LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –
Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 20909-2019 proposto da:
G.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G. B. MARTINI 13, presso lo studio dell’avvocato ANDREA DI PORTO, che la rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
CONSIGLIO NOTARILE DI MILANO, rappresentato e difeso dagli avvocati MATTEO GOZZI, e REMO DANOVI, giusta procura in calce al controricorso;
ARCHIVIO NOTARILE DISTRETTUALE DI MILANO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrenti –
nonchè contro PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLIICA PRESSO LA CORTE D’APPELLO DI MILANO;
– intimato –
avverso l’ordinanza della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 24/04/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/12/2020 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;
Udito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. SGROI CARMELO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato Andrea Di Porto per la ricorrete e l’Avvocato Matteo Gozzi per l’Archivio Notarile distrettuale di Milano.
RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE 1. Il notaio G.S. impugnava la decisione della COREDI della Lombardia del 20/7/2018 con la quale le era stata irrogata la sanzione pecuniaria di Euro 38.288,94, per la violazione dell’art. 72, comma 3 L.N., quanto alla mancata tenuta a raccolta di 9182 atti di quietanza, ricevuti per scrittura provata autenticata nelle firme da parte del notaio, di mutui estinti anticipatamente rispetto al termine naturale di scadenza, per effetto del meccanismo della surrogazione, nonchè di Euro 38.288,94 per la violazione dell’art. 62 L.N. per la mancata indicazione, in relazione alle medesime quietanze, dei parametri repertoriali previsti dalla legge ai fini del calcolo dei contributi dovuto agli enti di categoria (così riqualificata la violazione, inizialmente contestata dal Consiglio notarile ai sensi dell’art. 147 L.N., stante il compromesso alla dignità, al decoro, alla reputazione ed al prestigio della classe notarile).
La Corte d’Appello di Milano, nella resistenza del Consiglio Notarile di Milano e dell’Archivio Notarile di Milano, con ordinanza n. 1705 del 24 aprile 2019 ha respinto il reclamo condannando la reclamante al rimborso delle spese di lite.
Quanto alla censura che investiva la pretesa assenza di terzietà ed imparzialità del collegio giudicante della COREDI per essere composto anche da un notaio appartenente allo stesso distretto della reclamante, la decisione rilevava che la stessa fosse infondata, in quanto il dato testuale dell’art. 151 L.N., nel prevedere che il collegio giudicante debba essere formato con notai appartenenti a distretti diversi, per quanto possibile, induce a ritenere che la ratio della norma sia quella di assicurare la tendenziale pluralità e diversificazione dei collegi e non quella di presidiarne l’imparzialità e terzietà, essendo quindi escluso che la presenza di un notaio dello stesso distretto del sanzionato infici la validità della decisione. Quanto al secondo motivo che lamentava la violazione del principio di legalità, sotto il profilo della determinatezza della fattispecie di illecito disciplinare e sotto quello dell’irretroattività e del legittimo affidamento che sarebbe maturato a fronte di una prassi mai censurata prima nè dall’Archivio notarile nè dal Consiglio notarile, l’ordinanza evidenziava che non poteva legittimare un valido affidamento la sola circostanza che in passato non fossero state rilevate le infrazioni oggi oggetto del procedimento disciplinare.
Analogamente, la dichiarazione di non luogo a provvedere emessa il 7/9/2017 nei confronti di altro notaio sottoposto ad analogo procedimento disciplinare, dall’allora Sovrintendente e la comunicazione rivolta al Presidente della COREDI del 9/10/2017 dello stesso Sovrintendente, espressiva di perplessità in ordine alla corretta individuazione della rilevanza della quietanza a fini di pubblicità immobiliare non permettevano di affermare che vi fosse un univoco precedente orientamento che avallasse la condotta del notaio G., che non provvedeva a repertoriare le quietanze di cui aveva autenticato la sottoscrizione.
Quanto alla diversa ordinanza emessa dal Tribunale di Milano in data 22/8/2018, all’esito di un procedimento sommario introdotto da un notaio parimenti interessato dalla vicenda disciplinare per cui è causa, che aveva ritenuto legittima la condotta sanzionata, secondo i giudici di appello la stessa non costituiva la prova di preesistenti prassi ed interpretazioni difformi in giurisprudenza, essendo necessario altresì ribadire che il provvedimento de quo era stato impugnato in appello, e comunque non poteva assumere carattere vincolante nel procedimento disciplinare.
Alla medesima conclusione doveva pervenirsi quanto ai rilievi svolti dall’Antitrust, che avrebbe riscontrato un’oggettiva incertezza della prassi notarile, occorrendo evidenziare l’impossibilità di una concreta interferenza tra le indagini dell’autorità della concorrenza (che investono il particolare angolo visuale della tutela della concorrenza del settore) e il ruolo del procedimento disciplinare, posto che una violazione di tal fatta non potrebbe essere esclusa ove anche si accertasse che il Consiglio notarile abbia posto in essere delle intese anticoncorrenziali.
Parimenti era disatteso il terzo motivo di reclamo, con il quale si denunciava l’inammissibilità o l’improcedibilità dell’azione disciplinare per essere stata intrapresa dal Presidente del Consiglio Notarile, per infrazioni non deontologiche emerse in sede di ispezione nonchè la analoga improcedibilità ed inammissibilità dell’azione disciplinare iniziata dall’Archivio notarile per violazione del principio di correttezza ed abuso del diritto.
Infatti, doveva riconoscersi una generalizzata potestà di iniziativa disciplinare al Consiglio notarile, sussistendo un limite solo per il capo dell’archivio notarile, che può promuovere il procedimento disciplinare limitatamente alle infrazioni rilevate durante l’attività ispettiva.
Passando alle censure di merito, la Corte d’Appello disattendeva il motivo con il quale si contestava l’illegittimità, erroneità ed ingiustizia della decisione per violazione del principio di legalità e di buon andamento ed imparzialità, nonchè per la violazione del principio di non discriminazione.
Era, infatti, da escludersi che la reclamante, unitamente agli altri colleghi dello studio associato, fosse stata assoggettata ad un’attività persecutoria, non potendo addurre come argomento a favore di tale tesi la circostanza che, a suo dire, altri notai responsabili di analoghe violazioni non fossero stati a loro volta oggetto di procedimento disciplinare.
Passando alla censura che investiva la dedotta violazione dell’art. 72, comma 3 L.N., la decisione gravata richiamava il dettato dell’art. 1202 c.c., in tema di surrogazione per volontà del debitore, disciplina che è a sua volta richiamata dall’art. 120 quater TUB.
Atteso il rapporto di genere a specie che esiste tra la prima norma codicistica e quella di cui alla legge speciale, stante anche l’identità del meccanismo strutturale voluto da entrambe le norme (avendo il testo unico implementato la possibilità di surrogazione codicistica ai rapporti di mutuo instaurati con banche e istituti di credito, anche in caso di non esigibilità del credito o di pattuizione di un termine a favore del creditore), rispondendo la novella alla volontà del legislatore di assicurare la portabilità dei mutui al fine di permettere al mutuatario di sostituire un mutuo ormai divenuto poco conveniente con un nuovo mutuo a condizioni economiche più vantaggiose, si dovevano richiamare le conclusioni cui si è pervenuti in merito alla rilevanza della quietanza nella previsione di cui all’art. 1202 c.c.
Questa, infatti, costituisce un elemento costitutivo della fattispecie normativa, dovendo quindi ritenersi impossibile, ai fini ipotecari, la sola annotazione della surroga, senza anche quella della quietanza.
Non rilevava quindi se la quietanza fosse contenuta nello stesso atto con cui viene contratto il nuovo mutuo o se fosse prevista in un successivo ed autonomo atto, ma ai fini pubblicitari il titolo richiesto dall’art. 2843 c.c. per il subentro del nuovo creditore nel diritto di ipoteca, presuppone che al conservatore debba essere consegnata anche la quietanza.
Ciò implica che anche per tale atto si impongano le formalità previste dalla L.N. ai fini della certezza della pubblicità, e ciò anche quando il notaio si limiti solo ad autenticare la sottoscrizione delle parti.
La conclusione esposta trovava poi coerenza nel dettato dell’art. 161 quater, comma 7 TUB che, nel prevedere che gli atti di consenso alla surrogazione sono autenticati dal notaio senza l’applicazione di alcun onorario e con il solo rimborso delle spese, intende evitare di gravare i debitori interessati alla portabilità del mutuo degli oneri economici connessi all’operazione.
Infatti, la norma prosegue prevedendo che la quietanza ed il contratto stipulato con il creditore surrogato debbano entrambi essere consegnati al notaio per essere prodotti unitamente all’atto di surrogazione, e che con il provvedimento di cui all’art. 120 quater, comma 3 sono stabilite le modalità di presentazione al conservatore per la quietanza, il contratto e l’atto di surrogazione.
