LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente –
Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –
Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –
Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –
Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 21904/2018 proposto da:
D.N.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANTONIO STOPPANI N. 34, presso lo studio dell’avvocato LUCA SILVAGNI, rappresentata e difesa dall’avvocato DANILO COLAVINCENZO;
– ricorrente –
contro
NEXT DREAM SRL, NUOVA CASSA DI RISPARMIO DI CHIETI SPA;
– intimate –
avverso la sentenza n. 44/2018 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata in data 11/01/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 23/06/2021 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA.
FATTI DI CAUSA
D.N.R. convenne in giudizio, innanzi al Tribunale di Chieti, sede distaccata di Ortona, la società Next Dream S.r.l. e la Nuova Cassa di Risparmio di Chieti S.p.a..
L’attrice dedusse di essere conduttrice dal 2011 di un immobile ad uso commerciale sito in ***** e di aver in seguito rilevato, sollevando al riguardo contestazioni nei confronti della locatrice Next Dream S.r.l., la mancanza del certificato di agibilità. Chiese, pertanto, pronunciarsi l’annullamento del contratto di locazione per errore essenziale su una qualità dell’immobile locato e, in subordine, la risoluzione del contratto di locazione per inadempimento. Chiese, altresì, che la locatrice venisse condannata al pagamento dell’indennità di avviamento e del valore delle migliorie e addizioni apportate all’immobile locato, nonché la risoluzione del contratto di fideiussione bancaria stipulato a garanzia delle obbligazioni contrattuali con la Cassa di Risparmio della Provincia di Chieti S.p.A. (di seguito indicata in breve anche come Carichieti).
Si costituì in giudizio la Next Dream S.r.l., chiedendo il rigetto delle pretese attoree e, in via riconvenzionale, la condanna della D.N. al pagamento dei canoni di locazione arretrati e della Carichieti alla corresponsione delle somme previste dalla polizza fideiussoria.
La Carichieti rimase contumace.
La causa venne istruita mediante consulenza tecnica.
Il Tribunale adito, con sentenza n. 206/16, rigettò la domanda della D.N., condannandola, in accoglimento della riconvenzionale, al pagamento dei canoni non pagati in solido con Carichieti per la somma, garantita in polizza, di Euro 10.000,00.
Avverso tale decisione la D.N. propose appello.
Si costituì in giudizio la Next Dreams S.r.l., resistendo al gravame.
Si costituì anche la Nuova Cassa di Risparmio di Chieti S.p.a., che rappresentò il suo interesse alla salvaguardia del diritto di regresso nei confronti della garantita D.N. in relazione ai pagamenti effettuati in favore della Next Dreams S.r.l. in esecuzione della sentenza di prime cure e rilevò che dall’eventuale accoglimento della domanda di annullamento o di risoluzione del contratto di locazione sarebbe conseguita l’invalidità ovvero la risoluzione del contratto di fideiussione da essa prestata.
La Corte di appello di L’Aquila, con sentenza n. 44/2018, pubblicata in data 11/01/2018, rigettò l’impugnazione e regolò le spese di lite tra le parti.
Per quanto rileva in questa sede, la Corte territoriale ritenne che l’errore vizio denunziato dalla ricorrente dovesse qualificarsi come errore di diritto non incidente sulle circostanze di fatto, evidenziando che la mancanza del certificato in relazione alla porzione di immobile locata dopo il suo frazionamento non era, infatti, riconducibile a caratteristiche strutturali o materiali dell’immobile medesimo – tanto che il certificato era stato regolarmente rilasciato dal Comune dopo la richiesta avanzata dalla locatrice e la conduttrice, sin dall’inizio del rapporto, aveva potuto conseguire le autorizzazioni necessarie per lo svolgimento della propria attività commerciale – e non incideva, quindi, sulla destinazione d’uso dell’immobile; ciò premesso, era onere dell’appellante, in concreto non assolto, allegare e dimostrare che tale errore fosse “la ragione unica o principale del contratto”. Quanto alla domanda di risoluzione del contratto, la Corte territoriale ritenne che non vi fosse inadempimento del locatore, poiché il bene non aveva caratteristiche intrinseche tali da impedire in radice il rilascio del certificato di agibilità (tanto che – come già rilevato – il Comune lo aveva effettivamente rilasciato in pendenza del giudizio), né dall’interpretazione del contratto risultava che il locatore avesse assunto l’obbligo specifico di ottenere i necessari titoli abilitativi.
Avverso detta sentenza D.N.R. ha proposto ricorso per cassazione basato su tre motivi.
La Next Dream S.r.l. e la Nuova Cassa di Risparmio di Chieti S.p.a. non hanno svolto attività difensiva in questa sede.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso, denunziando la violazione o falsa applicazione dell’art. 1429 c.c., nn. 2 e 4, la ricorrente contesta che l’errore in forza del quale ha chiesto l’annullamento del contratto di locazione possa qualificarsi quale errore di diritto ex art. 1429 c.c., n. 4, non incidente sulle circostanze di fatto. L’errore di diritto, infatti, ricorrerebbe ove il consenso di una parte sia determinato in via esclusiva o principale dalla falsa rappresentazione circa l’esistenza, l’applicabilità o la portata di una norma giuridica o dispositiva; nel caso di specie, invero, l’errore (da qualificarsi come errore di fatto ex art. 1429 c.c., n. 2) consisterebbe nell’esistenza di una certificazione tecnica di agibilità, che si porrebbe quale elemento fattuale relativo a determinate qualità dell’immobile.
