sussistere dubbio alcuno sulla natura processuale dei relativi termini e, quindi, sulla soggezione degli stessi all’ordinaria sospensione feriale, come già osservato riguardo al termine stabilito dall’art. 305 c.p.c. per la riassunzione del processo interrotto (Cass. 3 marzo 2004, n. 4297; Cass. 25 maggio 2007, n. 12245) e riguardo al termine stabilito dall’art. 307 c.p.c. per la riassunzione del processo cancellato (Cass. 7 febbraio 1987, n. 1306; Cass. 5 maggio 1998, n. 4506).

Opinano i ricorrenti, tuttavia, che il termine annuale fissato dall’art. 303 c.p.c., comma 2, debba sempre essere “netto” (cioè insensibile alla sospensione feriale) perchè, oltre l’anno dalla morte, cesserebbe la presunzione legale di persistenza della relazione di fatto degli eredi con l’ultimo domicilio del defunto, presunzione che costituisce la ratio della facoltà di notifica, collettiva e impersonale, in tale luogo.

Deve rilevarsi, tuttavia, che la sospensione feriale dei termini, in ragione della sua fonte legale e della contenuta durata, non è in grado di incidere sulla relazione fattuale tra la collettività degli eredi e l’ultimo domicilio del defunto.

D’altronde, è indiscusso che la sospensione feriale si applichi al termine stabilito dall’art. 330 c.p.c., comma 2, per la notifica collettiva e impersonale dell’impugnazione agli eredi della parte defunta (Cass., sez. un., 18 giugno 2010, n. 14699).

Si enuncia il principio di diritto: “il termine di un anno entro il quale il processo interrotto per morte della parte può essere riassunto, a norma dell’art. 303 c.p.c., comma 2, con atto notificato collettivamente e impersonalmente agli eredi nell’ultimo domicilio del defunto è un termine di natura processuale, soggetto all’ordinaria sospensione feriale dei termini processuali”.

8. Il secondo motivo del ricorso principale iscritto al n. 28877/2015 R.G. e il secondo motivo del pertinente ricorso incidentale denunciano violazione degli artt. 726,2697 c.c., artt. 81,110,784 c.p.c., per aver il giudice d’appello confermato l’attribuzione a suor Ma.Li. di una quota congiunta ai condividenti Zi.- Z., mentre ella aveva chiesto una quota individuale, come tale spettante alla sua erede Congregazione delle Figlie di Gesù.

8.1. Il motivo è inammissibile.

Ai fini del giudizio di legittimità, va distinta l’ipotesi in cui si lamenti l’omesso esame di una domanda dall’ipotesi in cui si censuri l’interpretazione che della domanda ha dato il giudice di merito, nell’un caso ponendosi una questione processuale per la soluzione della quale la Corte ha il potere-dovere di procedere all’esame diretto degli atti, nell’altro trattandosi, invece, di un accertamento di fatto, riservato al giudice di merito (Cass. 20 agosto 2002, n. 12259; Cass. 7 luglio 2006, n. 15603; Cass. 18 maggio 2012, n. 7932; Cass. 21 dicembre 2017, n. 30684).

Nella specie, il giudice d’appello ha interpretato la domanda di assegnazione come domanda di quota indivisa (“gli appellanti, che hanno sempre formulato conclusioni conformi, non hanno mai chiesto la formazione di quote individuali… “), ritenendo che questo contenuto non fosse innovato dalla posizione della Congregazione delle Figlie di Gesù, e tale apprezzamento contenutistico non è qui sindacabile.

9. Il terzo motivo del ricorso principale iscritto al n. 28877/2015 R.G. denuncia omesso esame di fatto decisivo, a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per aver il giudice d’appello omesso di considerare l'”insussistenza di un’indagine geologica atta a verificare l’effettiva sussistenza, nonchè la precisa ubicazione, in corrispondenza del fondo *****, di una vena di pietra da cava”.

9.1. Il motivo è inammissibile.

Il giudice d’appello ha esaminato il fatto storico (effettivamente decisivo per il valore di stima) inerente la fruttuosità a cava del “fondo *****” e, sulla base della perizia, ha concluso che l’estrazione della pregiata “*****” è possibile in tutti i lotti.

Non vi è stato un omesso esame di fatto, quindi, vizio che non attiene alla completezza istruttoria (supra, p. 4.1): la doglianza si risolve in una sollecitazione a compiere ulteriori indagini tecniche, ovviamente inammissibile nella sede di legittimità.