La volontà legislativa di correlare i tre atti indicati, impone quindi di ritenere che anche la quietanza sia atto sottoposto a pubblicità immobiliare, non potendosi valorizzare in senso contrario il secondo inciso dell’art. 120 quater TUB, comma 3 secondo cui l’annotamento della surrogazione può essere richiesto senza formalità, allegando copia autentica dell’atto di surrogazione, posto che il richiamo all’assenza di formalità non esclude che anche la quietanza debba in ogni caso essere presentata al conservatore per la doverosa annotazione.
Ne derivava che correttamente era stata contestata al notaio G., e per ben 9182 quietanze, la violazione dell’art. 72, comma 3 L.N. Doveva del pari essere rigettato il motivo che atteneva alla violazione di cui all’art. 72 comma 3, quanto alle quietanze predisposte in forma digitale, sul presupposto che fossero state conservate conformemente alle prescrizioni del CAD, in quanto la violazione atteneva specificamente al mancato rispetto delle modalità di conservazione previste dall’art. 62 bis L.N., che non sono garantite dal sistema invece adottato dal notaio.
In merito al motivo che deduceva l’illegittima applicazione dell’art. 62, comma 2, n. 7 L.N., e cioè la mancata annotazione a repertorio per le suddette quietanze dei parametri previsti dalla L.N. per il calcolo dei contributi da versare e della tassa da versare all’Archivio Notarile, la decisione gravata, dopo aver richiamato la possibilità di ricorrere ad un unico atto, ovvero a due distinti atti (consenso alla surrogazione e quietanza), rilevava che in questa seconda ipotesi l’atto, in quanto estintivo dell’originario contratto di mutuo, è sottoposto ad un parametro pari al 25% in caso di mutuo fondiario (e del 50% se il mutuo originario non ha tale carattere).
Inoltre, doveva escludersi la possibilità di invocare la previsione di cui al D.M. n. 265 del 2012, art. 6 che fa riferimento invece alle quietanze rilasciate dal mutuatario (e quindi non dal mutuante) a conclusione del perfezionamento del contratto di mutuo.
Infine, era disatteso anche l’ultimo mezzo di impugnazione con il quale si invocava l’illegittimità del cumulo materiale di sanzioni, poichè secondo la Corte d’Appello il cumulo giuridico può essere invocato solo in caso di concorso formale e non invece quando vi sia, come nella specie, una pluralità di violazioni, commesse con più azioni ed omissioni.
Avverso tale ordinanza propone ricorso G.S. sulla base di sei motivi.
L’Archivio Notarile di Milano ed il Consiglio Notarile di Milano hanno resistito con controricorso.
Il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Milano è rimasto intimato.
Tutte le parti hanno depositato memorie in prossimità dell’udienza.
2.1 Il primo motivo di ricorso deduce ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 4, la violazione o falsa applicazione dell’art. 93 ter, dell’art. 153, comma 1, lett. c), art. 156 bis, comma 5, art. 158 L.N., nonchè dell’art. 12 preleggi e dell’art. 3 Cost..
Si deduce che sia il Sovrintendente dell’Archivio Notarile che il Presidente del Consiglio Notarile hanno contestato alla ricorrente la violazione di norme non deontologiche, rilevate in sede di ispezione biennale.
In tal caso però la competenza ad esercitare l’azione disciplinare compete esclusivamente al primo, così che la corrispondente azione esercitata dal secondo doveva essere dichiarata improcedibile.
La Corte d’Appello ha erroneamente affermato che non vi sarebbe alcun limite al potere spettante al Presidente del Consiglio notarile, ma tale conclusione non tiene conto della riforma del procedimento disciplinare del 2006 che, nell’introdurre il potere de quo a favore del Sovrintendente ha però escluso che questi potesse invadere la competenza in materia di infrazioni di carattere deontologico, ma senza che il Presidente del Consiglio potesse sostituirsi al Capo dell’archivio notarile.
Per l’effetto, poichè nella specie sono state contestate infrazioni non deontologiche, la competenza spettava unicamente al Sovrintendente, essendo quindi interesse della ricorrente sentire accertare l’improcedibilità dell’azione disciplinare esercitata dal Presidente del Consiglio notarile, senza che abbia rilievo il successivo intervento sanante dello stesso Sovrintendente.
2.2 Il secondo motivo denuncia ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 la violazione o falsa applicazione dell’art. 151, comma 1, art. 154, comma 1 L.N., artt. 3,41,97,111 Cost. e art. 117 Cost., comma 1 in relazione all’art. 6 della CEDU.
Si rileva che è stato violato il principio di terzietà ed imparzialità del giudice, in quanto il commissario relatore che ha redatto anche il provvedimento di condanna della ricorrente era un notaio appartenente al distretto notarile di Milano.
La Corte d’Appello ha erroneamente disatteso il motivo di impugnazione con il quale si lamentava la violazione dell’art. 151 citato, che prevede che i collegi giudicanti della COREDI debbano essere formati, in quanto possibile, da notai che devono appartenere a distretti notarili diversi.
Trattasi di una norma posta a tutela del notaio sottoposto a procedimento disciplinare, al fine di rafforzare la garanzia di imparzialità dell’organo giudicante.
Il precedente di legittimità conforme alla decisione impugnata però non tiene conto della necessità di rispettare alcuni principi fondamentali garantiti dalla Costituzione come quello di libertà di concorrenza, imparzialità della PA e del giusto processo dinanzi ad un giudice terzo ed imparziale.
2.3 Il terzo motivo di ricorso denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione dell’art. 3 Cost., art. 25 Cost., comma 2 e art. 97 Cost., L. n. 689 del 1981, art. 1, comma 1 e 2 e art. 3 ed ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 116 c.p.c. e art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, nonchè ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.
Si sostiene che è stata erroneamente disattesa la deduzione secondo cui risultava carente l’elemento soggettivo dell’illecito disciplinare, e che ciò non ha tenuto conto dei principi di prevedibilità, tassatività ed irretroattività dell’illecito ascritto.
In primo luogo, è stato trascurato che tutte le quietanze di cui si contesta la mancata messa a raccolta, sono state tutte regolarmente iscritte nei pubblici registri immobiliari, circostanza questa che era idonea ad ingenerare il convincimento della legittimità della prassi seguita dalla ricorrente.
Inoltre, anche nei casi in cui alcuni Conservatori avevano opposto un rifiuto, i giudici del registro hanno ritenuto l’illegittimità di tale rifiuto.
Ancora, nel corso del giudizio era stato rappresentato che l’attestazione proveniente dal Sovrintendente dell’Archivio Notarile di Milano contenuta nel verbale ispettivo 2015/2016 dava atto che in passato non si era giunti a conclusioni diverse da quelle verbalizzate in precedenza in casi analoghi, allorchè alcun rilievo era stato sollevato quanto alla mancata raccolta delle quietanze.
Altro elemento è rappresentato dalle risposte fornite dai Sovraintendenti dei maggiori archivi notarili d’Italia, alla richiesta dell’Ufficio Centrale Archivi Notarili del 12/3/2018, le quali attestavano che in alcuni distretti i notai non indicavano alcun parametro, che in altri veniva indicato il parametro fisso e che anche nel caso in cui si era proceduto a recuperare tasse e contributi, non era stata applicata alcuna sanzione disciplinare.
Si aggiunge che la questione concernente la rilevanza ai fini della pubblicità immobiliare delle quietanze oggetto di causa ha natura extradisciplinare, in merito alla quale, all’epoca cui risalgono i fatti contestati, mancava un univoco orientamento in giurisprudenza, mancando anche una precisa indicazione da parte delle istituzioni del notariato.
La condotta tenuta dalla ricorrente doveva quindi reputarsi quanto meno giuridicamente plausibile, trovando conforto anche nel contenuto dell’ordinanza del 22 agosto 2018 del Tribunale di Milano, che adita ex art. 702 bis c.p.c. da altro professionista sottoposto ad analogo procedimento disciplinare, ha ritenuto di escludere che la quietanza fosse atto sottoposto a pubblicità immobiliare.
Inoltre, quanto alla mancata indicazione dei parametri repertoriali, si rileva che lo stesso organo che aveva promosso l’iniziativa disciplinare, aveva inizialmente male individuato la norma violata, contestando l’art. 147, lett. a) L.N., anzichè la previsione di cui all’art. 62, comma 2, n. 7 medesima legge.
2.4 Il quarto motivo denuncia ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione degli artt. 120 quater TUB, artt. 1202,2678,2843 e 2835 c.c., nonchè dell’art. 72, comma 3 e art. 137, comma 1 L.N..
La censura investe la corretta soluzione da dare alla questione relativa alla qualificazione della quietanza autenticata nell’ambito del meccanismo delle surroghe di mutui fondiari, e cioè occorre stabilire se le stesse siano o meno titolo ai fini della pubblicità immobiliare.
Si evidenzia che l’art. 72, comma 3 citato prevede l’obbligo di conservare a raccolta solo delle scritture private autenticate soggette a pubblicità immobiliare, ed il giudice di merito ha ritenuto di far rientrare tra queste anche le quietanze separatamente rilasciate dalla banca soddisfatta.
Il ragionamento del giudice di merito si fonda sulla concezione unitaria dell’operazione prevista dal legislatore, che imporrebbe di annotare anche la quietanza.