La ricorrente precisa che tale errore riveste carattere essenziale tanto sul piano oggettivo, ricadendo su una qualità determinante del consenso, ovvero la regolarità dell’immobile locato sul piano edilizio ed urbanistico, quanto su quello soggettivo, atteso che, secondo il comune apprezzamento, la conduttrice non avrebbe concluso il contratto se avesse conosciuto il difetto di agibilità dell’immobile. La ricorrente espone che l’immobile locato è parte di un più ampio locale commerciale suddiviso, prima della locazione in questione, in tre parti (una delle quali locata all’attuale ricorrente) e che la certificazione di agibilità allegata dalla locatrice al momento della stipula della locazione riguardava l’immobile originario, prima della detta suddivisione, sicché non era relativa all’immobile locato e, pertanto, la conduttrice si era falsamente rappresentata l’esistenza dell’agibilità a causa della espressa dichiarazione della locatrice (v. art. 14 del contratto di locazione) di aver ottenuto, in relazione all’immobile locato, la “licenza di agibilità”, così cadendo in errore su una qualità essenziale del bene oggetto del contratto.
2. Il secondo motivo è relativo al capo della sentenza che ha rigettato la domanda di risoluzione per inadempimento, avendo la Corte territoriale ritenuto irrilevante il difetto di agibilità dell’immobile locato per non aver tale carenza inciso sul sinallagma contrattuale: a) in quanto le caratteristiche intrinseche del bene locato non avrebbero impedito alla parte locatrice di ottenere il successivo rilascio della certificazione di agibilità in corso di causa; b) sulla base del programma negoziale intercorso tra le parti non poteva ritenersi assunto un obbligo specifico, da parte del locatore, di ottenere il rilascio del certificato di agibilità dell’immobile.
Il mezzo si articola in due censure.
2.1. Con la prima, la ricorrente denunzia la violazione o falsa applicazione dell’art. 1575 c.c., n. 3), e dell’art. 1453 c.c., con riferimento, in particolare, alla prima delle ragioni indicate dalla Corte di merito e sopra riportate alla lett. a). Ad avviso della D.N., la Corte di appello avrebbe dovuto rilevare che l’assenza del certificato di agibilità avrebbe fatto sì che l’attività commerciale fosse svolta non lecitamente dalla ricorrente e che la stessa avrebbe, pertanto, potuto essere interdetta in qualunque momento, con conseguente ingiusta ed improvvisa interruzione della medesima attività commerciale.
Sostiene la ricorrente che la circostanza per cui l’immobile avesse sin dall’inizio le caratteristiche materiali intrinseche per ottenere il certificato di agibilità e che nel corso del giudizio tale atto sia effettivamente stato rilasciato dal Comune di Francavilla al Mare sarebbe irrilevante rispetto all’inadempimento di cui si sarebbe resa responsabile la società convenuta: infatti, secondo la giurisprudenza l’inadempimento dovrebbe essere valutato con esclusivo riferimento al momento della presentazione della domanda di risoluzione, non potendo tenersi in considerazione, per chiara previsione legislativa (art. 1453 c.c., comma 2), alcun fatto successivo alla proposta domanda di risoluzione.
2.2. Nella seconda parte, il mezzo attiene alla statuizione della Corte territoriale secondo cui la locatrice non avrebbe assunto alcun obbligo specifico di ottenere il rilascio del certificato di agibilità dell’immobile. La ricorrente denunzia violazione o falsa applicazione degli artt. 1322,1374,1453 e 1455 c.c., sostenendo che nel contratto era presente la clausola n. 14, con la quale il “locatore dichiara che l’immobile è in regola con le norme edilizie ed urbanistiche, avendo ottenuto concessioni di edificazioni e licenza di abilità” e che l’art. 23, prevedeva, inoltre, che il contratto dovesse risolversi di diritto per violazione, tra le altre, della clausola di cui all’art. 14, avente carattere espressamente essenziale. Pertanto, secondo la ricorrente, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di merito, non potrebbe affermarsi che il già richiamato art. 14, del contratto di locazione non avrebbe posto alcuna obbligazione in capo al locatore di ottenere il certificato di agibilità dell’immobile.
La domanda di risoluzione di diritto del contratto a fronte dell’operare di una clausola risolutiva espressa (il citato art. 23) è stata dichiarata tardivamente proposta dal Tribunale e dalla Corte di appello: di ciò l’odierna ricorrente non si duole (“il giudice del merito ha correttamente ritenuto che la domanda della conduttrice di risoluzione per clausola risolutiva espressa fosse stata proposta tardivamente”, pag. 18 del ricorso), ma, al contempo, denuncia che la Corte di merito non abbia tenuto conto del colposo inadempimento della locatrice rispetto all’obbligazione di garantire l’esistenza dell’agibilità dell’immobile medesimo avente carattere essenziale per espressa previsione contrattuale.
