LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –
Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –
Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –
Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –
Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 28550-2018 proposto da:
T.S., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MASSIMO IGOR CONSORTINI;
– ricorrente –
contro
E.R., E.A., elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato FRANCO UGGETTI;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 1382/2017 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 13/07/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 03/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott. PELLECCHIA ANTONELLA.
RILEVATO
che:
1. Nel 2009, T.S. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Catania, E.R. e E.A., al fine di sentirli condannare al risarcimento di tutti i danni subiti a seguito di affermazioni calunniose ed infamanti che avevano arrecato grave alla sua reputazione.
Esponeva che nel corso di alcuni giudizi promossi dinanzi al Pretore del Lavoro per ottenere la condanna della E. Legno di E.E. & C. al pagamento di somme pretese in virtù del rapporto di agenzia con la ditta, la E. Legno aveva attribuito al T. fatti che avevano arrecato grave danno alla sua reputazione.
Si costituiva in giudizio E.A. e E.R., eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva e chiedendo il rigetto della domanda attrice, in quanto infondata in fatto ed in diritto.
Il Tribunale, con sentenza n. 257/2012, rigettava la domanda attrice e condannava il T. al rimborso delle spese processuali.
2. Avverso tale decisione T.S. proponeva appello.
La Corte d’appello di Catania con sentenza n. 1382 del 13/07/2017, confermando la decisione impugnata, rigettava l’appello e condannava T.S. a rifondere, in favore di E.A. e E.R., le spese del giudizio.
La Corte ha ritenuto che a fronte di generiche allegazioni afferenti la divulgazione di notizie calunniose sul conto di T., la contestazione operata dai convenuti, secondo cui “le offese, se esistenti sono sempre state proferite negli scritti della E. Legno s.n.c.”, era sufficiente per non considerare applicabile il principio di non contestazione, poichè alla luce della delle Sezioni Unite n. 12065/2014, il grado di specificità della contestazione è strettamente correlato e proporzionato al livello di specificità del contenuto della allegazione. Inoltre, la Corte ha ritenuto non provata la diffusione di notizie diffamatorie nell’ambito lavorativo dedotta dall’attore. Ha rigettato anche la richiesta di sostituzione del teste inizialmente indicato in quanto l’avvenuto decesso dello stesso si è verificato diversi mesi prima della celebrazione dell’udienza e quindi ben avrebbe potuto chiedere già a quella data la sostituzione del teste.
3. T.S. propone ricorso in cassazione, sulla base di quattro motivi. E.R. e E.A. resistono con controricorso.
4. E’ stata depositata in cancelleria ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., e regolarmente notificata ai difensori delle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza, la proposta di inammissibilità del ricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO
che:
5. A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, reputa il Collegio, con le seguenti precisazioni, di condividere la proposta del relatore.
6.1. Con il primo motivo di ricorso, parte ricorrente lamenta la violazione di legge ex art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione all’applicazione dell’art. 115 c.p.c..
La Corte avrebbe errato nel dichiarare le circostanze dedotte dal T. in atto di citazione come generiche e, in ogni caso, avrebbe dovuto dichiarare la mancata contestazione in ordine alle stesse da parte dei convenuti per non incorrere alla violazione dell’art. 115 c.p.c.. Di conseguenza, avrebbe dovuto dichiarare la sussistenza di un danno patrimoniale conseguente alla diffusione di tali voci ed avrebbe dovuto ammettere i mezzi istruttori richiesti per accertare e quantificare i danni subiti dal T. in conseguenza della illecita diffusione dei fatti o in via subordinata liquidare il danno patrimoniale, biologico e morale nella misura ritenuta di giustizia.
6.2. Con il secondo motivo, la parte ricorrente denuncia la violazione di legge ex art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione all’applicazione degli artt. 244,245 e 257 c.p.c., artt. 24 e 111 Cost..
La Corte avrebbe dovuto autorizzare la sostituzione del testimone deceduto o in via subordinata avrebbe dovuto sollevare la questione di legittimità costituzionale degli artt. 244,245 e 257 c.p.c. per violazione degli artt. 24 e 111 Cost. nella parte in cui non ammettono la possibilità per la parte di chiedere la sostituzione del teste deceduto.