Tuttavia, la surrogazione di cui all’art. 120 quater costituisce una fattispecie che si distingue da quella codicistica di cui all’art. 1202 c.c., attese le differenze in merito alla possibilità di optare per la surroga anche in caso di credito inesigibile o sottoposto a termine nell’interesse del creditore.
L’operazione di portabilità risponde quindi all’esigenza di consentire al debitore di rinegoziare i mutui in precedenza contratti, individuando un nuovo mutuante, a condizioni economicamente più vantaggiose, e permettendo a questi di subentrare nel rapporto, ivi incluse nelle eventuali garanzie ipotecarie.
A tal fine occorre quindi procedere all’annotazione della sola surrogazione e cioè dell’atto con il quale si contrae il nuovo mutuo al fine specifico di estinguere quello precedente.
Il titolo è quindi solo l’atto di surrogazione e non la quietanza e nemmeno il mutuo, ed è solo l’atto di surrogazione che deve essere messo a raccolta.
La necessità di presentare al conservatore per l’annotazione anche la quietanza, non impone che però quest’ultima sia da considerare quale titolo.
A tale conclusione è peraltro pervenuto anche il Tribunale nella ricordata ordinanza del 22 agosto 2018.
Alcuna rilevanza in senso contrario può avere la previsione di cui all’art. 161, comma 7 quater TUB, che dispone che la quietanza ed il contratto stipulato con il creditore surrogato debbano essere forniti al notaio per essere presentati unitamente all’atto di surrogazione, atteso che trattasi di norma speciale, operante solo per le categorie di mutui espressamente disciplinati dallo stesso articolo.
Infine, si aggiunge che l’art. 72, comma 3 vieta al notaio di consegnare alle parti le scritture private autenticate oggetto di pubblicità immobiliare, in quanto devono essere messe a raccolta, ma si trascura che nella specie le quietanze erano state autenticate con modalità digitale e conservate in una struttura informatica che assicura i requisiti di sicurezza prescritti dal CAD, il che esclude la violazione contestata.
2.5 Il quinto motivo denuncia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 la violazione o falsa applicazione dell’art. 39, comma 7 TUB, del D.M. n. 265 del 2012, art. 6, lett. d), n. 11 nonchè dell’art. 62, comma 2, n. 7 e art. 137, comma 1 L.N..
La decisione impugnata ha ritenuto che, nel caso in cui la quietanza non sia contenuta nell’atto di surrogazione, allora la quietanza successivamente emessa dovrebbe essere sottoposta ad autonoma tassazione e contribuzione.
La decisione riprende le argomentazioni della nota dell’UCAN del 27/12/2017 (autonomamente impugnata dinanzi al TAR), nota che però si connota come illogica ed illegittima in quanto ritiene che la quietanza, se autonoma, sia sottoposta all’indicazione del parametro.
Non si comprende la differenza con l’ipotesi in cui l’atto sia unico e contenga al suo interno anche la quietanza, poichè in tal caso la quietanza, ai sensi del D.M. n. 265 del 2012, art. 7, comma 8 è esente dall’indicazione di un autonomo parametro, in quanto inserita in un atto che contiene più disposizioni necessariamente connesse e derivanti per intrinseca natura le une dalle altre.
Ma una volta ammessa la natura connessa e derivante della quietanza, non è dato comprendere la ragione per la quale, se contenuta in un atto autonomo, debba essere sottoposta a contribuzione e tassazione.
Conforta tale convincimento la previsione di cui al D.M. n. 265 del 2012, art. 6, lett. d), n. 11 che disponendo che il parametro per le quietanze di somme concesse a mutuo, stipulate con atto successivo, è di Euro 46,00, esclude però le quietanze di mutui di credito fondiario, agrario ed equiparati.
Non si giustifica quindi la diversa conclusione del giudice di merito.
Inoltre, ai sensi dell’art. 39, comma 7 TUB, si prevede che gli atti e le formalità ipotecarie, anche di annotazione, si considerano come una sola stipula, una sola operazione sui registri immobiliari ed un solo certificato.
Poichè i mutui in surrogazione sono una modalità tipica di erogazione del mutuo fondiario, la disciplina dei parametri (e prima degli onorari) notarili succedutasi nel tempo ha sempre previsto che l’importo da indicare a repertorio è unico, e deve essere indicato per il primo atto.
Ne deriva che la quietanza del precedente mutuante non è atto ontologicamente autonomo rispetto al mutuo in surrogazione e che quindi, trattandosi di quietanza di erogazione di mutuo fondiario è esente dal pagamento dei contributi.
2.6 Il sesto motivo denuncia la violazione o fali3 applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 8 nonchè dell’art. 135, comma 4 L.N..
Si rileva che la Corte d’Appello ha confermato la sanzione che corrisponde alla pena prevista per ogni singola violazione moltiplicata, in relazione alle due violazioni contestate, per il numero di quietanze autenticate.
In tal modo è stata negata l’applicazione del cumulo giuridico, a fronte di un concorso di infrazioni.
La soluzione de qua, che pur trova conforto in alcuni precedenti di legittimità, deve però essere rimeditata alla luce del carattere seriale delle infrazioni riscontrate, e che sono frutto di un unitario errore di interpretazione della legge. Inoltre, occorre valutare anche la conformità della soluzione alla luce dei principi di ragionevolezza e proporzionalità.
3. Il primo motivo di ricorso è infondato.
Va però in primo luogo ribadita l’ammissibilità del motivo che nella sostanza denuncia un error in procedendo, a fronte della previsione di cui al D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 26 che si limita a prevedere la ricorribilità in cassazione delle decisioni adottate dalle Corte d’Appello in materia di procedimenti disciplinari concernenti i notai solo per violazione di legge.
All’uopo, va richiamato l’intervento delle Sezioni Unite di questa Corte che, con la sentenza n. 1415/2019, hanno affermato che, in tema di procedimento disciplinare nei confronti dei notai, cui si applica il D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 26 il ricorso per cassazione avverso la decisione della Corte d’appello, adottata sul reclamo nei confronti del provvedimento disciplinare, deve intendersi ammesso anche per le violazioni di norme processuali riconducibili ai vizi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in forza di un’interpretazione costituzionalmente orientata ed al fine di garantire la piena tutela delle garanzie primarie del diritto di difesa e del diritto al contraddittorio.
In disparte l’inammissibilità della censura nella parte in cui, pur riferendo di una concorrente iniziativa disciplinare del Presidente del Consiglio notarile e del capo dell’Archivio notarile territoriale, mira a far accertare l’improcedibilità e l’inammissibilità solo della prima, con un risultato che, ove anche favorevole, non eliderebbe la legittima prosecuzione del procedimento disciplinare e la conseguente irrogazione della sanzione, essendo a tal fine sufficiente anche solo la seconda, occorre effettivamente rilevare che, nel sistema precedente la menzionata riforma, nel procedimento giurisdizionale in materia di sanzioni disciplinari a carico di notai – tanto se successivo alla fase amministrativa demandata al Consiglio notarile locale che avesse applicato una sanzione disciplinare minore (avvertimento o censura), quanto se instaurato, su iniziativa del pubblico ministero, per l’applicazione, diretta e per la prima volta, delle sanzioni più gravi (ammenda, sospensione o destituzione) – il Consiglio dell’ordine cui apparteneva il notaio incolpato era, in ogni caso, parte del giudizio, essendo portatore di un interesse alla esatta applicazione della sanzione disciplinare, ed era quindi legittimato ad impugnare la relativa sentenza.
Tuttavia con il D.Lgs. 1 agosto 2006, n. 249, sono stati sostituiti, tra gli altri, anche gli artt. 153 e segg. della L. n. 89 del 1913, così che l’iniziativa per l’apertura del procedimento disciplinare è stata attribuita al Procuratore della Repubblica, al Presidente del Consiglio notarile ed al Capo dell’Archivio notarile territoriale (art. 153 vig.), mentre la competenza a conoscere degli illeciti disciplinari commessi dai notai appartiene alla Commissione Amministrativa Regionale di Disciplina, presieduta da un magistrato.
Con la sentenza n. 21828 del 2019, questa Corte ha avuto modo di chiarire che il Consiglio notarile cui appartiene il notaio incolpato è parte necessaria nella fase giurisdizionale soltanto nell’ipotesi in cui il Presidente di detto Consiglio abbia promosso l’azione disciplinare oppure sia intervenuto nella fase procedimentale svolta innanzi la Commissione Amministrativa Regionale di Disciplina, ricordando come la facoltà di intervento non è riconosciuta al Capo dell’Archivio notarile (L. n. 89 del 1913, art. 156 bis, n. 5), nel caso di iniziativa disciplinare assunta da altro soggetto.
Tuttavia, il tema qui sollecitato è quello relativo all’ampiezza dei poteri di iniziativa disciplinare del Presidente del Consiglio notarile, nell’ipotesi in cui la violazione di norme non deontologiche, quali quelle interessate dalla contestazione in esame, emerga dall’attività ispettiva del Sovrintendente del locale archivio notarile.
