Corte di Cassazione, sez. I Civile, Sentenza n.216 del 09/01/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25526/2014 proposto da:

L.G., L.O., elettivamente domiciliati in Roma, V. Nicastro 3, presso lo studio dell’avvocato Grossu Valeriu, rappresentati e difesi dagli avvocati Crisci Fabrizio, Crisci Lucio Rodolfo, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Comune Di San Giorgio La Molara, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Via Antonio Bertoloni 52, presso lo studio dell’avvocato Cefaly Francesco, rappresentato e difeso dall’avvocato Fusco Cecilia, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2938/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 25/06/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/11/2019 da dott. IOFRIDA GIULIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CARDINO ALBERTO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato Lucio Rodolfo Crisci con delega per i ricorrenti, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato con delega orale per il controricorrente, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Napoli, con sentenza n. 2938/2014, depositata in data 25/6/2014, – in controversia promossa da L.O. nei confronti del Comune di Comune di San Giorgio La Molara (con intervento volontario del fratello dell’attore, L.G., titolare di attività commerciale svolta sul bene occupato) per conseguire, in particolare, oltre pretese restitutorie (di restituzione dell’area abusivamente occupata), il risarcimento del danno subito per effetto della demolizione di un vecchio fabbricato, di proprietà dell’attore, adibito a macelleria, sito in *****, interessato dai lavori di sistemazione e risanamento della piazza, con occupazione parziale dell’area (la particella ***** di proprietà dello stesso L.O.) nel 1988 (per la durata di un biennio), non seguita poi nè dal perfezionamento del procedimento espropriativo nè dalla realizzazione dei lavori, non avendo neppure il Comune adempiuto all’impegno, assunto con due delibere del 1987 (accogliendo le osservazioni dal L.O. al progetto tecnico esecutivo di sistemazione della piazza comunale), di ricostruzione, in altro sito, prima della demolizione del vecchio ed entro 360 gg., del fabbricato, in posizione più arretrata, “a compensazione delle indennità di espropriazione e di occupazione da corrispondere al L. per la perdita del suolo e la demolizione del fabbricato”, essendo stato però demolito il vecchio fabbricato senza ricostruzione del nuovo, – ha riformato la decisione di primo grado, che aveva parzialmente accolto le domande attoree, riconoscendo l’indennità da occupazione illegittima di Euro 1.017,00 (per il periodo successivo al 12/6/1989, in quanto per il periodo anteriore doveva ritenersi vigente l’accordo negoziale intervenuto tra le parti) ed, a titolo di risarcimento dei danni, accertato l’inadempimento contrattuale del Comune, danni consistenti nelle spese occorrenti per la realizzazione delle opere di completamento del nuovo fabbricato, l’importo di Euro 75.211,47, in favore dell’attore L.O., con condanna del Comune al relativo pagamento nonchè alla consegna del nuovo fabbricato, ed, in favore dell’intervenuto L.G., dell’indennizzo di Euro 16. 887, 85 (a risarcimento delle spese dallo stesso sostenute per i lavori di completamento del piano terra del nuovo fabbricato, stante la necessità di riprendere l’attività commerciale), al cui pagamento pure aveva condannato il Comune.

Il Tribunale di Benevento, in particolare, aveva ritenuto che, sebbene non fosse mai stata stipulata tra il Comune ed il L.O. una convenzione scritta, tra le stesse parti, in vista dei lavori di ampliamento di *****, era intervenuto un accordo negoziale avente ad oggetto la cessione in favore dell’Ente di una porzione dell’area di proprietà del L.O., ove insisteva il vecchio fabbricato adibito a macelleria (gestita dal fratello, G.), a fronte dell’obbligo assunto dal Comune di provvedere, a sue spese, alla demolizione del vecchio fabbricato ed alla ricostruzione di un nuovo fabbricato su di un’area, sempre di proprietà L., ma in posizione arretrata rispetto al fabbricato da demolire, il tutto a compensazione delle indennità di occupazione e di espropriazione da corrispondere al proprietario L. per la perdita della proprietà dell’area di sedime e per la demolizione del vecchio fabbricato.

Il Tribunale aveva imputato al Comune il mancato completamento dei lavori di ricostruzione del fabbricato e lo aveva condannato alla consegna del nuovo fabbricato, oltre al risarcimento dei danni cagionati, rispettivamente, ai L., respingendo invece la domanda del L.O. di restituzione dell’intera particella ***** (in parte occupata dal vecchio fabbricato ormai demolito in vista dei lavori di ampliamento della piazza comunale), in quanto ormai irreversibilmente inglobata nell’area pubblica.

