Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.20844 del 30/09/2020

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. GILOTTA Bruno – rel. est. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 18756/2012, promossa da:

CO.GE.FER. – Costruzioni Generali Ferroviarie, s.p.a., in persona del suo legale rappresentante S.G., con sede in Roma, rappresentata e difesa in giudizio dall’avv. Gennaro Leonte presso il suo studio elettivamente domiciliata in Roma, Viale Angelico, 97

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore, rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza n. 34/20/10 emessa il 29/1-3/02/2010 dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, avente ad oggetto l’avviso di accertamento n. ***** per I.V.A., I.R.P.E.G.

I.R.A.P. 2003;

e sul ricorso iscritto al n. 15375/2013, promosso da:

CO.GE.FER. – Costruzioni Generali Ferroviarie, s.p.a., in persona del suo legale rappresentante S.G., rappresentata e difesa dall’avv. Alberto Martelli ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Rieti, via Foresta, 28

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore

– resistente –

per la cassazione della sentenza 606/1/12 con la quale la Commissione Tributaria Regionale del Lazio ha dichiarato inammissibile la domanda di revocazione della sentenza 34/20/10.

CONSIDERATO

che:

1. – La CO.GE.FER. – Costruzioni Generali Ferroviarie – s.p.a. con ricorso spedito per la notifica l’8 agosto 2012 – ulteriormente illustrato con memoria ex art. 378 c.p.c. – ha impugnato la sentenza n. 34/20/10, emessa 3 febbraio 2010, con la quale la Commissione Tributaria Regionale del Lazio, in riforma di quella di primo grado, ha rigettato il ricorso della contribuente inteso all’annullamento dell’avviso di accertamento in oggetto, relativo a costi non deducibili i.v.a., i.r.pe.g e i.r.a.p. per l’esercizio 2003.

Con l’impugnazione la ricorrente ha addotto preliminarmente la sua tempestività a norma dell’ art. 327 c.p.c., comma 2, e del D.P.R. n. 547 del 1992, art. 38, comma 3, in ragione:

dell’inesistenza della notifica dell’atto di appello;

della sua nullità, in quanto avvenuta, in violazione dell’art. 170 c.p.c. e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17, presso i difensori dove la contribuente non aveva mai eletto domicilio;

della nullità del giudizio, trattato in assenza di verifica della notificazione dell’impugnazione alla parte appellata.

Ha domandato quindi la cassazione senza rinvio della sentenza della Commissione Tributaria Regionale.

2. – Ha resistito con controricorso l’Agenzia delle Entrate, eccependo la tardività dell’impugnazione per l’inapplicabilità dell’art. 327 c.p.c., comma 2, al cospetto della regolare notificazione dell’appello, effettuata presso il domicilio eletto dalla contribuente quale risultante dal ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.

Per la trattazione è stata fissata l’adunanza in camera di consiglio del 21 dicembre 2018, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e dell’art. 380 bis 1 c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Nel corso di detta udienza si è preso atto dell’istanza, formulata dalla ricorrente, per la riunione al presente procedimento di quello iscritto al n. 15375/2013, avente ad oggetto il ricorso avverso la sentenza 606/1/12 della Commissione Tributaria Regionale del Lazio, depositata il 12/12/’12 che ha rigettato la domanda di revocazione della stessa sentenza n. 34/20/10.

3. – In tale ultimo procedimento la CO.GE.FER. s.p.a. ha impugnato con due motivi la sentenza 606/1/12 con la quale la Commissione Tributaria Regionale del Lazio ha dichiarato inammissibile la domanda di revocazione della stessa sentenza 34/20/10 proposta dalla contribuente, negando che il primo motivo, concernente il problema dell’inesistenza o della nullità della notificazione del ricorso in appello, potesse riguardare un errore revocatorio; e ha ritenuto il secondo motivo assorbito dall’inammissibilità, siccome tardivo, del ricorso in appello.

L’Agenzia delle Entrate ha depositato atto per l’eventuale partecipazione all’udienza.

Per la trattazione di entrambe le cause è stata fissata l’adunanza in camera di consiglio del 5 novembre 2019, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e dell’art. 380 bis 1 c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. 25 ottobre 2016, n. 197. Nel (Ndr: testo originale non comprensibile) n. 15375/2013 la società ha delegato memoria.