La L. n. 89 del 1913, art. 153 così dispone:
“1. L’iniziativa del procedimento disciplinare spetta:
a) al procuratore della Repubblica presso il Tribunale nel cui circondario ha sede il notaio ovvero nel cui circondario il fatto per il quale si procede è stato commesso;
b) al presidente del Consiglio notarile del distretto nel cui ruolo è iscritto il notaio ovvero del distretto nel quale il fatto per il quale si procede è stato commesso. Se l’infrazione è addebitata allo stesso presidente, l’iniziativa spetta al consigliere che ne fa le veci, previa delibera dello stesso consiglio. La stessa delibera è necessaria in caso di intervento ai sensi dell’art. 156 bis, comma 5;
c) al capo dell’archivio notarile territorialmente competente per l’ispezione di cui all’art. 128, limitatamente alle infrazioni rilevate durante le ispezioni di cui agli artt. 128 e 132 o nel corso di altri controlli demandati allo stesso capo dell’archivio dalla legge, nonchè al conservatore incaricato ai sensi dell’art. 129, comma 1, lett. a), secondo periodo.
2. Il procedimento è promosso senza indugio, se risultano sussistenti gli elementi costitutivi di un fatto disciplinarmente rilevante.
3. Nella richiesta di procedimento l’organo che lo promuove indica il fatto addebitato e le norme che si assumono violate e formula le proprie conclusioni.”
Ritiene il Collegio che la corretta interpretazione della norma, e precisamente dell’utilizzo dell’avverbio “limitatamente”, sia proprio quella indicata dalla Corte d’Appello che ha ritenuto che l’intento sia quello di porre un limite, costituito dalle sole infrazioni rilevate nel corso dell’attività ispettiva, per il solo capo dell’archivio notarile, limite che invece non sussiste per la concorrente iniziativa disciplinare degli altri soggetti di cui alle lettere a) e b), ancorchè le stesse possano essere sollecitate dall’attività ispettiva posta in essere dal terzo soggetto indicato dalla norma.
Infatti, ove l’intento del legislatore fosse stato quello di precludere al Presidente del Consiglio notarile o al Procuratore della Repubblica di potersi attivare nel caso di infrazioni emerse a seguito dell’attività ispettiva, sarebbe stato necessario l’utilizzo del diverso avverbio “esclusivamente”, volto appunto a delineare una competenza esclusiva del capo dell’archivio notarile.
L’assenza di limitazioni invece al potere di iniziativa disciplinare dei soggetti di cui alle lett. a) e b) dell’articolo in esame (che trova conferma, quanto al Presidente del Consiglio notarile, nella previsione di cui all’art. 93 ter stessa L.N. che, per l’ipotesi di inosservanza di leggi, di regolamenti, di principi e norme deontologiche elaborati dal Consiglio nazionale del notariato ovvero la per violazione di altri doveri da parte del notaio, prevede l’iniziativa disciplinare, senza alcuna limitazione) depone quindi per la correttezza della conclusione secondo cui il Presidente del Consiglio Notarile ben può, ed anche in via concorrente, attivarsi per la contestazione degli illeciti disciplinari, sebbene emersi a seguito dell’attività ispettiva del capo dell’archivio notarile.
4. Il secondo motivo di ricorso è infondato.
L’art. 151 L.N. dispone che:
“1. Il presidente della Commissione forma i collegi giudicanti, avendo cura, in quanto possibile, di assegnarvi notai appartenenti a distretti diversi. Ciascun collegio è composto dal presidente della Commissione, che lo presiede, e da due notai. 2. I componenti della Commissione, se necessario, possono essere temporaneamente applicati ad altro collegio con provvedimento del presidente.
3. Con il provvedimento di cui al comma 1 il presidente della Commissione fissa preventivamente i criteri oggettivi per l’assegnazione dei procedimenti ai collegi, per le applicazioni e le sostituzioni dei componenti.”
Sostiene la ricorrente che la norma imporrebbe invece, a pena di invalidità della decisione, l’assegnazione al collegio della COREDI chiamato a pronunciarsi di notai appartenenti a distretti diverso da quello cui appartiene il notaio sottoposto a procedimento disciplinare.
La deduzione non può però essere accolta.
In tal senso, come già sottolineato da Cass. n. 21203/2011, la previsione de qua trova applicazione, per disposizione espressa, soltanto “in quanto possibile”, senza che, pertanto, derivi alcuna conseguenza dalla sua inosservanza, e senza che la differente disposizione dettata in tema di procedimenti disciplinari a carico di appartenenti all’ordine forense possa costituire un parametro di riferimento, tale da indurre a dubitare della legittimità della norma notarile, rientrando la diversa scelta operata dalla L. n. 247 del 2012 nella discrezionalità del legislatore.
La disposizione di cui si censura l’applicazione mira invece essenzialmente ad assicurare un’omogenea composizione dei collegi giudicanti, senza che però possa desumersi in maniera aprioristica, come invece prospettato dalla ricorrente, un’incompatibilità tra notai dello stesso distretto, in ragione di un sottostante ed intrinseco interesse alla decisione, addivenendosi quindi alla conclusione che ogni iniziativa disciplinare e la successiva decisione sarebbero anche ispirate dal malcelato intento di trarre vantaggio dalla concreta irrogazione della sanzione, in vista del vantaggio concorrenziale che dalla stessa ne trarrebbero gli altri appartenenti al distretto notarile.
Il pericolo che ciò possa in concreto verificarsi è però scongiurato dalla successiva previsione di cui all’art. 154 che prevede l’obbligo di astensione dei componenti della COREDI nei casi indicati all’art. 51 c.p.c., nonchè la facoltà per il notaio sottoposto a procedimento disciplinare di poter ricusare gli stessi componenti a norma dell’art. 52 c.p.c..
In assenza, quindi, di una diversa opzione normativa, deve ritenersi che il mancato adeguamento alle direttive circa le modalità di composizione del collegio giudicante della COREDI, in ragione della provenienza del notaio coinvolto, non determini alcuna invalidità sulla decisione alla quale abbia concorso un notaio appartenente al medesimo distretto del notaio sub iudice, le cui garanzie appaiono adeguatamente assicurate dagli istituti della ricusazione e dell’astensione.
5. Ragioni di ordine logico, impongono la previa disamina del quarto e del quinto motivo di ricorso, posto che la possibilità di escludere la sanzionabilità delle condotte ascritte, per la buona fede della ricorrente, in virtù dell’affidamento riposto nella prassi adottata, presuppone che venga confermata la contrarietà della prassi alla legge.
5.1 Il regime di cd. portabilità del mutuo risulta introdotto con il D.L. n. 7 del 2007, art. 8 e 8 bis convertito con modifiche con L. 40 del 2007.
La relativa disciplina, all’esito di successive modifiche adottate, in particolare, con il D.L. 29 novembre 2008, n. 185, art. 2, comma 1 bis, convertito con L. n. 2 del 2009, è definitivamente transitata nel D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 120 quater introdotto da D.Lgs. n. 141 del 2010, art. 2.
Ai sensi dell’art. 120 quater TUB, in caso di contratti di finanziamento conclusi da intermediari bancari e finanziari, l’esercizio da parte del debitore della facoltà di surrogazione di cui all’art. 1202 c.c. non è precluso dalla non esigibilità del credito o dalla pattuizione di un termine a favore del creditore. Per effetto della surrogazione di cui al comma 1, il mutuante surrogato subentra nelle garanzie, personali e reali, accessorie al credito cui la surrogazione si riferisce.
La surrogazione comporta il trasferimento del contratto, alle condizioni stipulate tra il cliente e l’intermediario subentrante, con esclusione di penali o altri oneri di qualsiasi natura.
Non possono essere imposte al cliente spese o commissioni per la concessione del nuovo finanziamento, per l’istruttoria e per gli accertamenti catastali, che si svolgono secondo procedure di collaborazione tra intermediari improntate a criteri di massima riduzione dei tempi, degli adempimenti e dei costi connessi. In ogni caso, gli intermediari non applicano alla clientela costi di alcun genere, neanche in forma indiretta, per l’esecuzione delle formalità connesse alle operazioni di surrogazione.
E’ nullo ogni patto, anche posteriore alla stipulazione del contratto, con il quale si impedisca o si renda oneroso per il debitore l’esercizio della facoltà di surrogazione di cui al comma 1.
La surrogazione di cui al comma 1 deve perfezionarsi entro il termine di trenta giorni lavorativi dalla data in cui il cliente chiede al mutuante surrogato di acquisire dal finanziatore originario l’esatto importo del proprio debito residuo. Nel caso in cui la surrogazione non si perfezioni entro il termine di trenta giorni lavorativi, per cause dovute al finanziatore originario, quest’ultimo è comunque tenuto a risarcire il cliente in misura pari all’1 per cento del valore del finanziamento per ciascun mese o frazione di mese di ritardo. Resta ferma la possibilità per il finanziatore originario di rivalersi sul mutuante surrogato, nel caso in cui il ritardo sia dovuto a cause allo stesso imputabili.