3. Con il terzo motivo la ricorrente denunzia violazione o falsa applicazione dell’art. 1578 c.c., per aver la Corte territoriale ritenuto che il difetto di certificazione di agibilità non costituisca vizio della cosa locata tale da influire sull’idoneità del bene all’uso pattuito ai sensi dell’art. 1578 c.c.. Sostiene la D.N. che la concessione in locazione di un immobile ad uso non abitativo necessariamente comporta che tale immobile debba avere tutte le caratteristiche necessarie a consentirne l’uso pattuito, configurandosi, in mancanza, un godimento illecito dello stesso; la Corte territoriale non avrebbe, pertanto, fatto corretta applicazione dell’art. 1578 c.c., in quanto non avrebbe considerato che l’illecito godimento del bene avrebbe comportato un vizio tale da rendere il bene inidoneo all’uso pattuito, che giustificherebbe la domanda di risoluzione.
4. I motivi, essendo strettamente connessi, ben possono essere esaminati congiuntamente.
L’errore di diritto, che viene in rilievo ai sensi dell’art. 1429 c.c., n. 4, ricorre quando il consenso di una parte sia determinato da falsa rappresentazione circa l’esistenza, l’applicabilità o la portata di una norma giuridica, imperativa o dispositiva, e tale vizio sia rilevabile dall’altro contraente con l’uso della normale diligenza (Cass., 29/04/1982, n. 2088; Cass. 1/03/1995, n. 2340; Cass. 19/08/1996, n. 7629), errore che nella specie non ricorre, sicché, sotto tale profilo le doglianze della ricorrente sono fondate.
Va però osservato che neppure ricorre l’errore sulla qualità dell’oggetto di cui all’art. 1429 c.c., vertendosi, nella specie, in tema non di mancanza in astratto delle qualità dell’oggetto del contratto rispetto a quelle rappresentate (v., condivisibilmente sul punto, Cass. ord., 13/06/2018, n. 15378) ed evidenziandosi che il più recente orientamento della giurisprudenza di legittimità (v. da ultimo Cass. 21/08/2020, n. 17557), al quale va data continuità in questa sede, proprio sul rilievo della diretta inerenza della nozione di “vizio” della cosa locata (ai sensi e per gli effetti dell’art. 1578 c.c.) alla struttura materiale del bene, ha escluso dal tema dei vizi della cosa (oltre che da quello sulla validità contrattuale) tutti i casi in cui il bene concesso in godimento sia privo dei titoli amministrativi necessari o indispensabili ai fini della utilizzazione della stessa cosa, in sé considerata (ossia, secondo la propria destinazione economica), o in conformità all’uso convenuto tra le parti, dovendo tale questione integralmente risolversi sul terreno dell’adempimento delle obbligazioni reciprocamente assunte dai contraenti (v., da ultimo, Cass. 20/08/2018, n. 20796 e Cass. 26/07/2016, n. 15377) e non già sul piano dei vizi della cosa locata, come pure un non trascurabile orientamento della giurisprudenza di legittimità (Cass., ord., 13/06/2018, n. 15378, già richiamata sotto altro profilo, e Cass. 7/06/2011, n. 12286) ha in più occasioni (incondivisibilmente) ritenuto di poter fare.
Riportato, pertanto, sul terreno dei prospettabili inadempimenti delle parti, la questione relativa al difetto del certificato di agibilità in parola, va evidenziato che la ricorrente ha lamentato, con le doglianze esplicitate nel secondo motivo ed in particolare nel p. 2.1. del ricorso (v. p. 17 e sgg.), proprio la mancata valutazione del “colposo inadempimento dell’obbligazione di garantire l’esistenza dell’agibilità dell’immobile medesimo assunta contrattualmente dalla locatrice – avente carattere essenziale per espressa previsione contrattuale – a norma dell’art. 1453 c.c., in combinato disposto con gli artt. 14 e 23, del contratto di locazione per cui è causa”, lamentando, quindi, in sostanza, il difetto di ogni valutazione, alla luce del regolamento contrattuale, dell’essenzialità della pattuizione relativa alla sussistenza della “licenza di abitabilità” in relazione al bene locato in considerazione, in particolare, delle appena richiamate clausole contrattuali.
La censura al riguardo è fondata; ne consegue che occorre procedere sul punto valutazioni di merito, che sono rimesse al giudice del fatto.
L’esame di ogni ulteriore questione prospettata dalla ricorrente resta assorbito da quanto sopra evidenziato.
5. In conclusione, il ricorso va accolto per quanto di ragione; la sentenza impugnata va cassata e la causa va rinviata, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di appello di l’Aquila, in diversa composizione.
6. Stante l’accoglimento del ricorso, va dato atto della insussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello eventualmente dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di appello di l’Aquila, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 23 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 28 dicembre 2021
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