LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Presidente –
Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –
Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 2386/2017 proposto da:
FALLIMENTO ***** IN LIQUIDAZIONE S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIUSEPPE MAZZINI n. 142, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO ALBERTO PENNISI, rappresentato e difeso dall’avvocato SALVATORE GIOVANNI SAMPOGNARO;
– ricorrente –
contro
G.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA BALDUINA n. 7, presso lo studio dell’avvocato CONCETTA TROVATO, rappresentato e difeso dall’avvocato LAURA DISTEFANO;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 985/2016 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 17/06/2016;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 09/07/2021 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 5.4.2007 G.M. evocava in giudizio la società ***** S.r.l. innanzi il Tribunale di Catania, invocando dichiararsi l’intervenuto acquisto per usucapione, in proprio favore, della piena proprietà di un terreno sito in *****, distinto dalle particelle n. *****.
Si costituiva la convenuta, resistendo alla domanda ed eccependo, in particolare:
quanto alla particella n. *****, di aver già proposto, nei confronti dell’attore e del padre G.G., una azione per il rilascio del bene immobile di cui è causa, conclusa con sentenza n. 729/1999, con la quale il Tribunale di Catania aveva condannato i predetti soggetti a rilasciare il terreno nella disponibilità della ***** S.r.l. e ad abbattere i manufatti su di esso costruiti; a seguito dell’appello proposto dai convenuti, la causa era stata definita con verbale di conciliazione giudiziale del 26.4.2004, in base al quale la società aveva consentito, dietro versamento della somma di Euro 10.000, a mantenere i G. nel possesso dell’area; quanto alla particella n. *****, invece, l’assenza dei presupposti per l’accoglimento della domanda di usucapione.
La società convenuta, quindi, spiegava domanda riconvenzionale per il rilascio della particella n. *****.
Con sentenza n. 25/2010 il Tribunale dichiarava l’intervenuto acquisto per usucapione, in favore di G.M., della particella n. *****, rigettando invece la domanda relativamente alla particella n. *****, per la quale il termine ventennale risultava interrotto dalla domanda introduttiva del precedente giudizio, conclusosi con verbale di conciliazione giudiziale del 26.4.2004.
Interponeva appello avverso detta decisione il G., limitatamente al capo che lo aveva visto soccombente, e si costituiva in seconde cure la società appellata, resistendo all’impugnazione e spiegando a sua volta gravame incidentale per la riforma della sentenza del Tribunale, nella parte in cui essa aveva accolto la domanda di usucapione in relazione alla particella n. *****.
Nelle more del giudizio di secondo grado interveniva il fallimento della società appellata, che si costituiva in giudizio facendo proprie le domande ed eccezioni proposte dalla predetta.
Con la sentenza impugnata, n. 985/2016, la Corte di Appello accoglieva entrambe le impugnazioni, accogliendo la domanda di usucapione in relazione alla particella n. *****, e rigettandola invece in relazione alla particella n. *****, senza tuttavia pronunciarsi sulla domanda di rilascio di quest’ultima area ab origine proposta dalla società, successivamente fallita.
Propone ricorso per la cassazione di detta sentenza il Fallimento ***** in liquidazione S.r.l., affidandosi a tre motivi.
Resiste con controricorso G.M., spiegando a sua volta ricorso incidentale affidato a due motivi.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, il ricorrente principale lamenta la nullità della sentenza impugnata in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, perché la Corte di Appello avrebbe omesso di pronunciarsi sulla domanda di rilascio della particella n. *****, che costituiva oggetto dell’impugnazione incidentale svolta dalla società in bonis.
Con il secondo motivo, il ricorrente principale lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 81,99,100 e 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente rigettato la domanda di risarcimento del danno da illecita occupazione sulla base del rigetto della domanda di usucapione proposta, in relazione allo stesso bene, dal G..
Le due censure, suscettibili di esame congiunto, sono fondate.
