Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.1099 del 14/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19018-2019 proposto da:

ROECHLING AUTOMOTIVE ITALIA S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato GIANNI LANZINGER;

– ricorrente –

contro

K.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MARCELLO PRESTINARI 13, presso lo studio dell’avvocato PAOLA RAMADORI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato KARL REITERER;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 21/2019 della CORTE D’APPELLO DI TRENTO SEZIONE DISTACCATA DI BOLZANO, depositata il 19/04/2019 R.G.N. 7/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/11/2021 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA;

il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SANLORENZO RITA, visto il D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8 bis, convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020, n. 176, ha depositato conclusioni scritte.

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Trento – sezione distaccata di Bolzano ha confermato la sentenza di primo grado che in accoglimento del ricorso di K.F. aveva accertato la nullità del patto di prova apposto al contratto di lavoro a tempo determinato in data *****, la conseguente nullità del recesso datoriale intimato per mancato superamento della prova e condannato la datrice di lavoro Roechling Automotive Italia s.r.l. al risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni che la K. avrebbe percepito fino alla naturale scadenza del contratto.

1.2. Il giudice di appello, disattesa la censura incentrata sul mancato espletamento della prova orale in quanto non conferente in relazione alla dedotta necessità di accertamento della effettiva volontà contrattuale delle parti, ritenuta corretta la commisurazione del danno alle retribuzioni spettanti fino alla scadenza naturale del contratto in assenza di adeguata allegazione e prova da parte della società in merito al reperimento o alla possibilità di reperimento di altra occupazione da parte della K., invalida al 46%, assunta tramite il Servizio di collocamento mirato dell’Ufficio Servizio della Provincia Autonoma di *****, ha confermato la valutazione di prime cure in punto di difetto di specificità del patto di prova nella individuazione delle mansioni di concreta adibizione della lavoratrice.

1.3. Secondo la Corte distrettuale, infatti, il riferimento nel contratto individuale alla figura dell'”addetto ai lavori non rientranti nel ciclo produttivo” rendeva priva di concretezza la indicazione dei compiti ai quali sarebbe stata adibita la lavoratrice; analogamente, il rinvio al “livello I 3” del contratto collettivo non conferiva specificità alle mansioni da svolgere in ragione del fatto che la previsione collettiva menzionava fra i compiti riconducibili al detto livello “lavori analoghi a lavori di pulizia”, senza ulteriore specificazione o esemplificazione; infine, ulteriore elemento di incertezza in relazione ai compiti richiesti, sui quali doveva essere verificato l’esito della prova, era data dalla clausola del contratto individuale secondo cui “mansioni e obiettivi verranno in seguito specificati e faranno parte integrativa del contratto”, non concettualmente riconducibile, come viceversa sostenuto dalla società, all’ambito del potere conformativo del datore di lavoro estrinsecantesi attraverso ordini di servizio.

2. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso Roechling Automotive s.p.a. sulla base di sei motivi; la parte intimata ha resistito con controricorso illustrato con memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

3. Il PG ha depositato requisitoria scritta con la quale ha concluso per il rigetto del ricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del contratto collettivo applicabile, nullità della sentenza e del procedimento per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, falsa applicazione dell’art. 2096 c.c.; denunzia che il giudice di appello, pur ritenendo ammissibile in sede di contratto individuale il richiamo per relazione alla scala classificatoria concordata dalle parti collettive, aveva in concreto disatteso detto parametro ritenendo, in sintesi, con motivazione meramente apparente, che le declaratorie di cui al contratto collettivo fossero imprecise; ciò in violazione dell’indicazione del giudice di legittimità secondo il quale la necessità di specificazione delle mansioni di adibizione al fine del patto di prova non esige che queste debbano essere indicate in dettaglio e la relativa identificazione può avvenire anche per mezzo di rinvio per relationem alla declaratoria del contratto collettivo.