Il D.L. n. 185 del 2008, art. 2, comma 1 bis, convertito con L. n. 2 del 2009, ha inoltre previsto che, anche al fine di escludere a carico del mutuatario qualunque costo relativo alla surrogazione, gli atti di consenso alla surrogazione, ai sensi dell’art. 1202 c.c., relativi a mutui accesi per l’acquisto, la ristrutturazione o la costruzione dell’abitazione principale, contratti entro la data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto da soggetti in favore dei quali è prevista la rinegoziazione obbligatoria, sono autenticati dal notaio senza applicazione di alcun onorario e con il solo rimborso delle spese.
A tal fine, la quietanza rilasciata dalla prima banca e il contratto di mutuo stipulato dalla seconda banca devono essere forniti al notaio per essere prodotti unitamente all’atto di surrogazione. Per eventuali attività aggiuntive non necessarie all’operazione, espressamente richieste dalle parti, gli onorari di legge restano a carico della parte richiedente. In ogni caso, le banche e gli intermediari finanziari, per l’esecuzione delle formalità connesse alle operazioni di cui al D.L. 31 gennaio 2007, n. 7, art. 8 convertito, con modificazioni, dalla L. 2 aprile 2007, n. 40, e successive modificazioni, non applicano costi di alcun genere, anche in forma indiretta, nei riguardi dei clienti.
Infine, il D.Lgs. n. 141 del 2010, art. 6 che ha abrogato il D.L. 7 del 2007, artt. 8 e ss. ha introdotto il comma 7 quater del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 161 ha previsto che, per i mutui a tasso variabile e a rata variabile per tutta la durata del contratto, stipulati o accollati, anche a seguito di frazionamento, per l’acquisto, la ristrutturazione o la costruzione dell’abitazione principale entro il 29 gennaio 2009, gli atti di consenso alla surrogazione di cui all’art. 120-quater, comma 1, sono autenticati dal notaio senza l’applicazione di alcun onorario e con il solo rimborso delle spese. A tal fine, la quietanza rilasciata dal finanziatore originario e il contratto stipulato con il creditore surrogato sono forniti al notaio per essere prodotti unitamente all’atto di surrogazione. Per eventuali attività aggiuntive non necessarie all’operazione, espressamente richieste dalle parti, gli onorari di legge restano a carico della parte richiedente.”.
5.2. Alla luce del delineato quadro normativo e sulla scorta del dato testuale delle disposizioni, non è lecito dubitare del fatto che lo scopo normativo – perseguito sin dall’adozione del D.L. 7/2007 – è quello di introdurre elementi di concorrenzialità tra le imprese bancarie non solo nella fase dell’accesso ai finanziamenti da parte dei mutuatari, ma anche in quella successiva della circolazione dei rapporti di mutuo, e di consentire ai mutuatari di sfruttare eventuali dinamiche al ribasso dei tassi di interesse, sia stato perseguito mediante una rivitalizzazione della surrogazione di pagamento per volontà del debitore (art. 1202 c.c.), superando le rigidità, presunte o reali, della disciplina codicistica che ne avevano ostacolato un più diffuso e massiccio utilizzo, nonchè gli ostacoli provenienti da pattuizioni eventualmente introdotte nei contratti, dirette alla conservazione, in capo alle originarie imprese di credito, della titolarità dei rapporti in essere, stante la convenienza che discende dal progressivo attenuarsi, nello svolgimento del rapporto, del rischio di insolvenza del mutuatario.
Univoco in tal senso è l’esplicito rimando alla disposizione dell’art. 1202 c.c. contenuto nell’art. 120 quater TUB, e segnatamente nei commi 1 (in ordine all’ammissibilità della surroga anche in caso di inesigibilità del credito o di fissazione di un termine di adempimento nell’interesse della banca), 5 (concernente la facoltà dell’originario mutuante di pattuire la variazione senza spese delle condizioni del contratto in essere, mediante scrittura privata anche non autenticata, nel caso in cui il debitore intenda avvalersi della surrogazione), 6 (che commina la nullità dei patti che rendono più onerosa la surroga), 7 (che fissa il termine per il perfezionamento dell’operazione), 8 (che esclude, in tal caso, la perdita dei benefici fiscali).
Analogo richiamo alle disposizioni dell’art. 1202 c.c. è contenuto nel D.L. n. 185 del 2008, art. 2, comma 1 bis.
La continuità tra i due istituti si palesa – poi – sul piano degli effetti della fattispecie.
Per orientamento consolidato di questa Corte, la surrogazione ex art. 1201 c.c. e ss. non determina un’estinzione del debito ma la modificazione soggettiva del rapporto obbligatorio originario, con la sostituzione di un terzo all’originario creditore e senza incidenza sull’aspetto oggettivo del rapporto, con la conseguenza che, nonostante il soddisfacimento del creditore mediante il pagamento ad opera del terzo, la struttura del rapporto obbligatorio rimane inalterato ed il debito mantiene le sue iniziali caratteristiche (Cass. n. 4808/1984).
Analogamente, la disciplina speciale, pur riferendo la vicenda successoria al contratto anzichè alla conseguente obbligazione (art. 120 quater, comma 3), lascia persistere le originarie condizioni contrattuali, come eventualmente (e prevedibilmente) modificate in senso più favorevole per il debitore, con esclusione dei patti che prevedano penali o oneri di qualsivoglia natura, condizioni nelle quali subentra il nuovo finanziatore.
Per esplicita scelta normativa, la portabilità ex art. 120-quater si realizza, quindi, tramite la surrogazione per volontà del debitore disciplinata dal codice civile, salve le limitate deroghe ed integrazioni apportate – da ultimo – dal D.Lgs. n. 141 del 2010, le quali – tuttavia – non attingono le disposizioni contenute nell’art. 1202 c.c., comma 3 che restano integralmente applicabili anche nelle operazioni di portabilità dei mutui.
Conducono a tale conclusione l’onnicomprensività del rinvio alle norme codicistiche contenuto nell’art. 120 quater tubs, norma che non contempla specifiche esclusioni, e le indicazioni interpretative che è lecito desumere dell’art. 161, comma 7 quater TUBS, che – sia pure con riferimento al regime transitorio dei mutui a tasso variabile conclusi entro il 29 gennaio 2009, richiede che il contratto di mutuo e la quietanza siano presentati al conservatore per l’annotazione anche nell’ambito delle operazioni di portabilità, atti che, quindi, concorrono ad integrare il titolo dell’annotazione richiesto dall’art. 2843 c.c., unitamente all’atto di consenso alla surrogazione, essendo indicati proprio nella disposizioni codicistica, quali condizioni di efficacia della surroga. Le medesime condizioni sono poi rievocate nel D.L. n. 185 del 2009, comma 1 bis con riferimento agli adempimenti ivi contemplati.
Nessuna esclusione circa l’applicabilità del regime codicistico (come modificato ed integrato dalla disciplina speciale) può essere desunto in via interpretativa: la quietanza munita di data certa è funzionale, anche nell’ambito della portabilità dei mutui, alla tutela dei terzi controinteressati alla surrogazione e dello stesso debitore ex mutuo, poichè solo dal momento del suo rilascio, con i contenuti prescritti per legge, questi può confidare sull’efficacia del subentro e sulla carenza di legittimazione a richiedere il pagamento ad opera del creditore originario.
5.3. L’operazione di subentro nel rapporto originario e nelle relative garanzie presuppone la sussistenza di un contratto di finanziamento ancora in corso ed, inoltre, richiede la stipula di un nuovo contratto di finanziamento volto ad estinguere il precedente rapporto, il pagamento del saldo ancora dovuto, attestato da una quietanza, mediante l’impiego delle somme messe a disposizione dal nuovo mutuante, ed, infine, una dichiarazione di surroga del debitore (art. 1202 c.c., comma 1).
In applicazione dell’art. 1202 c.c., comma 2 il subentro del nuovo finanziatore ha però effetto, ai sensi dell’art. 1202 c.c., comma 2, se: a) il mutuo e la quietanza risultino da atto avente data certa; b) che nell’atto di mutuo è indicata espressamente la specifica destinazione della somma mutuata; c) nella quietanza sia menzionata la dichiarazione del debitore circa la provenienza della somma impiegata nel pagamento.
In concreto, la portabilità può essere condotta in porto o con la stipula di un unico atto cui partecipino tutte le parti interessate e che racchiuda sia il nuovo mutuo che la quietanza (secondo le indicazioni operative suggerite dal protocollo d’intesa del 12.11.2007 tra Consiglio nazionale del notariato e l’ABI), sia mediante il perfezionamento di atti separati (il nuovo contratto di finanziamento tra debitore e nuovo finanziatore e la successive quietanza rilasciata dal creditore originario, con le indicazioni di contenuto stabilite dall’art. 1202 c.c.).
In ogni caso, quale che sia lo schema operativo prescelto dalle parti, e pur essendo apparentemente riservato all’originario mutuante un ruolo attivo nell’operazione di portabilità, non contemplato dal codice civile, resta che nè la contrazione del nuovo mutuo per estinguere quello precedente, nè il pagamento del debito pregresso o la sola dichiarazione di surroga, isolatamente considerati, producono gli effetti voluti dagli art. 1202 c.c. e ss..
