LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –
Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –
Dott. GIAIME GUIZZA Stefano – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 25403-2019 proposto da:
B.B.M.L., elettivamente domiciliato in ROMA, CIRCONVAIIAZIONE CLODIA 86 PIANO 1 INT 5, presso lo studio dell’Avvocato ROBERTO MARTIRE, che lo rappresenta e difende unitamente all’Avvocato SABRINA FUSI;
– ricorrente –
contro
AZIENDA OSPEDALIERA UNIVERSITARIA DI GAREGGI, QBE INSURANCE (I XROPA) LTD;
– intimate –
avverso la sentenza n. 191/2019 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE depositata il 29/01/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 15/10/2020 dal Consigliere Relatore Dott. GIAIME GUIZZI STEFANO.
RITENUTO IN FATTO
– che B.B.M.L. ricorre, sulla base di quattro motivi, per la cassazione della sentenza n. 191/19, del 29 gennaio 2019, della Corte di Appello di Firenze, che – accogliendo solo parzialmente il gravame dallo stesso esperito contro la sentenza n. 966/15, del 10 marzo 2015, del Tribunale di Firenze – ha rideterminato, ma in misura che il ricorrente reputa sottostimata, la somma allo stesso dovuta dall’Azienda Ospedaliera Universitaria di Gareggi (d’ora in poi, “Azienda Ospedaliera”), ovvero, per essa, dalla sua assicuratrice, QBE Insurance (Europe) Ltd. (d’ora in poi, “QBE”), a titolo di ristoro del danno non patrimoniale subito dall’odierno ricorrente in ragione di un episodio di malpractice sanitaria di cui fu vittima, confermando, invece, il rigetto della domanda risarcitoria, quanto al danno patrimoniale;
– che, in punto di fatto, il ricorrente riferisce di aver subito -mentre giocava a tennis, il 10 settembre 2004 – un infarto miocardico, in relazione al quale i trattamenti terapeutici che gli furono praticati evidenziarono, nel riesaminare la cartella di una precedente coronografia eseguita presso l’Ospedale di Gareggi il 5 febbraio di quello stesso anno, “la mancanza di anamnesi fisiologica, familiare e patologica remota, nonchè dello stesso esame obiettivo”;
– che lamentando, pertanto, l’odierno ricorrente un danno iatrogeno in ragione della non corretta valutazione, da parte dei sanitari dell’ospedale fiorentino, di tutti i dati a loro disposizione (ciò che, a suo dire, aveva impedito “l’instaurazione di una idonea terapia medica, con conseguente rimozione dei fattori di rischio, e che con ogni probabilità sarebbe valsa ad evitare l’episodio infartuale successivo”), egli agiva in giudizio per il ristoro dei danni subiti;
– che l’adito Tribunale, ritenuta sussistente la responsabilità dell’Azienda Ospedaliera, nonchè ammissibile l’intervento spiegato dall’assicuratrice QBE al fine di porre a proprio carico l’eventuale condanna dell’assicurata, condannava quest’ultima a pagare, all’attore, l’importo di 76.650,00, oltre interessi compensativi, a ristoro esclusivamente del danno non patrimoniale dallo stesso subito;
– che il gravame esperito – in punto “quantum debeatur” – dall’attore parzialmente vittorioso veniva accolto solo nei termini sopra meglio indicati, ovvero riconoscendo all’appellante, sempre a titolo di danno non patrimoniale, l’ulteriore somma di Euro 5.720,00, con conferma, dunque, dell’esclusione del danno patrimoniale;
– che avverso la sentenza della Corte toscana ricorre per Cassazione il B.B.M., sulla base – come detto – di quattro motivi;
– che il primo motivo denunzia – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione degli artt. 138 e 139 cd. codice delle assicurazioni private, come modificati dalla L. 4 agosto 2017, n. 124, art. 1, comma 17, sul rilievo che la personalizzazione del danno disposta dalla giudice di appello (20%), ancorchè migliorativa di quella effettuata dal primo giudice (10%), sarebbe insufficiente, giacchè, nel fare applicazione delle cd. “tabelle milanesi”, la sentenza impugnata avrebbe dovuto fare ricorso alla maggiorazione massima (34%) o quantomeno ad una superiore;
– che, infatti, la sentenza impugnata avrebbe dovuto dare rilievo allo shock subito dall’odierno ricorrente durante l’evento infartuale, al terrore di perdere la vita, alla gravità della lesione e all’incidenza sull’attività professionale del paziente, alle sofferenze psichiche e fisiche connesse agli interventi chirurgici e terapeutici subiti, alla sottoposizione, vita natural durante, a trattamenti terapeutici massicci e invasivi, e non al solo drastico peggioramento della qualità di vita;
– che il secondo motivo denunzia – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4) – violazione dell’art. 345 c.p.c.;
