Responsabilità dell'appaltatore, difetti dell'opera, esclusioni e limitazioni, conseguenze dell'inesatto adempimento

Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.31975 del 17/11/2023

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Responsabilità dell'appaltatore, difetti dell'opera, esclusioni e limitazioni, conseguenze dell'inesatto adempimento

La responsabilità dell'appaltatore nei confronti del committente per i difetti dell'opera a norma degli artt. 1667 e 1668 c.c. non ammette esclusioni (salvo quelle dipendenti dall'accettazione senza riserve dell'opera e del venir meno della garanzia per effetto di decadenza) e neppure limitazioni, dato che l'art. 1668 c.c., comma 1, pone a carico dell'appaltatore tutte le conseguenze dell'inesatto adempimento, obbligandolo a sopportare l'onere integrale dell'eliminazione dei vizi.

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Cassazione civile, sez. II, Ordinanza 17/11/2023 (ud. 25/10/2023) n. 31975

RITENUTO IN FATTO


1. Il Tribunale di Civitanova Marche - decidendo su una domanda proposta dalla Immobiliare Royal s.r.l. per ottenere il risarcimento dei danni, da parte della convenuta appaltatrice Italprefabbricati s.p.a., in relazione ai vizi presenti in una struttura prefabbricata adibita a capannone industriale, sito in (Omissis) - la dichiarava inammissibile poiché tra le parti era stata prevista nel contratto di appalto (all'art. 8) un'apposita clausola compromissoria per effetto della quale ogni conseguente controversia doveva essere devoluta ad un collegio arbitrale. Quest'ultimo veniva, perciò, di seguito adito dalla società attrice e lo stesso, con lodo pronunciato e sottoscritto in (Omissis), accoglieva solo parzialmente la domanda, riconoscendo alla Immobiliare Royal s.r.l. il risarcimento dei danni nella (ridotta, rispetto a quella pretesa) misura di Euro 28.633,30.

2. Il lodo veniva impugnato dalla stessa Immobiliare Royal s.r.l. (che non si era vista accolta la formulata domanda per intero) per asserita violazione degli artt. 1223,2697 e 2056 c.c., nonché per dedotta violazione dell'art. 1669 c.c., oltre che per violazione dell'art. 1668 c.c.

In sostanza, con detti motivi, la citata società denunciava che il collegio arbitrale avrebbe dovuto riconoscere il diritto di essa committente alla eliminazione di tutti i vizi e difetti a spese dell'appaltatrice (con rifacimento del manto di copertura dalla quale si erano propagate plurime infiltrazioni negli ambienti sottostanti), non potendo su di essa incombere la prova dell'ammontare delle spese necessarie, con la conseguente condanna della Italprefabbricati s.p.a. al risarcimento dei danni nell'importo o di Euro 143.168,86 (come qualificato in sede di a.t.p.) o in quello di Euro 118.855,05 (indicato dal c.t.u.).

Si costituiva in giudizio la menzionata società appaltatrice, la quale eccepiva, in via pregiudiziale, l'inammissibilità dell'impugnazione del lodo per doversi quest'ultimo qualificare come irrituale e, nel merito, deduceva l'infondatezza del gravame.

Con sentenza n. 1976/2018 (pubblicata il 24 ottobre 2018), la Corte di appello di L'Aquila, ritenendo previamente che nel caso di specie ci si trovava in presenza di un arbitrato rituale, nondimeno rigettava l'appello nel merito, considerando che il lodo arbitrale, facendo proprie le conclusioni del nominato c.t.u., aveva correttamente condannato l'appellata al pagamento della somma corrispondente all'importo esborsato per le spese già sostenute dall'appellante al fine di procedere alle riparazioni dei difetti del fabbricato, dovendosi ritenere tali spese esaustive dei danni subiti e le stesse riparazioni eseguite sufficienti ad eliminare i vizi dell'opera come riscontrati.

Osservava la Corte abruzzese che tale ragionamento non risultava in contrasto con gli artt. 1223 e 2056 c.c., né con la disciplina sull'onere probatorio, in quanto qualsiasi ulteriore danno rispetto a quello accertato dal c.t.u. e dallo stesso quantificato doveva essere provato dalla richiedente (quindi dalla parte appellante). Aggiungeva detta Corte che non risultavano violati né l'art. 1668 c.c. (poiché era emersa la correttezza della determinazione delle spese sostenute per l'eliminazione dei vizi), né l'art. 1669 c.c., dal momento che il lodo arbitrale si era limitato - nel rispetto di tale norma - a stabilire e garantire il risarcimento consistente solo nelle spese necessarie ad ovviare ai vizi e ai difetti dell'opera, fatta salva - come già precisato - la prova di danni ulteriori non riscontrati all'esito della svolta c.t.u.

3. Avverso la sentenza della Corte d'Appello ha proposto ricorso per cassazione, sulla base di un unico complesso motivo, la Immobiliare Royal s.r.l.

