Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.537 del 15/01/2020

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – rel. Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 22788/2018 proposto da:

M.E., T.N., elettivamente domiciliati in Roma alla via Antonio Locatelli n. 1, presso lo studio dell’AVVOCATO ROBERTO VALENTINO che li rappresenta e difende unitamente all’AVVOCATO CARLO SARRO;

– ricorrente –

contro

D.M.L., S.A., S.L.;

– intimate –

avverso la sentenza n. 05193/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 19/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 24/10/2019 da Dott. Cristiano Valle.

FATTI DI CAUSA

La Corte di Appello di Napoli, Sezione specializzata per le controversie agrarie, con sentenza n. 05193/2017, depositata il 19/01/2018, ha rigettato l’impugnazione proposta da M.E. e T.N. avverso la sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, Sezione specializzata per le controversie agrarie, che aveva rigettato la domanda di riscatto agrario proposta dagli stessi nei confronti di D.M.L., quale acquirente ed S.A. e L., quali alienanti, relativamente ai fondi siti in agro di *****, al N. C.T. alle particelle ***** del foglio *****, entrambi di superficie di metri quadrati tremilaquattrocentosessantanove, da essi condotti in affitto da lungo tempo e che erano stati compravenduti con atto pubblico del 16/10/2007, in carenza della rituale comunicazione ad essi coltivatori diretti.

Avverso la sentenza della Corte territoriale ricorrono con sei motivi di ricorso, assistiti da memoria, M.E. e T.N..

D.M.L., S.A. e L. sono rimaste intimate.

Il P.G. non ha depositato conclusioni.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il primo motivo fa vare violazione e falsa applicazione della L. 26 maggio 1968, n. 590, art. 8 e della L. 11 febbraio 1990, n. 29, art. 26. Il motivo denuncia l’errata dichiarazione di incompetenza operata dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere a favore della Sezione specializzata agraria ed afferma che la declinatoria d’incompetenza era stata operata sulla base di una errata interpretazione della domanda riconvenzionale proposta da D.M.L..

Il motivo è inammissibile: il provvedimento del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, originariamente adito, che declinava la competenza a favore della Sezione specializzata agraria in quanto pronuncia sulla sua competenza doveva essere impugnata, necessariamente, con regolamento di competenza, ai sensi dell’art. 42 c.p.c..

Non essendovi stata alcuna rituale impugnativa sul punto la competenza della Sezione specializzata agraria si era definitivamente radicata e non poteva, quindi, essere oggetto di ulteriore cognizione nelle fasi successive del giudizio (si vedano sul punto Cass. n. 25686 del 27/10/2017 Rv. 646833 – 01 e n. 00250 del 11/01/2006 Rv. 587108 – 01).

Il secondo mezzo concerne nullità dei capi della sentenza della Corte di Appello circa l’affermato mancato raggiungimento della prova del possesso dei requisiti soggettivi ed oggettivi, in particolare dimensionali per l’esercizio del diritto di retratto e si articola in due distinti profili, di cui il primo attiene a violazione e falsa applicazione degli artt. 167 e 416,113,115 e 116 c.p.c., ed il secondo ad ulteriori profili di violazione e falsa applicazione delle stesse norme e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.

Il motivo in scrutinio afferma che la Corte territoriale, applicando malamente le norme processuali in tema di fissazione della materia del contendere sin dagli atti introduttivi del giudizio, di non contestazione e di libero convincimento del giudice, non ha adeguatamente valorizzato la non contestazione dei requisiti soggettivi per l’esercizio del retratto agrario da parte dei convenuti, che nella prima fase del giudizio non avevano messo in alcun modo in dubbio la ricorrenza degli stessi e comunque li avevano solo genericamente contestati.

Il motivo è infondato. Il risalente orientamento di questa Corte (Cass. n. 21075 del 19/10/2016 Rv. 642939 – 01), dalla quale il Collegio non ritiene di discostarsi, afferma che: “L’onere di contestazione in ordine ai fatti costitutivi del diritto si coordina con l’allegazione dei medesimi e, considerato che l’identificazione del tema decisionale dipende in pari misura dall’allegazione e dall’estensione delle relative contestazioni o non contestazioni, ne consegue che l’onere di contribuire alla fissazione del “thema decidendum” opera identicamente rispetto all’una o all’altra delle parti in causa, sicchè, a fronte di una generica deduzione da parte del ricorrente, la difesa della parte resistente non può che essere altrettanto generica, e pertanto idonea a far permanere gli oneri probatori gravanti sulla controparte. (Nella specie la S.C. ha ritenuto che il coltivatore di un fondo rustico, il quale aveva genericamente allegato di possedere tutti i requisiti previsti dalla legge per l’esercizio del retratto agrario, non poteva ritenersi liberato dall’onere di provarne la sussistenza, e ciò anche in presenza di una generica contestazione sul punto da parte del convenuto)”.