Solo la sussistenza di tutti i suddetti elementi, documentati nelle forme di legge, determina l’effetto surrogatorio, sicchè solo la loro compresenza dà luogo al titolo utile per l’annotazione di cui all’art. 2843 c.c.
Ne consegue che, nelle operazioni di portabilità dei mutui di cui al D.Lgs. n. 385 del 1933, art. 120 quater trovando applicazione l’art. 1202 c.c., comma 2, anche la quietanza, che abbia i contenuti indicati della norma, deve essere presentata al conservatore ai fini dell’annotazione, quale documento essenziale per l’efficacia della surrogazione.
Se contenuta in una scrittura privata, è necessaria l’autentica della relativa sottoscrizione, stante l’applicabilità dell’art. 2835 c.c., in virtù del rinvio contenuto nell’art. 2843 c.c.
Deve – dunque – ritenersi che l’art. 120 quater, comma 3 TUB, nel prevedere che l’annotazione sia effettuata senza formalità, abbia introdotto una semplificazione degli adempimenti solo nel senso di sollevare la parte, comunque tenuta a produrre la copia autentica dell’atto di surroga, dalla presentazione della nota, alla cui redazione dovrà provvedere l’ufficio.
Per contro, stante l’applicabilità dell’art. 1202 c.c., comma 2, e, alla luce di un’interpretazione sistematica della normativa, non può ritenersi che la previsione dell’art. 120 quater, comma 3 TUBS consenta l’annotazione ex art. 2843 c.c. sulla base della sola presentazione dell’atto di surrogazione, che l’art. 161, comma 7 quater TUB individua con l’atto di consenso del debitore ex art. 1202 c.c., comma 1.
Tale atto non determina – di per sè – la surrogazione (in mancanza delle altre condizioni prescritte dall’art. 1202 c.c., comma 2) e non integra il titolo utile per l’annotazione, come conferma il fatto che sia l’art. 161, comma 7 quater TUB, sia il D.L. n. 281 del 2009, art. 2, comma 1 bis, esigono comunque la presentazione al conservatore anche della quietanza che del contratto di mutuo.
Nessuna deroga all’art. 2843 c.c. appare – inoltre – introdotta dalla disciplina speciale riguardo ai requisiti formali che deve possedere il titolo dell’annotazione: quest’ultima può compiersi solo sulla base di un atto notarile o di una scrittura privata autenticata, data l’inderogabile esigenza che la pubblicità riguardi un atto di cui sia attestata, nelle forme prescritte dall’art. 2835 c.c., la provenienza da chi l’abbia sottoscritta.
La surrogazione per scrittura privata semplice può – invece produrre effetti tra le parti, come in effetti sembra prescrivere l’art. 120 quater, comma 3 TUB, con previsione che, come osservato in dottrina, ricalca la medesima tecnica normativa dell’art. 2818 c.c., ma non è condizione sufficiente per ottenere, mediante le forme di pubblicità prescritte, anche il subentro nelle garanzie reali da parte del nuovo finanziatore. Per tutte le suindicate ragioni, le quietanze relative alla surrogazione, redatte dal ricorrente nelle forme della scrittura privata, dovevano essere autenticate e presentate per l’annotazione nei registri immobiliari, con obbligo di conservarle a raccolta, ai sensi della L. n. 89 del 1913, art. 72, comma 3.
Non è decisivo che la Circolare 24/E dell’Agenzia delle Entrate – Direzione Centrale pubblicità immobiliare ed affari legali, con l’aggiornamento delle tabelle degli atti soggetti a trascrizione, iscrizione o annotazione, abbia individuato il codice per l’operazione con riferimento solo all’atto di surrogazione.
E’ pur vero che i numeri di registro generale e particolare si mettono sull’atto di surrogazione ma deve restare, come segnalato dal controricorrente, una traccia della quietanza, e ciò senza che rilevi la natura negoziale o meno della stessa.
Infine, non ha alcuna incidenza il riferimento alla modalità di conservazione degli atti con un sistema digitale conforme al CAD, in quanto la legge impone la messa a raccolta degli atti ricevuti nel rispetto della previsione di cui all’art. 62 bis stessa L.N., così che non è sufficiente che alle parti non ne sia stato rilasciato l’originale, ma rileva che l’originale informatico non sia stato conservato come imposto dalla legge.
6. Il quarto motivo è infondato.
Secondo il ricorrente, sia nell’ipotesi in cui la quietanza sia contenuta nell’atto a struttura trilatera, con cui si attua la portabilità, sia quando sia contenuta in un atto separato, non sarebbe necessario indicare alcun parametro, poichè nel primo caso, tale esenzione sarebbe sancita dal D.M. n. 265 del 2012, art. 7, comma 8, essendosi in presenza di un atto contenente più disposizioni connesse, mentre nel secondo caso opererebbe l’art. 6, lett. d), n. 11 medesimo decreto, che esclude dall’applicazione del parametro fisso (Euro 46) le quietanze relative ai contratti di mutuo fondiario.
La pronuncia, ritenendo doverosa l’indicazione del parametro, avrebbe applicato le norme generali in tema di surrogazione e quelle che disciplinano la portabilità dei mutui, che, al contrario delle prime, assegnano un ruolo attivo al finanziatore subentrante.
La tesi non merita adesione.
Va anzitutto osservato, che, per quanto detto in precedenza, non si riscontra alcuna significativa diversità, agli effetti di cui si discute, tra le operazioni di portabilità ex art. 120 quater TUB e la surrogazione per volontà del debitore, richiedendosi in entrambi i casi che nel contratto di mutuo sia indicata la destinazione delle somme e che la quietanza menzioni la provenienza delle somme impiegate per tacitare il primo creditore.
In tal caso, dovendo esser soddisfatto il credito originario, viene in considerazione la quietanza rilasciata proprio dall’originario istituto mutuante, quale espressa condizione di efficacia della surrogazione (art. 1202 c.c., comma 2), come peraltro specifica anche il D.L. n. 195 del 2008, art. 2, comma 1 bis.
Sotto altro profilo, la pronuncia impugnata non ha affatto differenziato, ai fini dell’indicazione dei parametri per la determinazione delle tasse e dei contributi, e con specifico riferimento alle operazioni di portabilità, il trattamento delle quietanze a seconda che esse siano contenute nell’unico atto, a struttura trilaterale, perfezionato dalle parti o siano invece contenute in un atto separato.
La Corte distrettuale ha – invece – esaminato esclusivamente tale ultima opzione operativa, giungendo a negare l’applicabilità sia dell’art. 39, u.c. TUB, che il D.M. n. 265 del 2012, art. 6 sull’assunto che entrambe le norme si riferiscono esclusivamente agli atti afferenti alla fase di concessione del finanziamento originario e non anche a quelli che riguardino le vicende successive del rapporto (cancellazioni delle garanzie, frazionamenti o surroghe per pagamento), recependo le indicazioni contenute nella nota dell’UNAC del 12.12.2007, che aveva esplicitamente sostenuto le medesime argomentazioni.
In ogni caso, è decisivo considerare che il D.M. n. 265 del 2012 contiene una specifica disciplina dei parametri applicabili agli atti di quietanza.
Il D.M. n. 265 del 2012, art. 5, comma 2, rinvia alle previsioni dell’allegato B, comportando l’applicazione dei parametri graduali (50%) sul valore dell’atto, senza alcuna distinzione in base alle modalità con le quali la quietanza sia stata rilasciata, ad eccezione delle ipotesi che essa sia contenuta nell’atto di cancellazione di ipoteca (o nell’atto di consenso alla riduzione di ipoteca ex art. 6, lett. d), n. 6) – nel qual caso il parametro è applicato sull’importo maggiore risultante dal documento – o sia stata emessa ex post ma con riferimento a somme date a mutuo – ipotesi in cui deve applicarsi il parametro fisso di Euro 46, salvo che trattasi di mutui fondiari (cfr., art. 6, lett. d), n. 11).
Per questi ultimi soccorre la disciplina dell’art. 39, u.c. TUB, che all’evidente scopo di contenere i costi del finanziamento, dispone che “agli effetti dei diritti di scritturato e degli emolumenti ipotecari, nonchè dei compensi e dei diritti spettanti al notaio, gli atti e le formalità ipotecarie, anche di annotazione, si considerano come una sola stipula, una sola operazione sui registri immobiliari e un solo certificato. Gli onorari notarili sono ridotti alla metà”.
Anche in tal caso, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la norma (che riproduce fedelmente il disposto del D.P.R. n. 7 del 1976, art. 3), riguarda, in coerenza con la ratio che la sostiene e con lo suo stesso tenore letterale, le quietanze emesse dal mutuatario (e non, come nella surroga, quelle rilasciate dall’originario finanziatore) con riferimento alla fase di concessione del primo finanziamento.