CONSIDERATO

che:

4. – Atteso il rapporto di pregiudizialità, le cause vanno riunite e va trattato, per primo, il ricorso avente ad oggetto la revocazione (r.g.n. 15375/2013).

Con il primo motivo si deduce la “nullità del procedimento per violazione dell’art. 325 c.p.c., dell’art. 327c.p.c., comma 2, dell’art. 395c.p.c., comma 1, n. 4 e dell’art. 400 c.p.c., nonchè del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 38 e art. 51, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.”.

Con il secondo motivo si deduce la nullità del procedimento per violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

I motivi, strettamente connessi, vanno trattati unitariamente, come del resto sostiene la stessa ricorrente a pag. 17 del ricorso.

CO.GE.FER. s.p.a. sostiene che la Commissione Tributaria Regionale sarebbe incorsa nell’errore di trattare sullo stesso piano l’ammissibilità in rito del ricorso in (Ndr: testo originale non comprensibile) e quello della sua sussumibilità in un errore revocatorio, laddove avrebbe dovuto prima verificare la nullità o l’inesistenza del ricorso in appello dell’Agenzia delle Entrate e, solo in caso di valutazione negativa della prima valutazione, giudicare se la Commissione Tributaria Regionale non fosse incorsa in errore revocatorio.

Al di là dell’artificio argomentativo, va ribadito che l’errore revocatorio previsto dall’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, si realizza quando la decisione è fondata su un fatto la cui esistenza è incontrovertibilmente esclusa o quando è fondato sull’inesistenza di un fatto la cui esistenza è incontrovertibilmente affermata.

In particolare, secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte “in tema di revocazione delle sentenze della Corte di cassazione la configurabilità dell’errore di fatto, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, presuppone che la decisione appaia fondata, in tutto o in parte, esplicitandone e rappresentandone la decisività, sull’affermazione di esistenza o inesistenza di un fatto che, per converso, la realtà effettiva (quale documentata in atti) induce rispettivamente, ad escludere o affermare, cosi che esso sia percepito e portato ad emersione nello stesso giudizio di cassazione, nonchè posto a fondamento dell’argomentazione logico giuridica conseguentemente adottata dal giudice di legittimità senza coinvolgere l’attività valutativa del giudice di situazioni processuali esattamente percepite nella loro oggettività” (Cass. n. 7778/2017).

Si ha, quindi, errore di fatto, riconducibile all’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, quando lo stesso è di percezione, e consiste in una mera svista materiale, che abbia indotto il giudice a supporre l’esistenza (o l’inesistenza) di un fatto decisivo che risulti invece in modo incontestabilmente escluso (o accertato), in base agli atti e ai documenti di causa, sempre che tale fatto non abbia costituito oggetto di un punto controverso su cui il Giudice si sia pronunciato. L’errore in questione presuppone, quindi, il contrasto fra due diverse rappresentazioni dello stesso fatto, delle quali una emerge dalla sentenza, l’altra dagli atti e documenti processuali, semprechè la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione e non di giudizio (cfr. Cass., Sez. U, n. 9882/2001; Cass., n. 13915/2005; Cass., n. 2425/2006; id.n. 27570/2018).

E’, in definitiva, necessario il contrasto tra due diverse rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza e l’altra dagli atti e documenti processuali, purchè, da un lato, la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione e non di valutazione o di giudizio e, dall’altro, quella risultante dagli atti e documenti non sia contestata dalle parti (Cass., Sez. U, n. 23856/2008; id. n. 4413/2016).

In questo contesto, e nei termini in cui è formulato il motivo di ricorso, la valutazione circa la dedotta inesistenza o nullità di una notificazione esula da un errore percettivo del Giudice e resta ancorata alle valutazioni giuridiche che non possono formare oggetto del giudizio di revocazione, Il fatto poi che la Commissione Tributaria Regionale abbia ritenuto assorbito nel rigetto del primo motivo di revocazione il secondo, concernente l’omessa considerazione, dalla sentenza 314/20/10, della “copiosa documentazione ” prodotta in primo grado, non merita la censura di omessa pronuncia, in quanto la Commissione Tributaria Regionale, adita in sede di revocazione, ha correttamente ritenuto, una volta accertata l’inesistenza dell’errore revocatorio in ordine alla rituale costituzione del contraddittorio, inutile una pronuncia ridondante sul merito della controversia, oggetto di ricorso per cassazione pendente.