L’affermazione da ultimo riportata è oramai risalente ed esonera il giudice, nel caso di inadeguata allegazione e prova dei requisiti soggettivi di cui alla L. n. 590 del 1965, da ogni ulteriore iniziativa di sollecitazione della parte (Cass. n. 07253 del 22/03/2013 Rv. 625884 – 01) “Il coltivatore di fondo rustico, che, allegando la violazione del suo diritto di prelazione, ai sensi della L. 26 maggio 1965, n. 590, art. 8, intenda esercitare il retratto agrario, ha l’onere di provare il possesso di tutti i requisiti soggettivi e oggettivi previsti dalla legge, dovendo il giudice verificarne la sussistenza, sia pure nei limiti delle contestazioni sollevate dalla controparte, con la conseguenza che, ove il medesimo giudice si sia convinto che il retraente non abbia fornito adeguata prova di alcuna tra le suddette condizioni, ben può omettere ogni ulteriore esame in ordine alla ricorrenza degli altri elementi”.

Il motivo è, altresì, inammissibile laddove denuncia che la sentenza d’appello avrebbe svuotato di contenuto la consulenza tecnica di parte da essi prodotta in fase di appello e concernente l’adeguatezza della forza lavoro necessaria alla coltivazione dei fondi. La Corte territoriale ha, infatti, affermato che la consulenza tecnica di parte non poteva essere utilizzata al fine di introdurre nel processo fatti non dedotti e non provati in primo grado e, quindi, per superare preclusioni già verificatesi.

Il secondo motivo di ricorso, nei suoi duplici profili prospettati è, pertanto, infondato.

Il terzo mezzo propone violazione e falsa applicazione dell’art. 437 c.p.c., comma 2 e deduce che la Corte territoriale non aveva ammesso la consulenza tecnica di ufficio richiesta ritualmente.

Il motivo è inammissibile, in quanto attiene a valutazione di merito, correttamente ed esaustivamente effettuata dalla Corte di appello, che ha rilevato che il requisito di cui alla L. n. 590 del 1965, della sussistenza di una adeguata forza lavoro della famiglia dei retraenti non risultava provato sulla base dell’indagine testimoniale e documentale espletata in primo grado, stante la carenza di allegazioni circa il grado di meccanizzazione dell’azienda originaria condotta dai retraenti.

La Corte territoriale ha rilevato che dall’indagine testimoniale era emerso che i M. – T., con l’ausilio delle tre figlie, una delle quali ancora studentessa, avevano un’azienda agricola di allevamento di un numero notevole di capi bovini (centodiciannove bufale da latte) con la conseguenza che il requisito della idonea forza lavoro anche in relazione ai fondi oggetto della domanda di retratto agrario non risultava comprovato, nè poteva essere corroborato con la sola produzione della consulenza di parte, effettuata soltanto in grado di appello e non poteva, quindi, come già tratteggiato, rimuovere preclusioni probatorie maturate in primo grado. La sentenza in scrutinio ha, inoltre, rilevato l’insufficienza delle informazioni fornite dai retraenti a mezzo di una consulenza tecnica di parte, prodotta sin dal primo grado di giudizio, che prendeva in esame soltanto i fondi oggetto della domanda di retratto e non l’intero compendio che si sarebbe venuto a costituire nel caso di accorpamento ad essi dei fondi già condotti dai M. – T..

Il terzo motivo è, quindi, inammissibile, per difetto di adeguate censure ed in quanto attinente a valutazioni di merito.

Il quarto motivo è proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, con riferimento al requisito previsto dalla L. n. 590 del 1965, art. 8, della mancata alienazione di fondi da parte dei retraenti nel biennio precedente.

Il quinto mezzo è anch’esso proposto per omesso esame di fatto decisivo, costituito dal requisito normativo della qualifica di affittuari agrari in capo ad essi ricorrenti.

Il sesto ed ultimo motivo afferma violazione e falsa applicazione degli artt. 88,91 e 92 c.p.c. e deduce che la Corte territoriale ha applicato la sola regola della soccombenza senza valutare il comportamento processuale delle controparti.

Il quarto ed il quinto motivo sono assorbiti dalla statuizione sul secondo ed il terzo, in quanto sostanzialmente reiterativi di profili di censura mossi nei detti motivi.

Il sesto motivo attiene alle spese di lite, che sono state poste a carico del M. e della T. in applicazione, rituale, in quanto gli stessi risultavano soccombenti, della previsione di cui all’art. 91 c.p.c. (Cass. n. 14542 del 04/07/2011 Rv. 618601 – 01 che afferma l’impugnabilità in cassazione della violazione della regola della soccombenza o dei parametri per la liquidazione).

Il ricorso è, pertanto, rigettato.

Nulla per le spese di lite essendo le controparti rimaste intimate.

La natura agraria della controversia, quantomeno nelle fasi di merito e segnatamente in primo grado, preclude che debba darsi atto dei presupposti per n’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, ai fini del raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

rigetta il ricorso;

nulla spese;

rilevato che dagli atti il processo risulta esente, non si applica il D.P.R. n. 15 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, Sezione Terza Civile, il 24 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2020

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