Gli atti successivi che presentino una propria autonomia funzionale e strutturale (quali le quietanze di surrogazione) non possono considerarsi come “un unico atto” ai fini al compimento delle formalità ipotecarie, secondo un principio che appare confermato anche dal D.L. n. 185 del 2009, art. 2, comma 1 bis, che, con esclusivo riferimento alle operazioni ivi contemplate e proprio presupponendo – in via generale l’onerosità degli adempimenti successivi effettuati dal notaio, stabilisce – in via di deroga – che nessun onorario può esser preteso per gli atti di consenso alla surrogazione (i quali, ove operasse l’art. 39, cit., andrebbero considerati un tutt’uno con il finanziamento iniziale), comportando, ai sensi del D.M. n. 265 del 2012, art. 7, comma 1, l’inesigibilità anche di tasse e contributi.
Solo alle quietanze afferenti alla fase della concessione del primo finanziamento si applica, dunque, l’esclusione contenuta nell’art. 6, lett. d), n. 11, pur se rilasciate con atto separato, non potendosi invocare il disposto del D.M. n. 265 del 2012, art. 7, comma 8, (che peraltro non contiene alcun esonero dall’indicazione dei parametri), che, ove esteso automaticamente alle quietanze di pagamento renderebbe del tutto superflui e privi di spazio applicativo l’art. 5, comma 2 e le disposizioni dell’allegato B alla tabella di cui al D.M. n. 265 del 2012.
7. Una volta quindi riscontrata la contrarietà della condotta tenuta dalla ricorrente alle prescrizioni normative in tema di raccolta degli atti e di indicazione dei parametri, di cui ai motivi che precedono, deve quindi valutarsi la fondatezza del terzo motivo di ricorso.
Ad avviso del Collegio anche tale motivo deve essere disatteso. La giurisprudenza di questa Corte ha, infatti, affermato che (Cass. n. 6383/2001) anche in tema di responsabilità disciplinare dei notai deve ritenersi applicabile il principio (tipico di tutti i sistemi sanzionatori, quali quello penale – art. 42 c.p., u.c. – ed amministrativo L. n. 689 del 1981, art. 3 -) secondo cui è necessario che l’illecito sia ascrivibile (almeno) a titolo di colpa all’autore del fatto, con la conseguenza che, anche per il notaio, l’errore sulla liceità del fatto deve ritenersi rilevante (e scriminante) qualora esso risulti incolpevole, dovendosi tuttavia desumere il necessario profilo di non colpevolezza dell’errore stesso da elementi positivi (quale un’assicurazione di liceità da parte della P.A. preposta, ovvero, come nella specie, un provvedimento dell’autorità giudiziaria) idonei ad indurre il professionista all’illecito contestato e non ovviabile con l’uso dell’ordinaria diligenza.
Va altresì precisato che alla fattispecie non risulta pienamente applicabile il diverso principio espresso in relazione alla violazione dell’art. 28 L.N., come specificato da Cass. n. 15892/2011 (conf. Cass. n. 5913/2011), secondo cui, a seguito della novella di cui al D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 34 ai fini della responsabilità disciplinare del notaio, che abbia rogato un atto costitutivo contenente una clausola affetta da invalidità, secondo il nuovo regime normativo e, conseguentemente, abbia integrato, sotto il profilo oggettivo, la fattispecie di cui alla L. 16 febbraio 1913, n. 89, art. 28, comma 1, consistente nella ricezione di un atto “espressamente proibito dalla legge”, l’illecito disciplinare può ritenersi perfezionato solo quando la sanzione di nullità sia univocamente riconosciuta e non possa dar luogo a dubbi interpretativi, occorrendo tenere conto ai fini della soluzione in quel caso raggiunta, proprio della differente formulazione della norma sanzionatoria che tramite l’utilizzo dell’avverbio “espressamente” sottolinea la necessità di una valutazione maggiormente benevola della violazione commessa, dovendo effettivamente la nullità emergere in maniera inequivoca, alla luce del quadro giurisprudenziale di riferimento.
Analoga specificazione non è presente invece nelle due norme le cui violazioni sono contestate alla ricorrente, dovendo quindi verificarsi la presenza dell’elemento soggettivo dell’illecito alla luce della costante giurisprudenza di questa Corte che, in riferimento all’interpretazione della L. n. 689 del 1981, art. 3 ha ribadito che (Cass. n. 6625/2020) occorre avere riguardo alla mera condotta, secondo un criterio di agire o di omettere doveroso, ricollegando il giudizio di colpevolezza a parametri normativi estranei al dato puramente psicologico e limitando l’indagine sull’elemento oggettivo dell’illecito all’accertamento della condotta inosservante, sicchè, integrata e provata dall’autorità amministrativa la fattispecie tipica dell’illecito, grava sul trasgressore, in virtù della presunzione di colpa posta dalla L. n. 689 del 1981, art. 3 l’onere di provare di aver agito in assenza di colpevolezza.
Infatti, è stato precisato che (Cass. n. 20219/2018) l’esimente della buona fede, applicabile anche all’illecito amministrativo disciplinato dalla L. n. 689 del 1981, rileva come causa di esclusione della responsabilità amministrativa solo quando sussistano elementi positivi idonei ad ingenerare nell’autore della violazione il convincimento della liceità della sua condotta e risulti che il trasgressore abbia fatto tutto il possibile per conformarsi al precetto di legge, onde nessun rimprovero possa essergli mosso (conf. ex multis Cass. n. 19759/2015), sicchè (Cass. n. 33441/2019) l’errore di diritto sulla liceità della condotta può rilevare in termini di esclusione della responsabilità amministrativa (e nel nostro caso disciplinare) solo quando esso risulti inevitabile, occorrendo a tal fine, da un lato, che sussistano elementi positivi, estranei all’autore dell’infrazione, che siano idonei ad ingenerare in lui la convinzione della liceità della sua condotta e, dall’altro, che l’autore dell’infrazione abbia fatto tutto il possibile per osservare la legge, onde nessun rimprovero possa essergli mosso, neppure sotto il profilo della negligenza omissiva, gravando sull’autore dell’infrazione l’onere della prova della sussistenza dei suddetti elementi, necessari per poter ritenere la sua buona fede.
A tal fine è quindi necessario rintracciare un elemento positivo, estraneo all’autore dell’infrazione, idoneo ad ingenerare in lui la convinzione della suddetta liceità, oltre alla condizione che da parte dell’autore sia stato fatto tutto il possibile per osservare la legge e che nessun rimprovero possa essergli mosso, così che l’errore non sia suscettibile di essere impedito dall’interessato con l’ordinaria diligenza (v. Cass. nn. 19759/2015, 16320/10, 13610/07, 11012/06, 9862/06, 5426/06 e 11253/04), costituendo la relativa valutazione un apprezzamento di fatto di stretta competenza del giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità se non sotto il profilo del vizio di motivazione (Cass. n. 23019/09).
Poste tali premesse, ritiene la Corte che debba essere condivisa la conclusione del giudice di merito che ha ritenuto esclusa l’esistenza di un affidamento legittimo in capo alla ricorrente circa la prassi seguita di non mettere a raccolta le quietanze e di non indicare il valore ai fini dei parametri per la tassazione e contribuzione.
Giova in primo luogo sottolineare come da una disamina della dottrina formatasi in occasione della novella del 2007 in tema di cd. portabilità dei mutui, emerga che la stessa abbia prevalentemente optato per la tesi della necessità di individuare anche nella quietanza, ove separatamente redatta, il titolo necessario per le annotazioni ai fini ipotecari, e che anche le opinioni espressesi in maniera non conforme al prevalente orientamento, hanno manifestato delle perplessità, evidenziando come il dato normativo non offrisse elementi risolutivi a favore della tesi contraria a quella maggioritaria.
Effettivamente lo studio n. 65/2006/C del CNN approvato il 24 febbraio 2006, sebbene precedente la novella del 2007 in tema di surrogazione per i mutui preesistenti, contiene alcune precisazioni suscettibili di orientare l’interprete anche in relazione alla condotta da tenere per le quietanze per cui è causa, ma non poteva non trascurarsi quanto specificato nella Circolare n. 2007 9/T dell’Agenzia delle Entrate, che proprio al fine di offrire una risposta ai dubbi posti dalla novella di cui al D.L. n. 7 del 2007, convertito nella L. n. 40 del 2007, dapprima sottolinea che “Ai fini della corretta individuazione della ratio sottesa alla predetta locuzione, non può non tenersi conto che l’espressione “…senza formalità…” – comunque connessa alla espressa previsione della presentazione di una specifica richiesta di annotazione di surrogazione, corredata dall’allegazione del relativo titolo lascia trasparire l’intento del Legislatore, nell’ottica generale di semplificazione e alleggerimento degli adempimenti posti a carico del consumatore-contribuente, di introdurre una nuova ipotesi di formalità eseguibile d’ufficio, analogamente alla iscrizione dell’ipoteca legale dell’alienante e del condividente (cfr. art. 2834 c.c.), alla trascrizione del fondo patrimoniale costituito per testamento (cfr. art. 2647 c.c.) ovvero nell’ambito delle formalità accessorie – alle annotazioni previste dall’art. 113-ter disp. att. c.c.
In tal senso, quindi, si ritiene che la predetta locuzione “senza formalità” sia stata utilizzata in senso “atecnico”, posto che l’annotazione costituisce essa stessa stricto iure – una formalità, eseguita dal conservatore sulla base della presentazione di una nota (rectius: domanda) e di un titolo idoneo.”.
