LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PERRINO Angelina M. – Presidente –
Dott. CATALLOZZI Paolo – rel. Consigliere –
Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –
Dott. MUCCI Roberto – Consigliere –
Dott. DI NAPOLI Marco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12702/2013 R.G. proposto da:
– la C.P.C. – Costruzione Prefabbricati Cemento s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. Salvatore Taverna e Anna Stefanini, con domicilio eletto presso il loro studio, sito in Roma, viale Regina Margherita, 262/264
– ricorrente, controricorrente in via incidentale –
contro
Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
– controricorrente, ricorrente in via incidentale –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia, n. 170/30/127 depositata il 23 ottobre 2012.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17 ottobre 2019 dal Consigliere Paolo Catallozzi.
RILEVATO
CHE:
– la c.p.C. – Costruzione Prefabbricati Cemento s.p.a. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia, depositata il 23 ottobre 2012, che, in parziale accoglimento dell’appello dell’Ufficio, ha dichiarato legittimo l’avviso di accertamento impugnato limitatamente ai ricavi non dichiarati e costi non inerenti per complessivi Euro 550.254,00, confermando, per il resto, l’annullamento dell’atto;
– dall’esame della sentenza impugnata si evince che con l’atto impositivo impugnato l’Ufficio aveva contestato l’omessa contabilizzazione di ricavi, la indebita di costi non inerenti e l’omessa n.d.r., nonchè l’indebita utilizzazione di un fondo in sospensione di imposta;
– il giudice di appello, dopo aver dato atto che la Commissione provinciale aveva accolto il ricorso in ragione della mancata risposta dell’Ufficio all’istanza di accertamento con adesione, ha parzialmente accolto il gravame dell’Ufficio, limitatamente ai rilievi concernenti l’omessa contabilizzazione dei ricavi e del n.d.r. l’indebita deduzione dei costi non inerenti, ritenendo sul punto corretto l’operato dell’Amministrazione finanziaria, mentre ha confermato l’illegittimità del rilievo relativo all’utilizzazione di un fondo in sospensione di imposta, in considerazione dell’assenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 52, e del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 33, invocati dall’Ufficio;
– il ricorso è affidato a cinque motivi;
– resiste l’Agenzia delle Entrate con controricorso e spiega ricorso incidentale affidandolo ad un unico motivo;
– in relazione al ricorso incidentale la società resiste con controricorso;
– il pubblico ministero conclude chiedendo la reiezione del ricorso principale e l’accoglimento di quello incidentale;
– la ricorrente principale deposita, poi, memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..
CONSIDERATO
CHE:
– non ricorrono gli estremi per la sollecitata trattazione del ricorso in pubblica udienza, in quanto, anche in considerazione della consolidata giurisprudenza formatasi sul punto, le questioni sollevate non presentano particolare rilevanza;
– ciò posto, con il primo motivo di ricorso la contribuente denuncia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218, art. 6, e del L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12, comma 7, nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, per aver la sentenza impugnata ritenuto che l’omessa convocazione per il contraddittorio con l’Ufficio, a seguito della sua istanza di accertamento con adesione, non costituisse causa di nullità dell’atto impugnato;
– quanto al prospettato vizio per violazione di legge, il motivo è infondato;
– in tema di accertamento con adesione, la mancata convocazione del contribuente, a seguito della presentazione dell’istanza D.Lgs. n. 218 del 1997, ex art. 6, non comporta la nullità del procedimento di accertamento adottato dagli Uffici, non essendo tale sanzione prevista dalla legge (cfr. Cass., Sez. Un., 17 febbraio 2010, n. 3676; successivamente, in tal senso, Cass., ord., 11 gennaio 2018, n. 474);
– si evidenzia, inoltre, che, in tema di tributi armonizzati, la violazione dell’obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, laddove non previsto dalla normativa nazionale, comporta l’invalidità dell’atto solo nel caso in cui – non ricorrente nella specie – il contribuente assolva all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere (cfr. Cass., sez. un., 9 dicembre 2015, n. 24823; vedi, successivamente, Cass. 15 gennaio 2019, n. 701);
– inammissibile è, invece, il vizio motivazionale denunciato con il medesimo motivo di ricorso, in difetto della specifica indicazione del fatto storico il cui esame sarebbe stato omesso dalla Commissione regionale;
– con il secondo motivo la ricorrente deduce, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, e dell’art. 2700 c.c., nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, per aver il giudice di appello ritenuto che i dati contenuti nel processo verbale di constatazione, trasfusi nell’avviso di accertamento, costituissero prova adeguata dei maggiori ricavi asseritamente non contabilizzati;