5. – Co.Ge.Fer. s.p.a. nel ricorso avverso la sentenza 314/20/10 deduce “ammissibilità del ricorso per cassazione ex art. 327 c.p.c, comma 2, (riprodotto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 38, comma 3)”; “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 20, comma 2, e della L. 20 novembre 1982, n. 890, art. 53, con inammissibilità dell’appello (art. 360 c.p.c., nn 3 e 4)”; “violazione falsa applicazione di norme di diritto ed in particolare dell’art. 170 c.p.c. e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17 (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4)”.

Anche questi motivi possono essere trattati unitariamente, essendo tutti connessi alla questione della validità della notifica del ricorso in appello proposto dall’Agenzia delle Entrate contro la sentenza della CTP di Roma e alle eventuali ricadute sul giudizio svoltosi davanti alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio e sulla sentenza che lo ha concluso.

La ricorrente – che si dichiara contumace involontaria nel giudizio innanzi alla Commissione Tributaria Regionale – sostiene che “consultando il fascicolo d’ufficio si rileva che la notificazione dell’appello da parte dello Ufficio risulta inesistente, in quanto l’atto di appello risulta indirizzato a “Cogefer c/o dr C. e dr C. in via *****”, ma non vi è prova alcuna che lo stesso atto sia stato consegnato per la spedizione all’Ufficio Postale e che sia stato quindi spedito a mezzo di tale servizio postale. Ed infatti agli atti non vi è alcuna ricevuta attestante la consegna dell’atto di appello per la sua spedizione allo Ufficio Postale di Roma *****, ma unicamente una mera fotocopia di una facciata dell’avviso di ricevimento che si contesta come non conforme all’originale, se esistente, priva del timbro dell’Ufficio Postale, della firma dello incaricato alla distribuzione e con una firma del ricevente, che non è quella del Dott. C. o del Dott. C., come risulta dalle firme dei detti professionisti che risultano apposte in calce allo avviso di trattazione del ricorso avanti la Commissione Tributaria Provinciale”.

Deduce quindi l’inesistenza della notificazione dell’atto di appello e invoca la giurisprudenza secondo cui “in tema di contenzioso tributario, per stabilire, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 38, se sia ammissibile l’impugnazione tardivamente proposta, sul presupposto che l’impugnante non abbia avuto conoscenza del processo a causa di un vizio della notificazione dell’atto introduttivo, occorre distinguere due ipotesi: se la notificazione è inesistente, la mancata conoscenza della pendenza della lite da parte del destinatario si presume “iuris tantum”, ed è onere dell’altra parte dimostrare che l’impugnante ha avuto comunque contezza del processo; se invece la notificazione è nulla, si presume “iuris tantum” la conoscenza della pendenza del processo da parte dell’impugnante, e dovrà essere quest’ultimo a provare che la nullità gli ha impedito la materiale conoscenza dell’atto” (Cass., n. 2817 del 5.2.09; Cass., n. 1308 del 19/01/2018; Cass., n. 8593 del 06/04/2018);

Aggiunge, in via gradata che, in presenza di una mera fotocopia di un atto incompleto, la Commissione Tributaria Regionale avrebbe dovuto dichiarare l’inammissibilità del gravame o, quantomeno, dare termine all’appellante per la produzione dell’originale della notificazione, in conformità a giurisprudenza altrettanto consolidata (Cass. n. 9769 del 14/04/2008: “Nel processo tributario, allorchè l’atto di appello sia notificato a mezzo del servizio postale – vuoi per il tramite di ufficiale giudiziario, vuoi direttamente dalla parte ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 16, e l’appellato non si sia costituito, l’appellante ha l’onere – a pena di inammissibilità del gravame – di produrre in giudizio, prima della discussione, l’avviso di ricevimento attestante l’avvenuta notifica, od in alternativa di chiedere di essere rimesso in termini, ex art. 184-bis c.p.c., per produrre il suddetto avviso e di essersi attivato per tempo nel richiedere un duplicato all’amministrazione postale, previa dimostrazione di averlo incolpevolmente perduto”); conf., Cass., 23793 del 01/10/2018.

