LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ARMANO Uliana – Presidente –
Dott. CIGNA Mario – Consigliere –
Dott. SCARANO Luigi A. – rel. Consigliere –
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –
Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 16434-2017 proposto da:
ITALCAVE SPA, in proprio e quale rappresentante del RAGGRUPPAMENTO TEMPORANEO DI IMPRESE (RTI) tra ITALSIDER SPA e ITALCAVE SPA, in persona dell’Amministratore Unico, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CASSIODORO 1/A, presso lo studio dell’avvocato GIORGIO COSTANTINO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato CLAUDIO SIBILLA;
– ricorrente –
contro
CONSORZIO ASI TARANTO;
– intimato –
Nonchè da:
CONSORZIO ASI TARANTO, in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, P.ZA ADRIANA 5, presso lo studio dell’avvocato MARIA GRAZIA LEONE, rappresentato e difeso dagli avvocati ROCCO GIULIANI, DANTE MESSINESE;
– ricorrente incidentale –
contro
ITALCAVE SPA, in proprio e quale rappresentante del RAGGRUPPAMENTO TEMPORANEO DI IMPRESE (RTI) tra ITALSIDER SPA e ITALCAVE SPA, in persona dell’Amministratore Unico, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CASSIODORO 1/A, presso lo studio dell’avvocato GIORGIO COSTANTINO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato CLAUDIO SIBILLA;
– controricorrente all’incidentale –
avverso la sentenza n. 184/2017 della CORTE D’APPELLO SEZ.DIST. DI di TARANTO, depositata il 23/05/2017;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/07/2019 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CARDINO ALBERTO, che ha chiesto che il sia il ricorso principale che il ricorso incidentale vengano rigettati;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CARDINO ALBERTO che ha chiesto il rigetto del ricorso principale e dell’incidentale;
udito l’Avvocato COSTANTINO GIORGIO;
udito l’Avvocato SIBILLA CLAUDIO;
udito l’Avvocato GIULIANI ROCCO;
udito l’Avvocato MESSINESE DANTE.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 23/3/2017 la Corte d’Appello di Lecce, in parziale accoglimento del gravame interposto dalla società Italcave s.p.a. – in proprio e quale legale rappresentante del Raggruppamento temporaneo d’imprese (RTI) tra Italsider s.p.s. e Italcave s.p.a. -, e in conseguente parziale riforma della pronunzia Trib. Taranto 27/2/2016, ha rideterminato in diminuzione l’ammontare liquidato in favore del Consorzio per lo sviluppo industriale e dei servizi reali alle imprese di Taranto, defalcando in particolare le somme versate a titolo di oneri e spese di collaudo, nonchè di interessi di mora. Con conferma per il resto dell’accoglimento della originaria domanda di quest’ultimo di ripetizione di quanto da controparte “percepito a titolo di corrispettivo dei due contratti di appalto” stipulati in data 16/5/1989 e 12/12/1989, nonchè di successivi atti aggiuntivi.
Ha per converso rigettato il gravame interposto dalla società Italcave s.p.a. – in proprio e nella qualità – in relazione alla declaratoria di inammissibilità della domanda proposta nei confronti del Consorzio di pagamento dell’indennizzo ex art. 2041 c.c., stante l’utilizzazione dell’opera da parte del medesimo.
Ha al riguardo argomentato dalla ravvisata inammissibilità nella specie dell’azione ex art. 2041 c.c., stante la sua natura sussidiaria, e l’esperibilità nel caso dell’azione di risarcimento danni ex art. 2043 c.c. all’esito dell’accertamento in sede penale dell’esecuzione delle opere “a seguito dell’accordo criminoso di M.V., L.V., C.F. e P.D.”.
Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito la società Italcave s.p.a. – in proprio e nella qualità – propone ora ricorso per cassazione, affidato ad unico motivo, illustrato da memoria.