10. Il quarto motivo del ricorso principale iscritto al n. 28877/2015 R.G. denuncia violazione dell’art. 729 c.c., artt. 786 c.p.c. e ss., per aver il giudice d’appello confermato l’attribuzione ai Zi.- Z. del lotto “Z3” sol perchè i concorrenti avevano chiesto per primi gli altri due lotti del “fondo *****”.

10.1. Il motivo è inammissibile.

Il giudice d’appello ha confermato l’assegnazione di prime cure con l’argomento che solo gli altri condividenti avevano chiesto l’attribuzione dei lotti “Z1” e “Z2”, mentre gli appellanti si erano limitati a contestare il progetto divisionale, senza esprimere alcuna preferenza.

Il giudice d’appello non ha affatto impiegato, quindi, un criterio di priorità cronologica delle domande di attribuzione, ma, più semplicemente, ha interpretato quelle domande, con apprezzamento contenutistico qui insindacabile (supra, p. 8.1).

11. Il quinto motivo del ricorso principale iscritto al n. 28877/2015 R.G. e il terzo motivo del pertinente ricorso incidentale denunciano violazione del D.M. n. 140 del 2012, artt. 111, 112 e 113 c.p.c., per aver il giudice d’appello confermato l’eccessiva liquidazione delle spese di prime cure, a carico dei soccombenti in usucapione.

11.1. Il motivo è inammissibile.

La parte che impugna per cassazione la liquidazione delle spese processuali ha l’onere di specificare le voci e gli importi in ordine ai quali il giudice di merito sarebbe incorso in errore, onde consentire la verifica di legittimità senza che occorra la diretta consultazione degli atti, giacchè l’eventuale violazione della tariffa forense integra un error in iudicando, e non un error in procedendo (Cass. 16 febbraio 2007, n. 3651; Cass. 7 agosto 2009, n. 18086; Cass. 21 dicembre 2017, n. 30716).

Nella specie, i ricorrenti propongono, da un lato, un calcolo per scaglione basato sul valore del lotto assegnato, dall’altro, un calcolo basato su valore indeterminato.

L’inguaribile perplessità della deduzione ne segnala l’inammissibilità; d’altronde, il valore della domanda di usucapione non può essere se non il valore complessivo del bene del cui acquisto originario trattasi (l’intero “fondo *****”), non un valore frazionario o indeterminato.

12. In sintesi: a) è respinto il ricorso iscritto al n. 1297/2015 R.G.; b) è respinto il ricorso principale iscritto al n. 28877/2015 R.G.; c) è respinto il ricorso incidentale proposto dalla Congregazione delle Figlie di Gesù nel procedimento n. 28877/2015 R.G..

13. Le spese del giudizio di legittimità sono regolate in dispositivo, secondo il criterio di soccombenza.

Nel procedimento n. 28877/2015 R.G., la sostanziale unitarietà di posizione dei ricorrenti principali e della ricorrente incidentale impone di compensare tra loro le spese del giudizio di legittimità, condannandoli in solido per le omologhe spese delle controricorrenti F.- M..

Nel medesimo procedimento n. 28877/2015 R.G., le controricorrenti F.- M., sull’assunto della natura praticamente contenziosa dell’attività divisionale, hanno chiesto la rifusione delle spese pertinenti, viceversa compensate dal giudice di primo grado.

Quest’ultima istanza è inammissibile, sia perchè non introdotta dal necessario ricorso incidentale (Cass. 11 ottobre 2018, n. 25357), sia, e ancor prima, per l’assenza dell’appello incidentale, che ha ormai suggellato la compensazione di primo grado con la forza del giudicato interno (Cass. 19 novembre 2009, n. 24422).

14. Il raddoppio del contributo unificato è dovuto: dalle ricorrenti nel procedimento n. 1297/2015 R.G.; dai ricorrenti principali nel procedimento n. 28877/2015 R.G.; dalla Congregazione delle Figlie di Gesù, per il ricorso incidentale nel procedimento n. 28877/2015 R.G.

PQM

Rigetta il ricorso iscritto al n. 1297/2015 R.G., condannando le ricorrenti, in solido tra loro, a rifondere alle controricorrenti le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.500,00 per compensi, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generati al 15% e accessori di legge.

Rigetta il ricorso principale iscritto al n. 28877/2015 R.G. e il ricorso incidentale proposto nel relativo procedimento, compensando le spese tra i ricorrenti principali e la ricorrente incidentale, e condannando i ricorrenti tutti, in solido tra loro, a rifondere alle controricorrenti le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.500,00 per compensi, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali al 15% e accessori di legge.

Dichiara che ricorrenti principali e ricorrente incidentale hanno l’obbligo di versare l’ulteriore importo per contributo unificato ex D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, il 8 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 gennaio 2020

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