Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.41253 del 22/12/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso (iscritto al N. R.G. 2530/2017) proposto da:

G.A., (C.F.: *****), G.N. (C.F.: *****), GR.NU., (C.F.: *****), G.A., (C.F.: *****) e M.F., (C.F: *****), rappresentati e difesi, in virtù di procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avv. Clino Pompei ed elettivamente domiciliati presso lo studio dell’Avv. Ermenegildo Pompei, in Roma, Via Conte Rosso n. 5;

– ricorrenti –

contro

R.M., (C.F.: *****), P.M. (C.F.:

*****), Z.A. (C.F.: *****), ZA.AL., (C.F.: *****), Z.M. (C.F.: *****) e Z.R. (C.F.: *****), rappresentati e difesi, in virtù di procura speciale su foglio separato allegato al controricorso, dall’Avv. Salvatore Coletta, ed elettivamente domiciliati presso il suo studio, in Roma v.le G. Mazzini n. 114/B;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Corte di appello di Roma n. 4874/2016 (pubblicata il 29 luglio 2016);

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 13 ottobre 2021 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

letta la memoria della difesa dei ricorrenti depositata ai sensi dell’art. 380.bis.1. c.p.c..

RITENUTO IN FATTO

1. Con atto di citazione del gennaio 1996 R.M. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Latina, M.F., G.A. e G.A., chiedendo che venisse accertato il suo diritto di proprietà sull’immobile ubicato in ***** edificato su un fondo sito al foglio ***** particella *****, con condanna dei suddetti convenuti al rilascio del bene stesso, sul presupposto che il contratto preliminare di vendita tra le stesse parti concluso il 14 agosto 1980 era stato risolto con sentenza passata in giudicato e ciò malgrado i medesimi convenuti avevano continuato ad occuparlo senza titolo.

Si costituivano i predetti convenuti, i quali, oltre ad invocare il rigetto dell’avversa pretesa, proponevano domanda riconvenzionale diretta all’ottenimento del riconoscimento della loro qualità di proprietari sul bene controverso, allegando di esserne divenuti titolari ai sensi dell’art. 1478 c.c., comma 2, in virtù di contratto di compravendita stipulato il 31 dicembre 1980 con il R., in ragione e per effetto della compravendita da costui conclusa il 23 gennaio 1987 con il proprietario dello stesso immobile. Pertanto, essi chiedevano accertarsi il loro diritto di proprietà sul bene agli stessi originariamente promesso in vendita e, in subordine, instavano per la condanna dell’attore alla restituzione della somma di Lire 83.500.000 versata a titolo di prezzo oltre al plusvalore acquistato dall’immobile in dipendenza delle migliorie dagli stessi apportate.

Sospeso il giudizio per la pendenza di altri due giudizi aventi il medesimo oggetto riconducibile alla formulata domanda riconvenzionale, a seguito della sua riassunzione il Tribunale di Latina, con sentenza n. 1692/2007, accoglieva la domanda principale e rigettava quella riconvenzionale.

2. Decidendo sull’appello formulato da G.A., G.N. e Gr.Nu. (tutti quali eredi di Z.R.) e nella costituzione di G.A. e M.F. (appellanti anche in via incidentale in senso conforme a quello principale) oltre che di R.M., la Corte di appello di Roma, con sentenza n. 4874/2016 (pubblicata il 29 luglio 2016), rigettava i gravami e confermava l’impugnata sentenza, disponendo la compensazione integrale delle spese del grado.

A fondamento dell’adottata pronuncia la Corte laziale rilevava, innanzitutto, che non era stata censurata la “ratio” dell’impugnata sentenza relativa all’emerso giudicato di rigetto della pregressa domanda dei G. e Z.R. proposta ai sensi dell’art. 1478 c.c.; in ogni caso, ad avviso del giudice di appello, il primo motivo di gravame era infondato anche nel merito dal momento che, a seguito della definizione di altro giudizio intercorso tra le parti (recante il n. RG 2058/81), il contratto stipulato in data 14 agosto 1980 era stato definitivamente dichiarato risolto, ragion per cui l’effetto traslativo automatico di cui al citato art. 1478 c.c., non poteva operare, atteso che al momento dell’acquisto – da parte del R. dall’effettivo proprietario – il contratto sul quale gli appellanti basavano il loro diritto non era più efficace.

Riteneva, poi, la Corte di secondo grado che doveva considerarsi privo di fondamento anche il secondo motivo relativo all’invocato riconoscimento dell’indennizzo ai sensi degli artt. 1150 e 1152 c.c., posto che, per effetto della mera conclusione di un contratto preliminare, i promissari acquirenti non avrebbero potuto essere qualificati come possessori dell’immobile, detenendolo, invero, “nomine alieno” e senza che fosse stata dimostrata una sopravvenuta “interversio possessionis”.