2. Con il secondo motivo di ricorso deduce violazione e falsa applicazione del contratto collettivo di settore per avere la sentenza impugnata disatteso l’indicazione dell’autonomia collettiva in ordine al significato e alla determinazione analitica delle mansioni oggetto di prova pure prevista nell’allegato 2 del contratto collettivo; deduce, inoltre, apparenza di motivazione. Premette che il contratto collettivo prevede un’articolata gradazione “in scale classificatorie distinte a seconda delle aree funzionali di appartenenza e tra queste e l’area Servizi Vari”; in particolare, nell’Area Servizi Vari, nell’ambito della quale era inquadrata la K., si rinveniva oltre alla declaratoria di carattere generale anche l’indicazione dettagliata dei compiti con riferimento alla posizione 1/3 di inquadramento della lavoratrice, posizione che identificava il prestatore che compie lavori di trasporto, carico e scarico manuali, pulizia e analoghi, anche con mezzi meccanici. Da tanto conseguiva la idoneità del rinvio per relationem operato nel contratto individuale al contratto collettivo ad integrare il requisito della specificità, non potendo tale idoneità essere incrinata dal riferimento nella norma collettiva a “lavori di pulizia e analoghi”, espressione avente valenza non espansiva rispetto al servizio di pulizia ma meramente descrittiva dello stesso.

3. Con il terzo motivo deduce violazione e/o falsa applicazione del c.c.n.l. Gomma e Plastica con riferimento all’art. 132 c.p.c., comma 2, per violazione del fondamentale criterio ermeneutico del contratto privato di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., sotto il profilo che la interpretazione della norma collettiva nel senso del difetto di specifica definizione delle mansioni si poneva in contrasto con il principio di correttezza e buona fede.

4. Con il quarto motivo deduce violazione e falsa applicazione del c.c.n.l. con riferimento all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per violazione del fondamentale criterio ermeneutico della contrattazione relativo all’autonomia contrattuale di cui all’art. 1322 c.c., criterio che asserisce essere violato in conseguenza della sostituzione alla volontà delle parti da una valutazione ad esse esterna; tanto implicava inesistenza della motivazione sul profilo decisivo della specificità della indicazione delle mansioni.

5. Con il quinto motivo deduce violazione e/o falsa applicazione del c.c.n.l. applicabile con riferimento all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per violazione del fondamentale criterio ermeneutico della contrattazione di cui agli artt. 1362, 1363, 1366, 1367, 1368, 1369, 1371 c.c., e inesistenza di motivazione su tale decisivo profilo. In particolare, assume che la clausola del contratto individuale secondo la quale “mansioni ed obiettivi verranno in seguito specificati e faranno parte integrante del contratto” non si prestava ad essere interpretata come ritenuto dalla Corte di merito nel senso del difetto di specificità delle mansioni sulle quali avrebbe dovuto espletarsi la prova ma come rinvio a necessarie “microindicazioni” di servizio con le quali la parte datoriale avrebbe provveduto quotidianamente a precisare il contenuto delle mansioni in funzione del concreto espletamento delle stesse. In questa prospettiva invoca l’applicazione dei criteri legali di interpretazione in particolare con riferimento all’esigenza di equo contemperamento di interessi delle parti, contemperamento che assume pregiudicato ove dovesse accedersi all’interpretazione fatta propria dalla Corte di merito.

6. Con il sesto motivo deduce violazione e/o falsa applicazione del c.c.n.l. con riferimento all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, “per violazione del fondamentale criterio ermeneutico della contrattazione di cui all’art. 1419 c.c., commi 1 e 2, con motivazione viziata per totale assenza della stessa.”. Assume che la Corte di merito era incorsa in un grave vizio interpretativo avendo ritenuto, contro i parametri sulla nullità parziale, che la nullità eventuale rendesse del tutto incerto l’insieme delle mansioni affidate alla lavoratrice; il giudice di appello avrebbe pertanto dovuto, in applicazione del principio di conservazione del contratto e dell’eventuale automatica sostituzione – o cancellazione – delle clausole ritenute nulle, riconoscere piena validità al patto di prova in relazione alle mansioni che risultavano determinate “limitandosi a estrapolare la parte ritenuta indeterminata, valutando anche che la stessa ricorrente ha sin dall’origine di causa, sostenuto di avere rigorosamente e positivamente rispettato l’adempimento di servizio secondo le mansioni affidatale”.