Resiste con controricorso il Consorzio per l’area di sviluppo industriale (ASI) di Taranto (già Consorzio per lo sviluppo industriale e dei servizi reali alle imprese (SISRI) di Taranto), che spiega altresì ricorso incidentale sulla base di unico motivo, illustrato da memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con unico motivo la ricorrente in via principale denunzia falsa applicazione dell’art. 2042 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Si duole che la corte di merito abbia ritenuto inammissibile l’azione di ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c., erroneamente argomentando dalla ravvisata esperibilità dell’azione risarcitoria ex art. 2043 c.c. “nei confronti dei funzionari del Consorzio M.V., e L.V.” nonchè “dell’amministratore, all’epoca dei fatti, di Italcave s.p.a. e del dirigente della Italsider s.p.a., laddove “la tutela risarcitoria concorre con le azioni previste in riferimento a ciascun specifico rapporto rispetto alle quali soltanto è possibile la valutazione della “sussidiarietà” ex art. 2042 c.c.”.
Lamenta che la disciplina di cui al D.L. n. 66 del 1989, art. 23 (conv. nella L. n. 144 del 1989) e al D.Lgs. n. 77 del 1995, art. 35 nonchè al D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 191 in tema di esercizio dell’azione diretta nei confronti del funzionario pubblico (in ragione dell’interruzione del rapporto di immedesimazione organica tra l’amministratore o il funzionario e l’ente locale), “non è applicabile nè ratione temporis nè per ragioni di carattere soggettivo alla vicenda che ci occupa, con la conseguenza che essa non può rappresentare alcun ostacolo all’applicabilità della disciplina… dettata dagli artt. 2041 ss. c.c.”.
Lamenta ulteriormente come “supporre che la conclusione di un contratto invalido, ancorchè per effetto di un illecito penale, possa giustificare l’esperimento dell’azione risarcitoria delle società nei confronti di chi le rappresentava” significhi “trascurare completamente… che l’intera condotta del C. e del P. è stata posta in essere essenzialmente nell’interesse delle società da loro rappresentate”, sicchè “non è configurabile alcun illecito posto in essere in danno delle società, tale da giustificare l’esercizio di un’azione risarcitoria, che, comunque, è altro, rispetto all’azione restitutoria esercitata con la domanda riconvenzionale”.
Il motivo è fondato e va accolto nei termini di seguito indicati.
Giusta principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità l’azione di ingiustificato arricchimento è contraddistinta da un carattere di residualità che ne postula l’inammissibilità ogni qualvolta il danneggiato, per farsi indennizzare del pregiudizio subito, possa esercitare, tanto contro l’arricchito che nei confronti di un diverso soggetto, altra azione, secondo una valutazione da compiersi in astratto e prescindendo, quindi, dal relativo esito (v. Cass., 20/11/2018, n. 29988; Cass., 9/5/2018, n. 11038; Cass., Sez. Un., 25/11/2008, n. 28042).
Questa Corte ha al riguardo avuto peraltro recentemente modo di precisare che, costituendo presupposto per proporre l’azione di ingiustificato arricchimento la mancanza di una azione tipica, tale deve intendersi non già ogni iniziativa processuale ipoteticamente esperibile ma esclusivamente quella derivante da un contratto o prevista dalla legge con riferimento ad una fattispecie determinata (v. in particolare Cass., 22/11/2017, n. 27827).
In altri termini, il carattere sussidiario dell’azione di indebito arricchimento comporta che essa non possa essere esperita non soltanto quando sussista un’altra azione tipica utilizzabile dall’impoverito nei confronti dell’arricchito, ma anche quando vi sia originariamente un’azione sperimentabile contro soggetti diversi dall’arricchito che siano obbligati per legge o per contratto (v. Cass., 13/6/2018, n. 15496; Cass., 9/5/2018, n. 11038; Cass., 11/1/2013, n. 617; Cass., 27/6/1998, n. 6355; Cass., 15/7/2003, n. 11067), la sussistenza di tale diversa azione potendo essere accertata anche d’ufficio allorquando il punto sia ancora controverso per effetto dell’impugnazione del convenuto (v. Cass. 5/8/2005, n. 16594).
A tale stregua, si è ulteriormente sottolineato, l’azione di arricchimento deve ritenersi ammissibile allorquando l’azione teoricamente spettante all’impoverito sia prevista da clausole generali, come quella extracontrattuale ex art. 2043 c.c. (v., con riferimento alla responsabilità precontrattuale, Cass., 22/3/2012, n. 4620).
Nel condividersi tale assunto, che va anche nel caso ribadito, deve porsi ulteriormente in rilievo come l’opposta soluzione si appalesi in realtà priva di pregio atteso che, come recentemente sottolineato anche in dottrina, essa si fonda in realtà sull’esigenza di non alterare il contemperamento d’interessi dal legislatore realizzato mediante la disciplina delle singole fattispecie.