Deduce infine che, non avendo la contribuente eletto domicilio presso i suoi difensori, la notificazione dell’appello avrebbe dovuto essere eseguita presso la sede della società, secondo quanto previsto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17.

Il ricorso è inammissibile.

Innanzi tutto, e contrariamente all’assunto della ricorrente, la sua domiciliazione processuale presso i difensori Dott.ri C.M. e C.L. risulta espressamente e chiaramente dalla lettura del ricorso in primo grado.

Conseguentemente, secondo quanto previsto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17, comma 2, detta elezione di domicilio ha prodotto effetto anche per il giudizio di appello.

In secondo luogo, la fotocopia dell’avviso di ricevimento della raccomandata spedita ai predetti dottori C. e C. – avviso compilato su modulo identico a quello usualmente utilizzato dagli uffici postali – costituisce prova idonea (fino a querela di falso) dell’adempimento dell’onere di notifica posto a carico dell’Agenzia appellante. Il fatto che l’avviso risulti sottoscritto illeggibilmente o da persona diversa dai domiciliatari è irrilevante alla luce della giurisprudenza secondo cui nel caso di notifica a mezzo del servizio postale, ove l’atto sia consegnato all’indirizzo del destinatario a persona che abbia sottoscritto l’avviso di ricevimento, con grafia illeggibile, nello spazio relativo alla “firma del destinatario o di persona delegata”, e non risulti che il piego sia stato consegnato dall’agente postale a persona diversa dal destinatario tra quelle indicate dalla L. n. 890 del 1982, art. 7, comma 2, la consegna deve ritenersi validamente effettuata a mani proprie del destinatario, fino a querela di falso, a nulla rilevando che nell’avviso non sia stata sbarrata la relativa casella e non sia altrimenti indicata la qualità del consegnatario, non essendo integrata alcuna delle ipotesi di nullità di cui all’art. 160 c.p.c. (Cass., sez. U, 22044/2004; Sez. U 9962/2010). Analogamente riguardo al fatto che il documento non risulti sottoscritto dall’incaricato alla distribuzione e non timbrato, trattandosi in entrambi i casi di irritualità che non incidono sul valore giuridico della sottoscrizione del destinatario o della persona dallo stesso incaricata alla ricezione della corrispondenza. Ove poi questa irritualità sia denunciata dalla ricorrente per sostenere la totale, oggettiva falsità del documento, vale quanto sarà detto in seguito.

Inconferente appare il richiamo alla giurisprudenza secondo cui, in caso di mancata costituzione dell’appellato, è onere dell’appellante dimostrare l’avvenuta notificazione dell’impugnazione o domandare termine per ottenere dall’Ufficio postale un duplicato, in caso di smarrimento, perchè nel caso di specie esisteva agli atti della Commissione Tributaria Regionale una fotocopia dell’avviso di ricevimento, che dimostrava, per quanto dianzi detto, l’avvenuta notifica dell’atto di appello.

Riguardo infine alla conformità della fotocopia all’originale che la ricorrente, con formula di stile, contesta, si tratta di questione che non può essere posta in questa sede di legittimità, in quanto riguarda un atto del giudizio di merito (Cass., Sez. U, n. 11964 del 31/05/2011; Cass., ord. n. 8377 del 04/04/2018) e la querela di falso avrebbe potuto essere proposta anche in via principale (art. 221 c.p.c.).

Il (Ndr: testo originale non comprensibile) depositato oltre un anno e otto mesi dopo la pubblicazione della sentenza impugnata va, pertanto , dichiarato inammissibile per tardività.

Le spese, liquidate da dispositivo, seguono la soccombenza e vanno poste a carico della ricorrente.

Nulla per le spese in ordine al ricorso 15375/2013, in assenza di attività difensiva dell’Agenzia delle Entrate.

PQM

Riunito al n. 18756/2012 il ricorso iscritto al n. 15375/2013, dichiara inammissibile il primo, e il secondo; condanna la ricorrente a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese del primo giudizio, che liquida in Euro 13.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto, riguardo al ricorso 15375/2013, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 5 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2020

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472