7. I primi cinque motivi di ricorso, che si esaminano congiuntamente in quanto tutti intesi, sotto vari a profili, a censurare la valutazione di genericità della clausola relativa al patto di prova, sono da respingere.

7.1. In linea generale deve innanzitutto escludersi la apparenza di motivazione denunziata in tutti i motivi in esame mediante il riferimento alla violazione dell’obbligo ex art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4; il vizio denunziato – che la giurisprudenza parifica, quanto alle conseguenze giuridiche, alla motivazione in tutto o in parte mancante – sussiste allorquando pur non mancando un testo della motivazione in senso materiale, lo stesso non contenga una effettiva esposizione delle ragioni alla base della decisione, nel senso che le argomentazioni sviluppate non consentono di ricostruire il percorso logico-giuridico alla base del decisum. E’ stato, in particolare, precisato che la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. Un. 03/11/2016 n. 22232), oppure allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (Cass. 07/04/2017 n. 9105) oppure, ancora, nell’ipotesi in cui le argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum (Cass. 18/09(2009 n. 20112).

7.1. In applicazione dei richiamati parametri, ricordato che dopo la novella del 2012 al giudice di legittimità è precluso il controllo sulla sufficienza di motivazione, deve escludersi che le argomentazioni del giudice di appello non consentano di ricostruire l’iter logico giuridico che sorregge la conferma della decisione di prime cure, essendo agevolmente percepibile la ragione della ritenuta nullità del patto di prova scaturente dalla genericità della relativa clausola, genericità sulla quale la Corte di merito ha ampiamente e congruamente argomentato e che ha ritenuto non superata dal rinvio per relationem alla declaratoria collettiva relativa all’inquadramento della lavoratrice quale operato nel contratto individuale.

7.2. Tanto premesso, venendo all’esame delle censure articolate con il primo motivo, con il quale si assume, in sintesi, errata valutazione di genericità del patto di prova per asserita sufficienza del rinvio alla declaratoria collettiva e per impossibilità di pretendere una elencazione specifica di tutte le concrete mansioni di adibizione al fine dell’esperimento della prova, occorre evidenziare che parte ricorrente, pur formalmente deducendo violazione di norme di diritto, chiede in realtà una rivalutazione nel merito del contenuto della clausola relativa al patto di prova sollecitando un sindacato precluso al giudice di legittimità.

7.3. Secondo arresti consolidati della giurisprudenza di questa Corte la causa del patto di prova deve essere individuata nella tutela dell’interesse comune alle due parti del rapporto di lavoro, in quanto diretto ad attuare un esperimento mediante il quale sia il datore di lavoro che il lavoratore possono verificare la reciproca convenienza del contratto, accertando il primo le capacità del lavoratore e quest’ultimo, a sua volta, valutando l’entità della prestazione richiestagli e le condizioni di svolgimento del rapporto (Cass. 22/06/2012, n. 10440; Cass. 29/07/2005, n. 15960).

7.4. Tale esigenza di specificità, che nell’ipotesi di lavoratore parzialmente invalido deve essere valutata con particolare rigore (Cass. 12/10/2021, 12/10/2021, n. 27795; Cass. 13/04/2017, n. 9597), è funzionale al corretto esperimento del periodo di prova ed alla valutazione del relativo esito che deve essere effettuata in relazione alla prestazione e mansioni di assegnazione quali individuate nel contratto individuale; la specificazione può avvenire secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte anche tramite il rinvio per relationem alle declaratorie del contratto collettivo con riferimento all’inquadramento del lavoratore, sempre che il richiamo sia sufficientemente specifico e riferibile alla nozione classificatoria più dettagliata, sicché, se la categoria di un determinato livello accorpi un pluralità di profili, è necessaria l’indicazione del singolo profilo, mentre risulterebbe generica quella della sola categoria (Cass. 9597/2017 cit.; Cass. 23/05/2014, n. 11582).