Poichè la residualità dell’azione generale di arricchimento senza causa, e pertanto il divieto di relativa esperibilità in presenza di azione tipica, trova in realtà propriamente ragione nell’esigenza di evitarsi duplicazioni risarcitorie in favore del soggetto impoverito il quale abbia già ottenuto ristoro mediante altro rimedio, emerge invero con tutta evidenza che ben può allora riconoscersi al danneggiato la possibilità scegliere tra azione generale di arricchimento e altri rimedi, in termini di alternatività o di complementarietà, come si desume da talune specifiche disposizioni del codice civile, quali ad es. gli artt. 935 e 936 c.c. (acquisto a titolo di accessione ovvero unione e commistione), prevedenti la restituzione dei materiali e il risarcimento dei danni, ed altresì l’art. 1591 c.c., ove si sancisce l’obbligo del corrispettivo fermo restando il risarcimento del danno.
Orbene, nell’impugnata sentenza la corte di merito ha invero disatteso il suindicato principio.
La vicenda in esame attiene a contratti di appalto (e a successivi atti aggiuntivi) stipulati tra la società Italcave s.p.a. – in proprio e quale legale rappresentante del Raggruppamento temporaneo d’imprese (RTI) – e le società tra Italsider s.p.a. e Italcave s.p.a., al fine di rendere possibile l’utilizzo di aree a tergo dell’erigendo Molo polisettoriale (in fase di progettazione da parte del Consorzio) per lo smaltimento di ingenti quantitativi di scorie e residui delle lavorazioni di altoforno.
All’esito dell’accertamento con sentenza penale di condanna pronunziata da Cass. 24/11/1994 nei confronti dei sigg. M.V. e L.V. (per ASI), C.F. (per Italcave), P.D. (per Italsider), nonchè della declaratoria (passata in giudicato) di nullità del contratto d’appalto del 12/12/1989, il Consorzio ha proposto nei confronti della società Italcave s.p.a. – in proprio e nella qualità – domanda di ripetizione ex art. 2033 c.c. di quanto versato a queste ultime a titolo di corrispettivo dei due contratti d’appalto, e quest’ultima ha in via riconvenzionale domandato la corresponsione dell’indennizzo ex art. 2041 c.c..
Orbene, nel dare atto che il giudice di prime cure ha fatto riferimento all'”obbligo risarcitorio connesso alla condotta illecita che ha cagionato l’evento dannoso e ad una possibile domanda di risarcimento ex art. 2043 c.c., ben diversa dall’azione diretta di natura contrattuale prevista dal D.L. n. 66 del 1989, art. 23 e D.Lgs. n. 77 del 1995, art. 35"; e nel sottolineare come tale giudice abbia ritenuto essere la “possibilità” per l’allora appellante ed odierna ricorrente di “agire ex art. 2043 c.c. che porta ad escludere quella di agire ex art. 2041 c.c., per la natura sussidiaria di quest’ultima”, non avendo nella specie rilevanza la circostanza che “la diversa azione non sia sovrapponibile a quella di cui all’art. 2041 c.c.” in quanto “proprio perchè quella di cui all’art. 2041 c.c. è sussidiaria a qualsiasi “altra azione”, non vi può essere coincidenza degli elementi costitutivi delle due azioni”, la corte di merito è pervenuta invero ad erroneamente affermare di condividere “la conclusione del tribunale della facoltà di Italcave di agire ex art. 2043 c.c. nei confronti di detti soggetti e della conseguente inammissibilità della azione ex art. 2041 c.c.”.
Dell’impugnata sentenza, assorbito il ricorso incidentale (con il quale il ricorrente in via incidentale si duole che la corte di merito abbia “errato nello stabilire il valore della controversia, che era di oltre 30 milioni di Euro”), s’impone pertanto la cassazione in relazione, con rinvio alla Corte d’Appello di Lecce, che in diversa composizione procederà a nuovo esame, facendo del suindicato disatteso principio applicazione.
Il giudice del rinvio provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso principale, assorbito l’incidentale. Cassa in relazione l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’Appello di Lecce, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 12 luglio 2019.
Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2020
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