I giudici d’appello hanno sostenuto, invece, che doveva essere, in accoglimento del primo motivo di appello sollevato dal Comune, dichiarata la nullità, rilevabile comunque d’ufficio, dell’accordo negoziale intercorso tra il Comune ed il L.O., di cui quest’ultimo aveva chiesto in giudizio l’adempimento, per difetto di forma scritta ad substantiam, costituendo le delibere del consiglio comunale del 1987 meri atti interni. Di conseguenza, dovevano rigettarsi tutte le domande risarcitorie proposte dall’attore e dall’interveniente, in quanto fondate sull’errata affermazione del colpevole inadempimento del Comune all’accordo negoziale dichiarato nullo.

Avverso la suddetta pronuncia, L.O. e L.G. propongono ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, nei confronti del Comune di San Giorgio La Molara (che resiste con controricorso).

I ricorrenti hanno, in memoria, contestato la tardività della notifica del controricorso, notificato il 12/12/2014, a fronte della notifica del ricorso del 27/10/2014, non essendosi il precedente tentativo di notifica perfezionato (ad un inesistente avvocato domiciliatario). I ricorrenti hanno depositato memoria ma con ordinanza interlocutoria n. 17007/2019, il ricorso è stato rinviato a N. R. per impedimento del relatore. I ricorrenti hanno quindi depositato ulteriore memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I ricorrenti lamentano: 1) con il primo motivo, sia l’omessa motivazione o motivazione perplessa o incomprensibile circa un fatto decisivo, ex art. 360 c.p.c., n. 5, sia la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, degli artt. 99 e 112 c.p.c., per avere la Corte d’appello “travalicato i limiti del procedimento espropriativo”, dedotto in giudizio (e quindi l’esame delle tre delibere del Consiglio comunale e del decreto di occupazione), al fine di ottenere, non il risarcimento o la risoluzione per inadempimento ad obblighi contrattualmente assunti dal Comune ma, la restituzione delle aree illegittimamente occupate, del vecchio fabbricato incompleto ricostruito ed il risarcimento del danno per “violazione del procedimento espropriativo”, senza che la Corte di merito avesse spiegato le ragioni per le quali la nullità dell’accordo tra Comune ed il L. avesse spiegato effetti anche sulla domanda di danni da occupazione illegittima; 2) con il secondo motivo, sia l’omessa motivazione, con violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, rappresentato dall’accertamento della fondatezza della domanda di risarcimento dei danni, conseguenti ad attività della pubblica amministrazione, nell’ambito di un procedimento espropriativo non definito con decreto di espropriazione, che aveva comportato l’acquisizione da parte dell’Ente dell’area di sedime di cui alla part. *****, essendo incontestato il mancato pagamento di indennità di occupazione e di esproprio a mezzo di denaro o di restituzione del fabbricato demolito e ricostruito volontariamente dal Comune; 3) con il terzo motivo, l’omesso esame, ex art. 360 c.p.c., n. 5, di fatto decisivo e la violazione degli artt. 834 e 1350 c.c., in relazione al mancato riconoscimento dell’indennizzo dovuto agli attori per fatto illecito del Comune, consistito nel non avere rispettato l’obbligo, unilateralmente assunto, nell’ambito di un procedimento espropriativo, di restituire al L. il fabbricato demolito e ricostruito in posizione arretrata, dopo i lavori realizzati di ampliamento di *****, sempre per effetto, secondo i ricorrenti, di una inammissibile trasformazione, da parte della Corte d’appello, di una domanda di risarcimento danni nell’ambito di un procedimento espropriativo in una domanda di adempimento “di un (inesistente) contratto o accordo negoziale”; 4) con il quarto motivo, la violazione e disapplicazione, ex art. 369 c.p.c., n. 3, dell’art. 324 c.p.c. e art. 2909 c.c., per avere la Corte d’appello rigettato anche la domanda dell’intervenuto L.G., malgrado sulla statuizione del giudice di primo grado di condanna del Comune al pagamento in favore di quest’ultimo dell’importo di Euro 16.887,85 a titolo di risarcimento danno per il mancato godimento del locale utilizzato per macelleria, si fosse formato giudicato interno in difetto di impugnazione da parte del Comune; 5) con il quinto motivo, la violazione e disapplicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, degli artt. 99 e 112 c.p.c., sempre denunciandosi che la Corte d’appello avrebbe travisato i fatti di causa ed erroneamente interpretato la domanda originariamente proposta dall’attore e dall’interveniente, volta a conseguire un risarcimento del danno da espropriazione per pubblica utilità illegittima.