La ***** S.r.l. aveva proposto, in prime cure, domanda riconvenzionale di rilascio della particella n. *****; essendo risultata parzialmente soccombente, proprio con riguardo alla particella n. *****, la società aveva proposto appello incidentale, riproponendo quindi in seconda istanza le domande già spiegate in prime cure. La Corte di Appello si sarebbe quindi dovuta pronunciare sulla domanda riconvenzionale di rilascio del bene immobile identificato dalla particella n. *****, mentre nella sentenza impugnata non risulta alcuna specifica statuizione al riguardo.
Il giudice di secondo grado ha invece rigettato l’altra domanda di risarcimento del danno da illecita occupazione, che pure il Fallimento aveva proposto in via riconvenzionale in prime cure, sul presupposto che non fosse stata provata una occupazione del bene riferibile all’appellato. Questa statuizione, che è direttamente attinta dalla seconda censura proposta dal Fallimento ricorrente, è intrinsecamente erronea:
l’affermazione secondo cui non è stata raggiunta la prova del possesso ultraventennale da parte di chi agisce per ottenere l’usucapione del bene, con conseguente rigetto della relativa domanda, non implica necessariamente l’esclusione del danno da illecita occupazione del bene. Anzi, proprio quando la domanda di usucapione non è accolta a cagione dell’insufficiente durata, o della non idoneità, del possesso del cespite, sorge il diritto del proprietario del medesimo di essere indennizzato per la temporanea privazione della sua disponibilità. Su questo terreno, va registrato un insanabile contrasto logico nella motivazione della sentenza impugnata, la quale afferma espressamente (cfr. pag. 6) che sulla particella ***** i genitori del G. esercitavano da anni un bar: partendo da tale statuizione, che implica comunque una relazione materiale con il bene, il giudice di merito avrebbe dovuto verificare se, in concreto, sussistesse, o meno, il diritto del proprietario dell’area a rivendicare un indennizzo per la sua temporanea privazione.
In definitiva, dunque, sono fondati sia il primo che il secondo motivo, perché la Corte di Appello non ha esaminato la domanda di rilascio della particella n. ***** proposta dal Fallimento ed ha irragionevolmente respinto quella di risarcimento del danno da occupazione illecita di detto bene, pur in presenza di un accertamento circa l’effettiva esistenza di una relazione di fatto stabilita dai genitori del G. con il bene stesso.
Con il terzo motivo, il ricorrente principale lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2936,1165,2943 e 2945 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente accolto la domanda di usucapione proposta dal G. in relazione alla particella n. *****, attribuendo al verbale di conciliazione del 26.4.2004 il valore di riconoscimento della situazione possessoria in capo all’originario attore. Secondo il Fallimento, il verbale di conciliazione non precludeva l’effetto interruttivo della domanda giudiziale introduttiva di quel primo giudizio (notifica della citazione in data 1.3.1990) e quindi il termine per usucapire era comunque stato interrotto ed aveva cominciato a decorrere ex novo dal 26.4.2004.
Anche questo motivo è fondato.
Nella vigenza, in materia di usucapione, del principio di tassatività degli atti interruttivi (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 6029 del 28/02/2019, Rv. 652773; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 14659 del 27/08/2012, Rv. 623921), al quale il Collegio intende dare continuità, il possesso utile ad usucapionem, costituito dai genitori del G. a partire dal 1982, si è certamente interrotto alla data del 1.3.1990, per effetto della notificazione della domanda di rilascio proposta dalla ***** S.r.l., all’epoca in bonis. Il successivo verbale di conciliazione del 24.6.2004, conclusivo del giudizio introdotto con la predetta citazione del 1.3.1990, ha fatto venir meno l’evento interruttivo, ma non ha rimosso anche i suoi effetti. Sul punto, va ribadito che non è rilevante l’esito del giudizio di reintegrazione, essendo sufficiente al fine di interrompere il possesso ad usucapionem il mero esercizio di un’azione finalizzata a riacquistare il possesso del bene controverso (cfr. Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 23850 del 02/10/2018, Rv. 650631; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 18353 del 31/07/2013, Rv. 627365). Di conseguenza il possesso utile ad usucapionem, configurato dal Tribunale dal 1982 al 1.3.1990 (cfr. pag. 5 della sentenza impugnata), ha ripreso a decorrere dal 26.4.2004. La Corte di Appello ha invece ritenuto, in base ad una interpretazione del significato delle espressioni contenute nel verbale di conciliazione del 26.4.2004, di poter superare l’efficacia interruttiva del possesso comunque riferita alla notificazione della citazione del 1.3.1990, in tal modo ponendosi in netto contrasto con i principi enunciati, in materia, da questa Corte.