Ha resistito con controricorso l'intimata IP Trasporti s.r.l. (già Italprefabbricati s.p.a).

Con proposta formulata ai sensi del nuovo art. 380-bis c.p.c. il consigliere delegato rilevava la manifesta infondatezza del ricorso.

La parte ricorrente ha chiesto - nel termine e con le modalità previste dallo stesso articolo - la decisione del ricorso, con conseguente fissazione della relativa adunanza camerale, in prossimità della quale la difesa della ricorrente ha depositato anche memoria.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con l'articolato motivo proposto, la ricorrente ha denunciato - ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 - la violazione e falsa applicazione degli artt. 1223,1668,1669 e 2697 c.c., sostenendo l'erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui non aveva riconosciuto il risarcimento del danno, a carico dell'allora Italprefabbricati s.p.a., in misura corrispondente alla situazione economica in cui essa ricorrente si sarebbe venuta a trovare se il contratto fosse stato esattamente adempiuto, senza peraltro tener conto - ai fini dell'assolvimento dell'onere probatorio - delle risultanze emergenti dalla relazione dell'ATP (svolto nell'immediatezza dei fatti dedotti in giudizio), la cui relazione era stata acquisita nel giudizio arbitrale e su cui si era basata anche la c.t.u.

Pertanto, ha puntualizzato la ricorrente, la sentenza deve considerarsi illegittima dal momento che la Italprefabbricati s.p.a. avrebbe dovuto essere condannata al rimborso della somma indicata dal c.t.u. per l'eliminazione definitiva della causa delle infiltrazioni meteoriche, nel "quantum" specificato nel computo metrico ("costi-riparazioni") di cui all'allegato "B" della relazione depositata a chiarimenti dal c.t.u. e per la precisione nell'importo di Euro 92.819,66 (occorrente per la rimozione del manto di copertura impermeabile, al suo rifacimento e alla successiva tinteggiatura).

2. Rileva il collegio che il motivo è fondato.

Si osserva, sul piano generale, che, in tema di risarcimento dei danni riconducibili all'azione esperita ai sensi degli artt. 1668 e 1669 c.c., essi devono essere comprensivi - avuto riguardo al combinato disposto degli artt. 1223 e 1668 c.c. - non solo delle spese sopportate per ovviare temporaneamente agli inconvenienti accertati (come, nella specie, quelli relativi alla sola impermeabilizzazione provvisoria della guaina), ma anche di quelle che consentano il risarcimento dell'intero pregiudizio subito mediante l'eliminazione definitiva dei difetti costruttivi riscontrati (che, nel caso in questione, richiedeva il rifacimento integrale del manto di copertura), in modo tale da garantire - nella vicenda qui in esame - il pieno e stabile godimento del capannone industriale oggetto del contratto di appalto e, quindi, la sua effettiva corrispondenza alla struttura e alla destinazione concordate.

In altri termini (e a questo principio dovrà uniformarsi il giudice di rinvio), la responsabilità dell'appaltatore nei confronti del committente per i difetti dell'opera a norma degli artt. 1667 e 1668 c.c. non ammette esclusioni (salvo quelle dipendenti dall'accettazione senza riserve dell'opera e del venir meno della garanzia per effetto di decadenza) e neppure limitazioni, dato che l'art. 1668 c.c., comma 1, pone a carico dell'appaltatore tutte le conseguenze dell'inesatto adempimento, obbligandolo a sopportare l'onere integrale dell'eliminazione dei vizi (cfr. Cass. n. 4161/2015), onde, nel caso in cui le spese sostenute dal committente per il suo intervento riparatorio non abbiano consentito la suddetta eliminazione con superamento definitivo del pregiudizio lamentato, l'appaltatore è tenuto a sopportare l'intero peso economico che sia idoneo a garantire il risultato preventivamente concordato con l'esatta esecuzione del contratto di appalto e, quindi, con riferimento alla fattispecie, con la costruzione del capannone a regola d'arte (v. Cass. n. 19103/2012), ovvero rispettando i necessari criteri edilizi in modo tale da evitare la propagazione nel tempo di fenomeni infiltrativi e, quindi, con interventi definitivamente risolutivi della causa e non con l'apporto di misure "tampone" inidonee a garantire tale risultato.

Peraltro, è risaputo (cfr., ad es., Cass. n. 21269/2009) che il committente, il quale agisce nei confronti dell'appaltatore ai sensi dell'art. 1668 c.c. per il risarcimento dei danni derivati da vizi o difformità dell'opera, non è tenuto a dimostrare la colpa dell'appaltatore medesimo, in quanto, vertendosi in tema di responsabilità contrattuale, tale colpa è presunta fino a prova contraria, con la conseguenza che, assolto da parte del committente l'onere di provare l'esistenza dei difetti, sorge a carico dell'appaltatore l'onere di provare che la cattiva esecuzione dell'opera sia stata determinata dall'impossibilità di un esatto adempimento della prestazione derivante da causa ad essa non imputabile, onere - nella fattispecie - non assolto dall'allora Italprefabbricati s.r.l..