Successivamente aggiunge che: “Per quanto riguarda, invece, l’allegazione (rectius: presentazione) del titolo, la norma in esame non evidenzia contenuti innovativi rispetto alla vigente disciplina codicistica; per l’annotazione di cui trattasi, dunque, le modalità di allegazione e i requisiti formali del titolo, ai sensi di quanto previsto dall’art. 2843 c.c., comma 3, sono quelli delineati dagli artt. 2835 e 2836 c.c. (che prevedono quale requisito minimo di forma, l’atto pubblico ovvero la scrittura privata autenticata o accertata giudizialmente).
Ed, infine, conclude, in relazione all’ipotesi in cui la quietanza costituisse oggetto di un atto separato che: “In altri termini, ai fini dell’eseguibilità dell’annotazione di cui trattasi e dell’applicazione delle disposizioni da ultimo citate, occorre verificare la compresenza di entrambi i citati requisiti: la quietanza rilasciata dal creditore originario e la stipulazione del contratto di mutuo con espressa indicazione della volontà di utilizzare le somme ricavate per l’estinzione di un precedente finanziamento.
Si ritiene, peraltro, che i requisiti di cui alle precedenti lett. a) e b) potrebbero risultare o da un unico atto o da atti distinti e separati, purchè nel rispetto dei requisiti di forma normativamente previsti. In tal ultimo caso, si verterà in una ipotesi di titolo “composito”, formato da due atti distinti, ma inscindibili sotto il profilo sostanziale, entrambi necessari ai fini della effettiva configurabilità della peculiare ipotesi di surrogazione disciplinata dall’art. 1202 c.c. e della eseguibilità dell’annotazione (nuovo atto di mutuo finalizzato al pagamento del primo creditore e atto di quietanza in cui l’accipiens, primo creditore, richiami la dichiarazione del debitore circa la provenienza della somma impiegata nel pagamento).”
Sebbene la Circolare in oggetto non possa reputarsi vincolante quanto alla corretta interpretazione della norma, tuttavia ai fini che qui interessano, attesta l’esistenza di un orientamento degli uffici pubblici che avrebbe imposto al notaio che autenticava la sottoscrizione della quietanza un atteggiamento orientato a particolare prudenza, dovendo optare quindi per la soluzione che risultasse maggiormente garantista.
La conclusione sopraesposta, circa la correttezza dell’interpretazione offerta a prima lettura nella suddetta Circolare, consente quindi di affermare che, avuto riferimento alla data di commissione degli illeciti contestati, non può reputarsi che la ricorrente abbia fatto tutto il possibile per osservare la legge e che nessun rimprovero possa esserle mosso, in quanto l’errore era suscettibile di essere impedito con l’ordinaria diligenza (e ciò anche a voler trascurare la circostanza di cui dà atto il controricorso del Consiglio notarile – pag. 39 – che inizialmente e sino al 2011, presso lo studio associato della ricorrente, le quietanze erano messe a raccolta e che per tutte veniva annotato a repertorio l’onorario graduale).
Alcuna rilevanza può poi attribuirsi alla circostanza che le quietanze siano state regolarmente iscritte e che nel passato, la ricorrente, sebbene sottoposta ad altre ispezioni dal Sovrintendente dell’Archivio notarile, non sia stata fatta oggetto di analoghi rilievi, essendo a tal fine opportuno il richiamo al principio secondo cui (Cass. n. 8722/2017), il principio dell’obbligatorietà dell’azione disciplinare esclude che l’inerzia dell’autorità investita del potere disciplinare, nella specie il datore di lavoro, possa far sorgere un legittimo affidamento nella liceità della condotta, ove la stessa contrasti con precetti imposti dalla legge, dal codice di comportamento o dalla contrattazione collettiva (conf. Cass. n. 14245/2019).
La mancata contestazione dell’omesso inserimento nella raccolta delle quietanze da parte dei Conservatori (verosimilmente ispirata dall’esigenza di evitare, nell’interesse dei mutuatari e del sistema bancario la paralisi delle formalità pubblicitarie occasionate dalla surrogazione dei mutui preesistenti), così come l’assenza di rilievi in sede ispettiva per le annualità precedenti quella che ha poi occasionato il presente procedimento disciplinare, non consente quindi di affermare la ricorrenza di un legittimo affidamento in capo alla ricorrente.
Inoltre, la Corte d’Appello, con apprezzamento in fatto, come detto non sindacabile in questa sede (e ciò anche alla luce dei limiti posti dalla novella dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, al sindacato sui vizi della motivazione) ha del pari escluso che la condotta e le valutazioni inizialmente espresse dal Sovrintendente dell’archivio notarile dell’epoca potessero giovare alla tesi del notaio G. (ed a tal fine deve ricordarsi che secondo le Sezioni Unite – Cass. n. 8054/2014 l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze istruttorie).
Anche il terzo elemento addotto in motivo, circa l’esistenza di un legittimo affidamento in capo alla ricorrente, non permette di affermare l’erroneità della decisione gravata, e ciò perchè, oltre a doversi richiamare quanto sopra esposto in merito all’impossibilità di estendere il regime di esenzione dettato per le quietanze di mutui fondiari, e precisamente per quelle relative alla consegna della somma mutuata in favore del mutuatario, alle diverse quietanze qui in esame, il che permette già di escludere la buona fede della G., occorre rilevare che le risposte sottendono l’adesione della prevalenza degli uffici interpellati alla necessità di dover indicare un parametro, palesandosi che in alcuni casi al recupero a tassazione non aveva fatto seguito un’iniziativa disciplinare, omissione questa che per quanto detto non può avere di per sè efficacia esimente.
Infine, alcuna rilevanza, come anche ritenuto dall’ordinanza impugnata, può attribuirsi alla diversa ordinanza del Tribunale di Milano del 22/8/2018 (peraltro riformata dalla Corte d’Appello nelle more del presente procedimento), atteso che trattasi, come già rilevato dalla Corte d’Appello, di provvedimento adottato in epoca successiva a quella cui risalgono le condotte sanzionate, e che attesa anche la sua difformità rispetto alla corretta soluzione in diritto della questione esaminata, non risulta idonea a legittimare la tesi della ricorrente circa l’esistenza di un proprio legittimo affidamento sulla legittimità della propria condotta.
Nè assumono portata decisiva i documenti richiamati dalla ricorrente nella memoria depositata in prossimità dell’udienza, trattandosi in parte di provvedimenti giudiziari conclusisi sfavorevolmente per la tesi della ricorrente (con soluzioni che ricalcano quella qui adottata), ed in parte di dichiarazioni provenienti da alcuni Conservatori degli Archivi Notarili, che pur dando atto di non avere effettuato recuperi ovvero di aver ammesso che fosse indicato un parametro zero, non appaiono tali da fondare un legittimo affidamento circa la correttezza della prassi seguita dalla ricorrente.
Il motivo deve quindi essere rigettato.
8. Anche il sesto motivo è infondato, avendo la decisione gravata deciso la controversia conformemente alla costante giurisprudenza di questa Corte, alla quale il Collegio intende assicurare continuità secondo cui (Cass. n. 11507/2016) è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 135 e 138 L.N., nella parte in cui non prevedono l’operatività del regime del cumulo giuridico delle sanzioni disciplinari anche nell’ipotesi di plurime infrazioni della medesima disposizione compiute in atti diversi, anche se dello stesso tipo, trattandosi di scelta rimessa alla discrezionalità del legislatore e non sussistendo una disparità di trattamento rispetto ad altri settori dell’ordinamento in virtù delle specificità della professione notarile, degli interessi protetti e dei valori di riferimento.
La Corte in tale occasione, nel confermare a sua volta la precedente giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 9177/2013), ha preso in esame gli argomenti qui proposti dalla ricorrente, escludendo la possibilità di invocare per l’illecito disciplinare regole dettate per altri settori dell’ordinamento, ed in particolare per l’illecito penale, mancando le condizioni per un’applicazione in via analogica attesa la diversità morfologica tra le due tipologie di illecito che ben giustificano un diverso trattamento sul piano sanzionatorio.
Va per l’effetto ribadito il principio secondo cui (Cass. n. 16519/2020) l’art. 135, comma 4 L.N., secondo il quale se il notaio, in occasione della formazione di uno stesso atto, contravviene più volte alla medesima disposizione, si applica una sola sanzione, determinata fino all’ammontare massimo previsto per tale infrazione tenendo conto del numero delle violazioni commesse, non opera in caso di plurime infrazioni identiche compiute in atti diversi, non potendo il giudice interferire nella discrezionalità del legislatore con l’estendere all’ambito degli illeciti disciplinari quanto previsto, in tema di continuazione, da altri settori dell’ordinamento.
9. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
10. Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello ove dovuto per la stessa impugnazione.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio che liquida, per ognuno dei controricorrenti, in complessivi Euro 7.500,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali, pari al 15 % sui compensi ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente del contributo unificato ove dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 9 dicembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 19 febbraio 2021
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