3. Avverso la predetta sentenza di appello hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, G.A., G.N., G.A., Gr.Nu. e M.F., la cui difesa ha anche depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1. c.p.c.. Si sono costituiti con un unico controricorso R.M., P.M., Z.A., Za.Al., Z.M. e Z.R. (queste ultime nella qualità di eredi di Z.T.).

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo i ricorrenti hanno denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e falsa applicazione dell’art. 1478 c.c., rappresentando che una sentenza ai sensi di quest’ultima norma avrebbe potuto essere emessa in relazione all’atto di compravendita del 31 gennaio 1987 sottoscritto tra il proprietario sig. Corte e l’acquirente R., il quale aveva acquistato il medesimo bene che aveva venduto ai sigg. G., M. e Z., compravendita, questa, collegata a quella di cui alla scrittura privata del 31 gennaio 1980, sottoscritta da G.A., G.A., M.F. e Z.R. nella qualità di acquirenti e dal R. quale venditore, il quale aveva emesso quietanza per la somma di denaro incassata, dando anche atto della permuta con la quale aveva acquisito l’immobile di Z.R..

2. Con la seconda censura i ricorrenti hanno dedotto – con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e falsa applicazione degli artt. 1150 e 1152 c.c., prospettando l’erroneità dell’impugnata sentenza nella parte in cui, sulla scorta della prodotta prova documentale, non aveva tenuto conto che il R. li aveva immessi nel possesso del fondo il 31 dicembre 1980, a titolo di controprestazione del versamento della rimanente parte del prezzo pattuito, ragion per cui avrebbe dovuto essere loro riconosciuto il diritto all’ottenimento dell’indennità per i miglioramenti apportati all’immobile.

3. Con la terza ed ultima doglianza i ricorrenti hanno prospettato – sempre avuto riguardo all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e falsa applicazione degli artt. 1175,1375,1439 e 1440 c.c., deducendo che la Corte di appello non aveva ritenuto che il R., nella vicenda in questione, aveva agito in malafede violando le richiamate norme e che, quindi, era tenuto al risarcimento dei conseguenti danni da essi subiti. Infatti – secondo la prospettazione dei medesimi ricorrenti – non era stato considerato che il R. aveva incassato interamente il prezzo, relativo all’immobile controverso, da G.A., G.A. e M.F. ed aveva acquistato, tramite permuta, altro immobile da Z.R. e, ciò nonostante, non avevano potuto acquistare la proprietà dell’immobile in quanto il R. non ne era in effetti il proprietario, non valorizzando la circostanza che poi, nel 1987, lo stesso R. era divenuto proprietario del medesimo immobile ed in quanto procuratore a vendere, aveva, in effetti, stipulato un contratto con se stesso.

4. Rileva il collegio che il primo motivo vada disatteso per la seguente ragione.

Dalle complesse vicende processuali intersecatesi (come poi riconosciuto da questa Corte con la sentenza n. 4024/2004) si evince che – all’esito del giudizio n. 2058/1981 – il contratto concluso il 14 agosto 1980 era stato, in via definitiva e con effetti di giudicato, dichiarato risolto, ragion per cui l’effetto traslativo automatico ricollegato all’operatività dell’art. 1478 c.c., non avrebbe potuto realizzarsi proprio perché al momento dell’acquisto – da parte del R. dall’effettivo proprietario il contratto sul quale gli appellanti avevano fondato il loro diritto era divenuto inidoneo a produrre qualsiasi effetto giuridico (perché, per l’appunto, già risolto con pronuncia giudiziale divenuta irrevocabile).

Proprio la richiamata sentenza n. 4024/2004 – intervenuta tra le parti della vicenda di cui trattasi – aveva, infatti, stabilito il principio che, in tema di vendita o di promessa di vendita di cosa altrui, da cui derivano effetti obbligatori, qualora sia stata pronunciata sentenza di risoluzione del contratto per inadempimento del venditore passata in cosa giudicata – nonostante l’acquisto della proprietà compiuto dal medesimo nelle more di quel giudizio, il compratore non può invocare rispettivamente – l’acquisto della proprietà ai sensi dell’art. 1478 c.c., comma 2, o il diritto al trasferimento da eseguire con la sentenza costitutiva prevista dall’art. 2932 c.c., atteso che, in considerazione dell’efficacia retroattiva della risoluzione, deve ritenersi venuta meno la fonte dell’obbligazione posta a carico del venditore.

Orbene, poiché, con il motivo in questione, non risulta attinta la “ratio decidendi” sull’operatività del giudicato formatosi con riferimento alla dichiarata risoluzione del citato contratto stipulato tra le parti il 14 agosto 1980 (alla quale era conseguita la sua inefficacia), esso si appalesa inammissibile.