– che si censura, in questo caso, l’adesione della Corte territoriale alla conclusione raggiunta dal Tribunale circa la mancata dimostrazione della sussistenza del nesso causale tra l’evento dannoso e l’anticipato pensionamento del professionista, conclusione alla quale essa è pervenuta ritenendo tardiva – ma in violazione, si assume, nella previsione codicistica che consente l’ingresso delle prove non tempestivamente prodotte per causa non imputabile alla parte – la produzione, in appello, di documentazione tendente a comprovare la ricorrenza di tale nesso;
– che il terzo motivo denunzia – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione degli artt. 1223,2043 e 2056 c.c., lamentando, in relazione al danno patrimoniale da perdita della capacità lavorativa, che “nei precedenti gradi di giudizio non si è provveduto a quantificare e liquidare tale voce di danno”, e ciò “ancorchè pienamente accertato e riconosciuto” (in particolare, dall’espletata CTU, che ha stimato lo stesso nella misura del 18%);
– che il quarto motivo denunzia – sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione dell’art. 92 c.p.c., sul rilievo che, sebbene la giurisprudenza di questa Corte abbia ricondotto le spese per la consulenza tecnica di parte tra quelle che la parte ha diritto a farsi rimborsare (sempre che il giudice non si avvalga della facoltà, ex art. 92 c.p.c., comma 1, di escluderle anche solo in parte dalla ripetizione, ritenendole eccessive o superflue), nella specie non si comprenderebbe perchè il giudice di appello abbia confermato la riduzione operata dal Tribunale, sebbene tali spese risultino pienamente e congruamente allegate e documentate;
– che sono rimaste solo intimate sia l’Azienda Ospedaliera che la QBE;
– che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata ritualmente comunicata al ricorrente, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio per il 15 ottobre 2020;
– che il ricorrente ha depositato memoria, ex art. 380-bis c.p.c., insistendo nelle proprie censure.
CONSIDERATO IN DIRITTO
– che il ricorso è inammissibile;
– che il primo motivo censura la sentenza impugnata per avere operato una “personalizzazione” del risarcimento del danno non patrimoniale che, sebbene migliorativa rispetto a quella compiuta dal Tribunale, risulterebbe, però, comunque “sottostimata”;
– che esso, tuttavia, involge un apprezzamento di fatto, tipicamente devoluto al giudice di merito, non sindacabile in questa sede se adeguatamente motivato, condizione da ritenersi integrata – stante l’avvenuta riduzione del sindacato di legittimità sulla motivazione entro il “minimo costituzionale” (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 7 aprile 2014, n. 8053, Rv. 629830-01, nonchè, “ex multis”, Cass. Sez. 3, ord. 20 novembre 2015, n. 23828, Rv. 637781-01; Cass. Sez. 3, sent. 5 luglio 2017, n. 16502, Rv. 637781-01) – quando la stessa non sia affetta da “irriducibile contraddittorietà” (cfr. Cass. Sez. 3, sent. 12 ottobre 2017, n. 23940, Rv. 645828-01; Cass. Sez. 6-3, ord. 25 settembre 2018, n. 22598, Rv. 650880-01), ovvero connotata da “affermazioni inconciliabili” (da ultimo, Cass. Sez. ord. 25 giugno 2018, n. 16111, Rv. 649628-01), restando, infatti, irrilevante il semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass. Sez. 2, ord. 13 agosto 2018, n. 20721, Rv. 650018-01);
– che, secondo questa Corte, difatti, “nella liquidazione del danno non patrimoniale con criterio equitativo, il giudice non è tenuto a fornire una dimostrazione minuziosa e particolareggiata di un univoco e necessario rapporto di consequenzialità di ciascuno degli elementi esaminati e l’ammontare del danno liquidato, essendo sufficiente che il suo accertamento sia scaturito da un esame della situazione processuale globalmente considerata” (Cass. Sez. 3, sent. 10 novembre 2015, n. 22885, Rv. 637822-01), giacchè, come detto, “l’esercizio, in concreto, del potere discrezionale conferito al giudice di liquidare il danno in via equitativa non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità”, purchè “la motivazione della decisione dia adeguatamente conto dell’uso di tale facoltà, indicando il processo logico e valutativo seguito” (da ultimo, Cass. Sez. 3, sent. 13 ottobre 2017, n. 24070, Rv. 645831-01; in senso analogo Cass. Sez. 1, sent. 15 marzo 2016, n. 5090, Rv. 639029-01);
– che, peraltro, tale principio opera in correlazione con quello ulteriore e secondo cui “in tema di danno non patrimoniale da lesione della salute, la misura “standard” del risarcimento prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato negli uffici giudiziari di merito (nella specie, le tabelle milanesi) può essere incrementata dal giudice, con motivazione analitica e non stereotipata, solo in presenza di conseguenze anomale o del tutto peculiari (tempestivamente allegate e provate dal danneggiato), mentre le conseguenze ordinariamente derivanti da pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età non giustificano alcuna “personalizzazione” in aumento” (da ultimo, Cass. Sez. 3, cent. 11 novembre 2019, n. 28988, Rv. 65596401);