2. La notifica del controricorso (giusta eccezione di tardività dei ricorrenti) risulta effettuata, a fronte della notifica del ricorso del 27/10/2014, con esito positivo, dall’UG, in data 12/12/2014, presso il portiere G.V., indicato in sede di costituzione dei ricorrenti quale domiciliatario in Roma, Via Nicastro 3, con attestazione da parte dell’ufficiale procedente che nel corso del primo accesso, in data 24/11/2014 (nei termini di legge), il suddetto era assente per ferie e sostituito da un incaricato; in effetti la prima notifica del 24/11/2014, all’indirizzo del domiciliatario, identificato però come “avv. G.V.”, aveva avuto esito negativo, in quanto il portiere presente quel giorno si era limitato a dichiarare che non esistevano a quell’indirizzo avvocati con tale nome, tacendo all’evidenza del fatto che vi era un portiere con detto nome.

Ora, questa Corte a S.U. (Cass. S.U. 14594/2016) ha statuito che “in caso di notifica di atti processuali non andata a buon fine per ragioni non imputabili al notificante, questi, appreso dell’esito negativo, per conservare gli effetti collegati alla richiesta originaria deve riattivare il processo notificatorio con immediatezza e svolgere con tempestività gli atti necessari al suo completamento, ossia senza superare il limite di tempo pari alla metà dei termini indicati dall’art. 325 c.p.c., salvo circostanze eccezionali di cui sia data prova rigorosa”. Successivamente, le Sezioni Unite hanno ulteriormente precisato (Cass.. S.U. 14266/2019) che “nel caso in cui, in sede di notificazione dell’atto di integrazione del contraddittorio nei confronti del contumace, la parte venga a conoscenza della sua morte o della sua perdita della capacità, il termine assegnatole dal giudice ai sensi dell’art. 331 c.p.c. è automaticamente interrotto e, in applicazione analogica dell’art. 328 c.p.c., comincia a decorrere un nuovo termine, di durata pari a quella iniziale, indipendentemente dal momento in cui l’evento interruttivo si è verificato. E, tuttavia, onere della parte notificante riattivare con immediatezza il processo notificatorio, senza necessità di apposita istanza al giudice “ad quem”. Solo nel caso in cui, per ragioni eccezionali, di cui la stessa parte deve fornire la prova, tale termine risulti insufficiente ad individuare le persone legittimate a proseguire il giudizio, è consentito chiedere al giudice la rimessione in termini ai sensi dell’art. 153 c.p.c., comma 2".

Nella fattispecie, dunque vi è stata comunque una tempestiva ripresa del procedimento notificatorio, conclusosi positivamente entro il diciottesimo giorno del nuovo termine decorrente dal 24/11/2014, e l’eccezione dei ricorrenti è pertanto infondata.

3. Il primo, il terzo ed il quinto motivo, da trattarsi unitariamente perchè connessi, sono inammissibili, in quanto con essi viene dedotta un’erronea interpretazione da parte della Corte d’appello del contenuto della domanda originaria, ma la Corte territoriale ha interpretato i fatti storici allegati dalle parti, del tutto conformemente a quanto già statuito in primo grado (seppure con differenti risvolti, stante la declaratoria d’ufficio della nullità per difetto di forma scritta operata in appello).

Invece, il secondo motivo, inerente all’omessa motivazione, sulla pretesa risarcitoria (in relazione al fabbricato demolito ed all’area di proprietà occupata con irreversibile trasformazione), è fondato.

3.1. Invero, il ricorrente L.O. (essendo la posizione del L.G., interveniente, pacificamente limitata alla richiesta di risarcimento dei danni subiti in conseguenza della demolizione del vecchio fabbricato adibito a macelleria e delle spese sostenute per il completamento del piano terra del nuovo fabbricato e solo in relazione a tale domanda sussistendo la sua legittimazione nel presente ricorso per cassazione), in primo ed in secondo grado, aveva formulato in giudizio una richiesta di restituzione della “particella *****, abusivamente occupata”, e di risarcimento dei danni correlati a detta occupazione illegittima, nonchè, in relazione all’oggetto dell’asserito accordo raggiunto con l’Amministrazione comunale, una domanda di restituzione del fabbricato nuovo completo o consegna del fabbricato incompleto, con il risarcimento dei danni correlati, per le spese sostenute di completamento del piano terra del nuovo fabbricato e per la perdita di clientela in relazione all’attività commerciale esercitata nel vecchio fabbricato; a detta dell’attore, il tutto nasceva da una vicenda espropriativa che “si era trasformata in un rapporto contrattuale privatistico e civilistico”, in quanto era comunque anche invocato, in primo grado ed in appello, l’obbligo, assunto dal Comune, con le deliberazioni allegate, e l’accordo intervenuto tra le parti, con la sottoscrizione da parte del L.O. del progetto esecutivo, di ricostruzione del fabbricato L. in luogo della corresponsione di un’indennità, cui aveva fatto seguito l’occupazione dell’area da parte del Comune, il quale tuttavia poi, decorso il termine annuale, asseritamente concordato per la consegna del nuovo fabbricato, ed anche il biennio dell’occupazione d’urgenza, si era reso inadempiente agli impegni in precedenza assunti (in quanto la procedura espropriativa non si era perfezionata ed i lavori di costruzione del nuovo fabbricato erano stati interrotti) e non aveva corrisposto alcun indennizzo.