5. La seconda censura è infondata e deve, perciò, essere respinta.

E’, infatti, giuridicamente corretto quanto ritenuto nell’impugnata sentenza laddove si è sostenuto che il diritto al riconoscimento dei miglioramenti immobiliari apportati non può spettare al promissario acquirente che venga immesso nella disponibilità del bene e che risulti mero detentore “nomine alieno”, ove non sia stata comprovata una sopravvenuta interversione del possesso, rimasta indimostrata nel caso di specie, per come adeguatamente motivato in fatto dalla Corte di appello (v. Cass. n. 6123/2020), la quale ha disatteso la ricostruzione degli odierni ricorrenti nel negare loro la qualità di possessori per la sola avvenuta ristrutturazione del fabbricato preesistente sul fondo e di essersi occupati della pratica edilizia. Il giudice di secondo grado ha rilevato che da ciò non si poteva univocamente inferire la configurazione di un’interversione nel possesso, la quale non può avere luogo mediante un semplice atto di volizione interna, ma deve estrinsecarsi in una manifestazione esteriore, dalla quale sia possibile desumere che il detentore abbia iniziato ad esercitare il potere di fatto sulla cosa esclusivamente in nome proprio e non più in nome altrui, con la specificazione che detta manifestazione deve essere soprattutto rivolta specificamente contro il possessore, in maniera che questi sia posto in grado di rendersi conto dell’avvenuto mutamento e della concreta opposizione al suo possesso (cfr., tra le tante, Cass. n. 17376/2018).

Invero, colui il quale abbia acquistato il solo possesso formale di un immobile a titolo di esecuzione anticipata di un contratto preliminare non può considerarsi possessore di esso in termini giuridici, ma mero detentore qualificato, con la conseguenza che, dichiarato risolto il contratto, al promissario acquirente non spetta né il diritto all’indennità per i miglioramenti previsto dall’art. 1150 c.c., né quello di ritenzione previsto dal successivo art. 1152, diritti attribuiti dalla legge unicamente al possessore di buona fede, e non anche al detentore, ancorché qualificato (cfr., ad es., Cass. n. 17245/2010). A tal proposito si ricorda che costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte (v., per tutte, Cass. SU n. 7930/2008 e Cass. n. 5211/2016) che nella promessa di vendita, quando viene convenuta la consegna del bene prima della stipula del contratto definitivo, non si realizza un’anticipazione degli effetti traslativi, fondandosi la disponibilità conseguita dal promissario acquirente sull’esistenza di un contratto di comodato funzionalmente collegato al contratto preliminare, produttivo di effetti meramente obbligatori, sicché la relazione con la cosa, da parte del promissario acquirente, è qualificabile esclusivamente come detenzione qualificata e non come possesso (eventualmente utile “ad usucapionem”), ove non sia dimostrata una “interversio possessionis” nei modi previsti dall’art. 1141 c.c..

6. Anche il terzo ed ultimo motivo non coglie nel segno e deve essere, perciò, disatteso.

Occorre, infatti, osservare che la Corte di appello, con l’impugnata sentenza, ha ritenuto indubbiamente distonico rispetto ai principi di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., la condotta del R., il quale, pur essendo procuratore dell’effettivo proprietario, non avesse utilizzato tale procura per vendere il bene direttamente agli appellanti e non, invece, a se stesso a distanza di circa sette anni (e dopo la sentenza dichiarativa della risoluzione dl contratto, oltretutto emessa in relazione ai suoi inadempimenti) dalla insorgenza del rapporto con costoro.

Tuttavia, va evidenziato che la stessa Corte di secondo grado non era stata investita da un motivo riconducibile alla proposizione di una domanda risarcitoria per la ragione appena esposta nei confronti del R., ma essa ha posto riferimento ai predetti canoni civilistici al fine di giustificare la compensazione totale delle spese del grado in funzione proprio della rilevanza negativa ascritta alla condotta del citato R., poiché – diversamente – sarebbe stato applicabile il principio generale della soccombenza di cui all’art. 91 c.p.c., da correlare, nel caso di specie, al rigetto degli appelli formulati proprio dagli odierni ricorrenti.

7. In definitiva, alla stregua delle complessive argomentazioni svolte, il ricorso deve essere integralmente respinto, con la conseguente condanna dei ricorrenti, in solido fra loro, al pagamento delle spese del presente giudizio che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte degli stessi ricorrenti, sempre con vincolo solidale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido fra loro, al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano in complessivi Euro 8.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario, iva e cpa nella misura e sulle come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, in via solidale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 13 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2021

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