In definitiva, ambedue i motivi del ricorso principale sono fondati e meritano di essere accolti.
Passando all’esame del ricorso incidentale, con il primo motivo il Grosso lamenta la nullità della sentenza e la violazione e falsa applicazione degli artt. 112,115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente suddiviso la domanda di accertamento dell’intervenuta usucapione, distinguendo il destino delle due particelle nn. ***** e *****, senza considerare che la detta domanda era stata proposta, cumulativamente, per l’intero terreno costituito dall’unione di dette due particelle. Da tale errore concettuale sarebbe derivata la scorretta interpretazione delle risultanze testimoniali, che avevano confermato il possesso, in capo al G., e prima di esso ai suoi genitori, dell’intero terreno di cui è causa.
La censura è inammissibile, poiché essa si risolve in una istanza di revisione del giudizio sulle risultanze della prova orale. Al riguardo, va ribadito il principio secondo cui “L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595: conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv. 631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv. 631330).
Con il secondo motivo del ricorso incidentale, invece, il G. lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, perché la Corte di Appello avrebbe contraddittoriamente affermato, da un lato, la sussistenza di un giudicato interno circa la situazione di possesso, pur costituitosi in origine in base ad un contratto preliminare, e quindi sulla scorta di un titolo, e poi escluso la prova del possesso ad usucapionem dell’intera area, sulla base di un’arbitraria divisione della domanda, rispetto alle due particelle nn. ***** e *****, e di una conseguente erronea interpretazione delle risultanze istruttorie acquisite agli atti del giudizio.
La censura è assorbita dall’accoglimento del ricorso principale, pur dovendosi dare atto dell’erroneità della statuizione, contenuta nella sentenza impugnata, circa l’esistenza di un giudicato interno sulla situazione di possesso: in presenza di due impugnazioni, principale ed incidentale, l’intero decisum di primo grado era stato infatti devoluto al giudice di seconde cure, ivi incluso – per quanto qui rileva – l’accertamento della situazione di possesso utile ad usucapionem, che costituiva evidentemente il primo presupposto dell’azione proposta dal G.. Per effetto dell’accoglimento del ricorso principale, il giudice del rinvio dovrà procedere ad una complessiva rivalutazione della fattispecie, allo scopo di verificare se sussistono i presupposti per l’accoglimento della domanda di rilascio dell’immobile identificato dalla particella n. *****, proposta dal Fallimento ricorrente principale, e se il rapporto materiale instaurato dai genitori del G. con il bene di cui alla predetta particella n. ***** giustifichi, o meno, la liquidazione, in favore del medesimo Fallimento, di una indennità da occupazione senza titolo. Nell’ambito di tale accertamento, dovrà necessariamente essere indagata la relazione di fatto stabilita dal G., o dai suoi danti causa, con il bene immobile di cui è causa.
In definitiva, va accolto il ricorso principale, mentre va dichiarato inammissibile il primo motivo del ricorso incidentale ed assorbito il secondo. La sentenza impugnata va di conseguenza cassata, in relazione alle censure accolte, ed la causa va rinviata alla Corte di Appello di Catania, in differente composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del solo ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
PQM
la Corte accoglie il ricorso principale, dichiara inammissibile il primo motivo del ricorso incidentale ed assorbito il secondo.
Cassa la sentenza impugnata, in relazione alle censure accolte, e rinvia la causa alla Corte di Appello di Catania, in differente composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del solo ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 9 luglio 2021.
Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2022
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