Il L.O. poneva a base della domanda il comportamento illecito del Comune, sia per avere questi non rispettato l’accordo inter partes che prevedeva, in occasione dei lavori di risistemazione della *****, la demolizione del vecchio fabbricato L., adibito a macelleria, e la ricostruzione, in altro sito, del suddetto fabbricato, in posizione più arretrata, “a compensazione delle indennità di espropriazione e di occupazione da corrispondere al L. per la perdita del suolo e la demolizione del fabbricato”, nonchè per avere l’Ente comunque illegittimamente occupato l’area di proprietà, con demolizione del vecchio fabbricato, e mai completato la ricostruzione del nuovo, in area sempre di proprietà del L. (essendo stati interrotti i lavori, anche a causa dell’opposizione di un privato per violazione delle distanze legali).

3.2. Questa Corte (Cass. 3602/2019), da ultimo, ha ribadito che ” il giudice di merito, nell’esercizio del potere di interpretazione e qualificazione della domanda, non è condizionato dalle espressioni adoperate dalla parte ma deve accertare e valutare il contenuto sostanziale della pretesa, quale desumibile non esclusivamente dal tenore letterale degli atti ma anche dalla natura delle vicende rappresentate dalla medesima parte e dalle precisazioni da essa fornite nel corso del giudizio, nonchè dal provvedimento concreto richiesto, con i soli limiti della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e del divieto di sostituire d’ufficio un’azione diversa da quella proposta. Il relativo giudizio, estrinsecandosi in valutazioni discrezionali sul merito della controversia, è sindacabile in sede di legittimità unicamente se sono stati travalicati i detti limiti o per vizio della motivazione” (conf. a Cass. 8225/2004).

Orbene, con riguardo ai motivi primo, terzo e quinto, non è ravvisabile alcun vizio di ultrapetizione o motivazionale, avendo la Corte di merito ravvisato nella domanda attrice una domanda di adempimento di un accordo negoziale nullo per difetto di forma scritta, in relazione all’asserito impegno dell’Ente di consegna del nuovo fabbricato da adibire a macelleria, in posizione arretrata di alcuni metri rispetto alla *****, interessata dai lavori di ampliamento.

Il terzo motivo è anche infondato, in quanto una valida manifestazione di volontà del Comune avrebbe dovuto essere espressa in un atto scritto, con sottoscrizione da parte dell’organo titolare del potere rappresentativo dell’ente (Cass. 1549/2018; Cass. 24679/2013), non potendo avere rilievo mere delibere del consiglio comunale interne o preparatorie, ed è pacifico che non sia mai stata stipulata tra le parti una convenzione così caratterizzata.

3.3. Tuttavia, alcuna motivazione è presente nella decisione impugnata sull’ampia pretesa risarcitoria da altrui fatto illecito, pure azionata dal L.O. (con l’intervento, al riguardo adesivo, del fratello G., gestore dell’attività commerciale svolta nel fabbricato demolito), a fronte dell’occupazione illegittima da parte del Comune di parte dell’area di proprietà del L.O., con irreversibile trasformazione della stessa, a causa dei lavori di ampliamento della *****.