6.3. Con il terzo motivo, parte ricorrente si duole della violazione di legge ex art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione all’applicazione degli artt. 2043,2059 e 2697 c.c., degli artt. 163,183,112c.p.c. nonchè degli artt. 2 e 24 Cost.
Il Giudicante avrebbe errato nel ritenere non sussistente la legittimazione passiva in capo a E.R. e E.A. a seguito del disconoscimento del corso del giudizio, sul presupposto che, la persona giuridica, non solo possa costituire centro di imputazione di illeciti civili, ma che la stessa possa procedere al disconoscimento della sottoscrizione di tutti gli organi rappresentativi, e, dunque, di tutti coloro che abbiano potere di firma.
Afferma il ricorrente che quanto sostenuto dalla Corte avrebbe avuto rilevanza nella diversa ipotesi di disconoscimento della sottoscrizione effettuato da un legale rappresentante diverso dal soggetto che ha apposto la firma disconosciuta, non quando la firma sia apposta da loro stessi.
La Corte avrebbe dovuto dichiarare, inoltre, che la messa a disposizione di scritture di comparazione al C.T.U. costituisca comportamento incompatibile con il riconoscimento della paternità delle sottoscrizioni e che tale comportamento successivo al disconoscimento, avvenuto in sede processuale, costituisca un fatto illecito, fonte di danno risarcibile.
6.4. Con il quarto motivo, parte ricorrente denuncia la violazione di legge ex art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione all’applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c..
La Corte territoriale avrebbe dovuto condannare i convenuti alla refusione delle spese di lite o, in subordine, avrebbe dovuto disporre la compensazione delle stesse.
7. Il ricorso è inammissibile.
La Corte di Appello di Catania ha ritento non provata da parte del ricorrente la diffusione di notizie nell’ambito lavorativo del T. nè comunque la riferibilità agli appellanti di quella che astrattamente poteva concretizzare una condotta diffamatoria. Tale ratio decidendi non è stata adeguatamente censurata e conseguentemente è passata in giudicato, ed è assorbente dei restanti motivi di ricorso che, tra l’altro, si limitano a prospettare, in realtà, in maniera generica ed attraverso una superficiale esposizione della vicenda, una serie di questioni di fatto tendenti ad ottenere dalla Corte di legittimità una nuova e diversa valutazione del merito della controversia pur denunciando, apparentemente, violazione di legge.
7.1. I motivi sono anche aspecifici. In tema di ricorso per cassazione per violazione o falsa applicazione di norme di diritto (sostanziali o processuali), il principio di specificità dei motivi, di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, deve essere letto in correlazione al disposto dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1, essendo dunque inammissibile, per difetto di specificità, il motivo di ricorso che, nel denunciare la violazione di norme di diritto, ometta di raffrontare la “ratio decidendi” della sentenza impugnata con la giurisprudenza della S.C. e, ove la prima risulti conforme alla seconda, ometta di fornire argomenti per mutare orientamento (Cass. 5001/2018).
7.2. In ogni caso, il primo motivo sarebbe, ove potesse dirsi adeguatamente autosufficiente, inammissibile, in quanto involgente una valutazione di merito, anche in ordine all’esclusione di una idonea contestazione dinanzi ad una non specifica contestazione; il secondo sarebbe infondato, perchè non è contestata la prima ratio dell’inammissibilità relativa all’anteriorità dell’evento all’udienza ex art. 350 c.p.c. e comunque la seconda ratio va comunque qui interpretata nel senso della mancata indicazione delle generalità del testimone da sostituire; ne deriva l’irrilevanza della prospettata questione di legittimità costituzionale; il terzo è palesemente infondato, perchè il disconoscimento, benchè proveniente dalle controparti di persona, intuitivamente era riferito agli scritti imputati alla società e tale ratio non è attinta o comunque resiste alle censure qui svolte, perchè le conseguenti condotte erano comunque poste in essere in quella qualità (semmai, sulla tardività della conferma del disconoscimento si aggiungerebbe che si tratta di circostanza non determinante); infine, l’ultimo motivo sarebbe inammissibile anche perchè è stato applicato il principio della soccombenza e non c’è mai un diritto alla compensazione, che resta discrecionale;
8. Pertanto, il ricorso va dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 7.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200, ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ove dovuto, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sesta sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 3 ottobre 2019.
Depositato in cancelleria il 16 gennaio 2020
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