– il motivo è inammissibile, in quanto si risolve nella censura della valutazione degli elementi probatori operata dal giudice di appello, che non può trovare ingresso in questa sede in quanto la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale e non può riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa (cfr. Cass. 28 novembre 2014, n. 25332; Cass., ord., 22 settembre 2014, n. 19959);
– sotto altro aspetto, si osserva che inconferente è il richiamo operato dalla parte all’ambito oggettivo dell’atto pubblico su cui cadono gli effetti di cui all’art. 2700 c.c., in quanto la Commissione regionale non ha attribuito alcuna valenza probatoria fidefacente agli atti dell’Amministrazione finanziaria;
– con il terzo motivo la società si duole, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, della violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e dell’art. 2727 e 2729 c.c., nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, per aver la sentenza impugnata ritenuto corretti i recuperi operati dall’Ufficio, benchè fondati su presunzioni prive del carattere della gravità, precisione e concordanza;
– il motivo è inammissibile, in quanto muove dall’assunto dell’assenza di presunzioni gravi, previse e concordanti fondanti la rettifica della dichiarazione, laddove la sentenza di appello non ha accertato la ricorrenza di una siffatta circostanza, nè ha palesato elementi fattuali da cui poter desumere l’utilizzo di presunzioni prive di siffatti caratteri;
– orbene, il vizio di violazione o falsa applicazione di legge non può che essere formulato se non assumendo l’accertamento di fatto, così come operato dal giudice del merito, in guisa di termine obbligato, indefettibile e non modificabile del sillogismo tipico del paradigma dell’operazione giuridica di sussunzione, là dove, diversamente (ossia ponendo in discussione detto accertamento), si verrebbe a trasmodare nella revisione della quaestio facti e, dunque, ad esercitarsi poteri di cognizione esclusivamente riservati al giudice del merito (cfr. Cass., ord., 13 marzo 2018, n. 6035; Cass., 23 settembre 2016, n. 18715);
– sotto altro aspetto, la parte deduce un vizio motivazionale, in relazione all’omesso esame del contenuto della consulenza di parte prodotta in giudizio, che si presenta inammissibile per difetto di specificità, in mancanza dell’indicazione dei fatti che la Commissione regionale avrebbe mancato di prendere in considerazione;
– con il quarto motivo il ricorrente critica la sentenza di appello, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 7 e 58, e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in relazione alla mancata nomina di un consulente tecnico d’ufficio;
– il motivo è inammissibile, poichè il giudizio sulla necessità ed utilità di disporre una consulenza tecnica d’ufficio rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, la cui decisione è, di regola, incensurabile in Cassazione, tanto più allorchè il giudice disponga di elementi istruttori e di cognizioni proprie, integrati da presunzioni e da nozioni di comune esperienza, sufficienti a dar conto della soluzione adottata (cfr. Cass. 8 febbraio 2019, n. 3717; Cass. 2 dicembre 2005, n. 26264);
– con l’ultimo motivo di ricorso la contribuente lamenta, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione del T.U. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 109, nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, per aver il g ce di appello escluso la deducibilità di costi e la de ai a e i.v.a. per carenza del requisito dell’inerenza;
– contesta, in particolare, la sentenza di secondo grado per aver ritenuto che non era stata fornita alcuna dimostrazione “circa l’inerenza o la strumentalità degli acquisti contestati e recuperati dall’ufficio…”;
– il motivo è inammissibile, risolvendosi in una censura alla valutazione del materiale probatorio effettuato dal giudice di merito;
– con l’unico motivo cui è affidato il ricorso incidentale l’Agenzia allega l’insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine alla produzione documentale che sarebbe stata omessa in sede di verifica;
– il motivo è inammissibile, in quanto non ha per oggetto un fatto storico, bensì una questione giuridica relativa agli effetti della mancata esibizione di documentazione e comunque n.d.r., art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile;
– pertanto, per le suesposte considerazioni, nè il ricorso principale, nè quello incidentale possono essere accolti;
– in considerazione della reciproca soccombenza delle parti appare opportuno disporre l’integrale compensazione delle spese processuali tra le parti;
– sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, comma 1-bis dell’art. 13.
PQM
La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale; compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a, titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 17 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2020