Detta domanda era stata accolta in primo grado, sia pure con riduzione del quantum richiesto dagli attori, in relazione all’inadempimento dell’asserito accordo negoziale tra il L. ed il Comune, ma era stata comunque coltivata in appello dai L., ai sensi dell’art. 346 c.p.c. (cfr. Cass. 21087/2005: “l’accoglimento della domanda in base ad una sola delle “causae petendi” fungibilmente poste a fondamento della stessa non implica, per l’appellato vittorioso, l’onere di proporre appello incidentale per far valere le “causae petendi” non esaminate dal giudice di primo grado, nè quello di riproporre con espresse deduzioni le ragioni pretermesse, essendo sufficiente che ad esse la parte non rinunci, esplicitamente o implicitamente, manifestando in qualsiasi modo la volontà di provocarne il riesame”; conf. Cass. 20172/2014: “l’accoglimento della domanda in base ad una sola delle “causae petendi”, fungibilmente poste a fondamento della stessa, non implica, per la parte vittoriosa, l’onere di proporre appello incidentale per far valere le “causae petendi” non esaminate dal giudice di primo grado, nè quello di riproporre con espresse deduzioni le ragioni pretermesse, essendo sufficiente che ad esse la parte non rinunci, esplicitamente o implicitamente, manifestando in qualsiasi modo la volontà di provocarne il riesame”, nella specie, questa Corte ha ritenuto – in un caso in cui era stata proposta in primo grado domanda di risarcimento danni facendo valere, in via di principalità, la responsabilità contrattuale del convenuto e, in via gradata, la responsabilità aquiliana dello stesso – che la richiesta di integrale conferma della sentenza impugnata non potesse far presumere una rinuncia alla domanda subordinata, per superare la quale occorreva un’espressa riproposizione della domanda; Cass. 24858/2015).

Invero, in sede di costituzione in appello, l’appellato L.O., pur dando ampio spazio all’asserito accordo intervenuto con il Comune, resosi, a suo avviso, inadempiente ai patti, insisteva per la fondatezza della pretesa risarcitoria azionata, anche relativa all’illegittima occupazione di porzione dell’area di proprietà, correlata alla demolizione del vecchio fabbricato, non seguita da decreto di esproprio. Dalla nullità in sè del richiamato impegno negoziale non poteva derivare alcun effetto quanto alla pretesa risarcitoria residua di L.O., le cui domande, per come può desumersi dalla esposizione di cui alla sentenza medesima, erano state correlate anche alla illegittimità della vicenda espropriativa sostanziale, perchè caratterizzata da occupazione protrattasi oltre il prescritto termine e non seguita da decreto di esproprio.

La motivazione della Corte territoriale non giustifica il rigetto di queste domande, visto che anche in materia di occupazione acquisitiva da parte della pubblica amministrazione di immobili privati – che si verifica quando alla dichiarazione di pubblica utilità non sia seguito il completamento del procedimento di espropriazione (v. per tutte Cass. n. 12961/2018) – l’eventuale risarcimento del danno sofferto dal proprietario per tutto il periodo in cui si è protratta la detenzione abusiva del bene, e poi per l’ablazione, rientra nella vasta categoria dell’art. 2043 c.c.; tale danno deve comprendere, così come per qualsiasi altra liquidazione, secondo i criteri tratti dagli artt. 1223 e 2043 c.c. e segg., sia la perdita subita che il mancato guadagno, salvo che il privato non intenda chiedere la restituzione del bene (in materia di espropriazione per pubblica utilità, infatti, questa Corte ha chiarito che la necessità di interpretare il diritto interno in conformità con il principio enunciato dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, secondo cui l’espropriazione deve sempre avvenire in “buona e debita forma”, comporta che l’illecito spossessamento del privato da parte della p.a. e l’irreversibile trasformazione del bene per la costruzione di un’opera pubblica non danno luogo, anche quando vi sia stata dichiarazione di pubblica utilità, all’acquisto dell’area da parte dell’Amministrazione, sicchè il privato ha sempre diritto a chiederne la restituzione, a meno che non decida di abdicare al suo diritto e chiedere il risarcimento del danno per equivalente, Cass. Sez. U n. 735-15).

4. Il quarto motivo è infondato, in quanto non si era formato alcun giudicato interno sulla statuizione di condanna del giudice di primo grado in favore dell’interveniente L.G., per le spese da questi sostenute per il completamento del piano terra del fabbricato, avendo l’appellante Comune censurato tale capo, nell’ambito del quarto motivo di appello, assumendo che alcuna dimostrazione era stata offerta delle spese suddette, come riscontrato dal Collegio, a seguito di verifica degli atti (nel corpo del quarto motivo dell’atto di appello, alle pagg. 12-13).

4. Per tutto quanto sopra esposto, in accoglimento del secondo motivo di ricorso (riferibile alla sola posizione di L.O.), respinti gli altri motivi, va cassata la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’appello di Napoli in diversa composizione. Il giudice del rinvio provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso, respinti gli altri motivi, cassa la sentenza impugnata, con rinvio, anche in ordine alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 7 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 gennaio 2020

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