Orbene, avuto riguardo all'onere della prova dei maggiori danni assunti come subiti dalla committente, non essendo sufficienti gli interventi meramente riparatori dalla stessa eseguiti con la mera impermeabilizzazione della guaina, deve evidenziarsi che la Corte di appello è incorsa nella denunciata violazione dell'art. 2697 c.c., dal momento che - proprio per la tipologia di azione instaurata - la ricorrente, a mezzo dell'esperito ATP svoltosi nell'immediatezza della rilevazione della situazione dannosa, aveva offerto il riscontro probatorio di quali fossero gli interventi necessari, oltre che all'eliminazione provvisoria dei danni immediatamente percepiti, ed idonei al ripristino integrale del manto di copertura del capannone (come struttura prefabbricata) onde consentire di ovviare in via definitiva ai vizi costruttivi e garantire la conformità del capannone stesso a quello oggetto del contratto, e, quindi, alla sua destinazione e al suo godimento pieno ed effettivo.

Del resto, lo stesso c.t.u. - che aveva espletato il suo mandato a distanza di circa dieci anni dall'accadimento dei fatti - aveva determinato il costo dei lavori necessari all'eliminazione permanente ed effettiva dei vizi riscontrati sulla base di una valutazione complessiva di Euro 92.819,66, senza considerare la somma indicata di Euro 28.633,30 per le spese già sostenute per l'esecuzione dei primi interventi atti, per quanto possibile, ad evitare, nell'immediato, la prosecuzione dei fenomeni infiltrativi, così rimanendo, in sostanza, confermato quanto già constatato e computato in sede di ATP.

Senonché la Corte di appello (v. pag. 12 della sentenza impugnata) ha erroneamente ritenuto che, sulla base della stessa c.t.u. e malgrado le infiltrazioni fossero in corso ancora al momento del sopralluogo, gli interventi effettuati dall'attuale ricorrente con la spesa di Euro 28.633,30 si potessero considerare esaustivi dei danni subiti dalla committente e che le riparazioni eseguite fossero, quindi, sufficienti ad eliminare i vizi dell'opera riscontrata; ciò nonostante la presenza di infiltrazioni ancora visibili, con riferimento alle quali - ad avviso della Corte di appello (recependo le considerazioni del c.t.u.) - sarebbe stato necessario garantire nel tempo (solo) necessari interventi a carattere manutentorio (tenendo conto, peraltro, della particolare configurazione del plesso immobiliare).

Ma proprio questo passaggio argomentativo dimostra che i difetti e i vizi dell'opera (riscontrati in sede di ATP ma, in sostanza, confermati anche in sede di c.t.u.) realizzata dalla ditta appaltatrice (se addirittura a distanza di tempo continuavano a manifestarsi fenomeni infiltrativi) erano ancora presenti (e, quindi, non definitivamente eliminati) e che non era stata, quindi, riconosciuta a carico della stessa la responsabilità per il suo inadempimento totale, da cui sarebbe dovuta derivare la sua condanna all'approntamento di tutte le misure idonee a garantire l'eliminazione effettiva e risolutiva dei difetti costruttivi idonei ad impedire, in via definitiva, la prosecuzione delle infiltrazioni (ancora in atto).

Ciò, in altri termini, significa che era necessario provvedere - con l'esborso delle spese complessive necessarie da parte della Italprefabbricati s.p.a. - al rifacimento dell'intera area del manto impermeabile (previa rimozione di quello precedente affetto da vizi), non essendosi dimostrato sufficiente il mero intervento sulla guaina impermeabilizzante, tenendosi, peraltro, conto che le consistenti infiltrazioni meteoriche verificatesi avevano interessato (v. pagg. 10 e 11 della sentenza qui impugnata) tutto il primo piano, le parti prospicienti i due terrazzi e altri locali centrali fino al piano terreno, ragion per cui solo il suddetto rifacimento avrebbe potuto eliminare "in toto" e in modo duraturo nel tempo i vizi riscontrati (cfr., per idonei riferimenti, Cass. n. 104/1981 e Cass. n. 7061/2002).

3. In definitiva, per le complessive ragioni esposte, il ricorso deve essere accolto, con la conseguente cassazione della sentenza impugnata ed il derivante rinvio della causa per nuovo esame alla Corte di appello di L'Aquila, in diversa composizione, che, oltre ad uniformarsi al principio di diritto in precedenza enunciato, provvederà a regolare anche le spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di appello di L'Aquila, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile della Corte di cassazione, il 25 ottobre 2023.

Depositato in Cancelleria il 17 novembre 2023.

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