7.5. La sentenza impugnata si conforma a tali indicazioni in quanto non esclude in astratto la possibilità di un’integrazione della clausola del contratto individuale per mezzo del rinvio ai contenuti della qualifica e del livello di inquadramento del contratto collettivo corrispondenti a quelli attribuiti alla lavoratrice, ma ritiene, all’esito della concreta verifica, che comunque tale riferimento non valga in relazione alla fattispecie in esame a conferire specificità al contenuto delle mansioni sulle quali avrebbe dovuto svolgersi la prova. Ciò in particolare in ragione del fatto che la declaratoria collettiva relativa alla posizione professionale di inquadramento della lavoratrice evocava fra i compiti di possibile adibizione, accanto a quelli di pulizia, lavori agli stessi “analoghi”, espressione che secondo la Corte di merito ampliava in maniera indefinita l’ambito delle mansioni in concreto riconducibili al livello considerato. Tale valutazione, coerente con i principi del giudice di legittimità e con una corretta lettura dei dettami propri della contrattazione collettiva di settore, si sottrae, alla censura articolata che si limita a prospettare, in una logica meramente contrappositiva, una diversa, possibile interpretazione della norma collettiva in senso più favorevole alla società.

7.6. Alla luce di quanto ora osservato anche le censure articolate con il secondo motivo si rivelano infondate; come già evidenziato, in linea di principio, il giudice di appello non nega che la clausola del contratto individuale relativa al patto di prova possa essere integrata dal riferimento alla scala classificatoria della contrattazione collettiva ma ritiene in concreto che tanto non valga a conferire specificità al contenuto dei compiti sui quali deve espletarsi la prova. Tale verifica non si pone in contrasto con la giurisprudenza di legittimità invocata in ricorso (Cass. 23/05/2014 n. 11582; Cass. 24/12/1999 n. 14538; Cass. 26/05/1995, n. 5811), che non instaura alcun automatismo tra richiamo alla contrattazione collettiva e valutazione di specificità della clausola di prova; neppure risulta utilmente invocabile Cass. 16/01/2015, n. 665, sia perché superata da altra giurisprudenza attestatasi nell’orientamento qui condiviso sia perché in quel giudizio non si controverteva, come nella presente fattispecie, della intrinseca indeterminatezza dei compiti stabiliti dalla contrattazione collettiva, ma si aveva riguardo al fatto che l’inquadramento collettivo al quale le parti avevano rinviato prevedeva una pluralità di mansioni.

8. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile perché affetto da genericità limitandosi a denunziare in termini assertivi e non argomentati la contrarietà a correttezza e buona fede della interpretazione della Corte territoriale.

9. Analogamente il quarto motivo.

10. Il quinto motivo è inammissibile per non essere correttamente veicolata la deduzione di violazione e falsa applicazione dei criteri di ermeneutica, sostanziandosi le censure articolate nella mera contrapposizione alla lettura fatta propria dal giudice di merito circa la valenza semantica dell’espressione “lavori di pulizia e analoghi” con altra, più favorevole alla società, secondo la quale il termine “analoghi” aveva valenza non espansiva rispetto al servizio di pulizia ma meramente descrittiva.

11. Il sesto motivo di ricorso presenta profili di inammissibilità e profili di infondatezza.

11.1. In linea di principio l’unitarietà della clausola relativa al patto di prova e l’esigenza che ab origine le parti abbiano chiara cognizione delle mansioni sulle quali deve svolgersi la prova, impedisce che al fine della conservazione della stessa possa eliminarsi la componente relativa alle mansioni non specificamente definite; in ogni caso, poiché l’applicabilità del comma 1 dell’art. 1419 c.c., avrebbe richiesto l’indagine di fatto circa la volontà dei contraenti di tenere ferma la clausola anche con l’eliminazione dell’inciso relativo a mansioni non specificamente individuate e poiché tale tema non è stato affrontato dalla sentenza impugnava occorreva che parte ricorrente ne dimostrasse, come viceversa non avvenuto, la rituale e tempestiva deduzione nelle fasi di merito onde sottrarsi ad una valutazione di inammissibilità per violazione del divieto di novum (Cass. 09/10/2018, n. 20694; Cass. 13/06/ 2018, n. 15430; Cass. 18/10/ 2013, n. 23675).

12. Al rigetto del ricorso segue il regolamento secondo soccombenza delle spese di lite con condanna della società ricorrente, nella sussistenza dei relativi presupposti processuali, al pagamento dell’ulteriore contributo ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in Euro 4.000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 10 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2022

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