– che, nella specie, deve ritenersi che la Corte territoriale si sia attenuta ad entrambi tali principi, avendo chiarito – con motivazione che supera la soglia del “minimo costituzionale” – le ragioni che l’hanno indotta a raddoppiare la misura della personalizzazione già disposta dal giudice di prime cure, dando rilievo a circostanze quali la cessazione, da parte dell’odierno ricorrente, “di ogni attività sportiva cui fino a quel momento si era dedicato ed in particolare le immersioni subacquee ed il tennis, praticato a livello agonistico”, oltre “escursioni in alta montagna e viaggi di lunga durata all’estero, come era solito fare”, dando, così, rilievo ad “attività idonee a tratteggiare un singolare profilo del leso”;
– che non senza rilievo, inoltre, ad escludere l’accoglimento della presente censura, è anche la constatazione che motivazione illustrata è, peraltro, alla base del raddoppio di una prima personalizzazione già operata dal primo giudice, nella quale avevano già trovato rilievo altre circostanze;
– che i motivi secondo e quarto non colgono la “ratio decidendi” della sentenza impugnata, atteso che le censure oggetto degli stessi – il denegato riconoscimento del danno patrimoniale, o meglio del nesso causale tra l’evento infartuale e l’anticipato pensionamento dell’odierno ricorrente, nonchè la riduzione delle spese sostenute per la consulenza tecnica di parte – furono oggetto, in appello, di altrettanti motivi ritenuti inammissibili dalla Corte territoriale per violazione dell’art. 342 c.p.c., in ragione del loro difetto di specificità, di talchè avverso tale statuizione “in rito” l’odierno ricorrente avrebbe dovuto indirizzare la propria doglianza, ciò che non risulta invece avvenuto;
– che trova, pertanto, applicazione il principio secondo cui “la proposizione, con il ricorso per cassazione, di censure prive di specifiche attinenze al “decisum” della sentenza impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall’art. 366 c.p.c., n. 4), con conseguente inammissibilità del ricorso, rilevabile anche d’ufficio” (Cass. Sez. 6-1, ord. 7 settembre 2017, n. 20910, Rv. 64574401; Cass. Sez. 6-3, ord. 3 luglio 2020, n. 13735, Rv. 658411-01);
– che pure il terzo motivo è inammissibile, ancorchè per una ragione diversa da quella appena indicata, ovvero per difetto di specificità, perchè esso si risolve nel rilievo che, con riferimento al danno da perdita della capacità lavorativa, “nei precedenti gradi di giudizio non si è provveduto a quantificare e liquidare tale voce di danno” (disattendendo, sul punto, le risultanze dell’espletata CTU), senza che neppure venga individuata, prima ancora che sottoposta a critica, la statuizione adottata, sul punto, dalla Corte fiorentina;
– che trova, dunque, applicazione il principio secondo cui “con i motivi di ricorso per cassazione la parte non può limitarsi a riproporre le tesi difensive svolte nelle fasi di merito e motivatamente disattese dal giudice dell’appello, senza considerare le ragioni offerte da quest’ultimo, poichè in tal modo si determina una mera contrapposizione della propria valutazione al giudizio espresso dalla sentenza impugnata che si risolve, in sostanza, nella proposizione di un “non motivo”, come tale inammissibile ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4)” (Cass. Sez. 1, ord. 24 settembre 2018, n. 22478, Rv. 650919-01; nello stesso senso Cass. Sez. 3, sent. 31 agosto 2015, n. 17330, Rv. 636872-01);
– che, peraltro, il ricorrente neppure ha riprodotto stralci della consulenza suddetta che evidenzino tanto la fissazione della riferita percentuale del 18%, quanto le ragioni che giustificano tale conclusione (salvo il generico e non meglio circostanziata estrapolazione secondo cui quella di avvocato è “una professione liberale con dinamiche lavorative stressanti ed onerose”), non avendo, pertanto, soddisfatto il requisito di ammissibilità di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6);
– che sono, infatti, “inammissibili le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso”, che è quanto è avvenuto nel caso in esame per la CTU, “ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità” (Cass. Sez. Un., sent. 27 dicembre 2019, n. 34469, Rv. 656488-01).
– che il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile;
– che nulla è dovuto quanto alle spese del presente giudizio di legittimità, essendo rimaste solo intimate l’Azienda Ospedaliera e la società QBE;
– che in ragione del rigetto del ricorso, va dato atto – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 – della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo, se dovuto, a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
PQM
La Corte dichiara il ricorso manifestamente infondato.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2021
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