Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.113 del 04/01/2022

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 12942/2016 R.G. proposto da:

T.A., quale titolare dell’omonima impresa, in proprio e quale capogruppo dell’A.T.I. con Strazzeri Salvatore s.r.l., elettivamente domiciliato in Roma, Via Germanico n. 66, presso lo studio dell’Avvocato Giuseppe Consoli, che lo rappresenta e difende, unitamente all’Avvocato Francesco Consoli Xibilia, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Comune di Acireale, in persona del Sindaco pro tempore, domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’Avvocato Giovanni Calabretta, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 753/2015 della Corte d’appello di Catania del 27/4/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 30/11/2021 dal Cons. Dott. Alberto Pazzi.

RILEVATO

che:

1. Il Tribunale di Catania, con sentenza n. 2017/2006, condannava il Comune di Acireale al pagamento in favore di T.A., titolare dell’omonima ditta, in proprio e quale capogruppo dell’A.T.I. costituita con Strazzeri Salvatore s.r.l., della somma di Euro 117.819,06 in relazione ad un contratto di appalto, stipulato in data 14 dicembre 1981, con cui l’amministrazione municipale aveva affidato all’A.T.I. l’esecuzione dei lavori di costruzione della rete idrica e della fognatura nel centro della città.

2. La Corte d’appello di Catania, a seguito dell’impugnazione proposta avverso tale statuizione dal Comune di Acireale in via principale e da T.A., nella veste già indicata, in via incidentale, riteneva – fra l’altro e per quanto qui di interesse – che il primo giudice avesse erroneamente ravvisato la tempestività della riserva iscritta dall’appaltatore soltanto nell’ultimo atto di contabilità del 7 ottobre 1992, poiché non vi era dubbio che questi già al momento del precedente stato di avanzamento, redatto in data 16 luglio 1992, fosse in grado di rilevare, quanto meno, l’esistenza e la presumibile misura del danno.

Dal rigetto della pretesa attinente alla riserva n. 5 discendeva, tenuto conto della regolazione dei rapporti di dare-avere sulla base delle risultanze della C.T.U. svolta in primo grado, che il Comune di Acireale vantava un credito nei confronti dell’A.T.I. pari a Euro 63.012.

Ne discendeva il rigetto della domanda di condanna proposta, in origine, dal T..

3. Per la cassazione di questa sentenza, pubblicata in data 4 maggio 2015, ha proposto ricorso T.A., in proprio e quale capogruppo dell’A.T.I. costituita con Strazzeri Salvatore s.r.l., prospettando cinque motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso il Comune di Acireale.

Parte controricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380- bis.1 c.p.c..

CONSIDERATO

che:

4. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 1963 del 1962, della L. n. 2248 del 1865, all. F, e R.D. n. 350 del 1895, art. 34: malgrado l’inserimento in contabilità di formali riserve dovesse avvenire entro il momento della prima iscrizione successiva all’insorgenza della situazione integrante la fonte delle ragioni vantate, e dunque contestualmente o immediatamente dopo che fosse emersa una potenzialità dannosa percepibile da parte dell’appaltatore, la Corte d’appello – in tesi di parte ricorrente – ha erroneamente trascurato di considerare che prima dell’apposizione della riserva n. 5 l’A.T.I. non poteva avere contezza che i lavori rimasti sospesi (concernenti la realizzazione di un impianto di depurazione e il completamento dei lavori fognari) non si sarebbero realizzati, dato che la necessaria variazione in riduzione delle opere appaltate era stata adottata soltanto con la Delib. Giunta Municipale 23 settembre 1997, n. 497.

Al momento dell’apposizione della riserva, iscritta il 7 ottobre 1992 in coincidenza con la fine dei lavori, l’A.T.I., invece, non era per nulla certa della mancata esecuzione dei lavori restanti, ancora sospesi, né era in grado di capire, in mancanza di atti legittimamente intervenuti, se le opere mancanti sarebbero state escluse dal contratto.

5. Il motivo è inammissibile.

La Corte di merito ha ravvisato la tardività della riserva n. 5 “afferente il maggior vincolo delle attrezzature degli impianti, della propria organizzazione tecnica economica ed amministrativa e per maggiori spese generali derivanti dal ritardo nelle sospensioni”.

Si trattava, dunque, di valutare il pregiudizio conseguente non tanto al mancato completamento dei lavori affidati, ma, ben diversamente, al “ritardo nelle sospensioni” dei lavori disposte dall’amministrazione.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte in materia di appalto di opere pubbliche, l’appaltatore, il quale pretenda un maggior compenso o rimborso, rispetto al prezzo contrattualmente pattuito, a causa dei pregiudizi o dei maggiori esborsi conseguenti alla sospensione dei lavori disposta o protratta dall’amministrazione, ha l’onere, ai sensi del combinato disposto del R.D. n. 350 del 1895, artt. 53, 54 e 64 (applicabile ratione temporis) e delle norme successive in materia, di iscrivere la relativa riserva nel momento in cui emerga, secondo una valutazione propria del giudice di merito, la concreta idoneità del fatto a produrre tali pregiudizi o esborsi, rimandando la specifica quantificazione del danno alle successive registrazioni (Cass. 7479/2017).

Si deve, pertanto, distinguere a questo proposito il momento in cui il danno sia presumibilmente configurabile da quello in cui esso sia precisamente quantificabile, sorgendo l’onere di iscrivere la riserva fin dal primo di tali momenti e potendo, invece, la specifica quantificazione operarsi nelle successive registrazioni.

Sicché, nell’eventualità che la sospensione possa essere illegittima sin dall’inizio, l’appaltatore deve inserire la sua riserva nello stesso verbale di sospensione, iscrivere regolare riserva o domanda nel registro di contabilità, quando egli successivamente lo sottoscriva, e ripetere poi la stessa riserva nel verbale di ripresa e nel registro di contabilità successivamente firmato; al contrario, vuoi nel caso in cui la sospensione dei lavori non presenti immediata rilevanza onerosa, giacché l’idoneità del fatto a produrre il conseguente pregiudizio o esborso emerga soltanto all’atto della cessazione della sospensione medesima, vuoi nel caso in cui quest’ultima, originariamente legittima, diventi solo successivamente illegittima, la relativa riserva non può che essere apposta nel verbale di ripresa dei lavori (Cass. 17630/2007).

La Corte di merito, nell’apprezzare la fattispecie sottoposta al suo esame, non si è limitata a far riferimento a una pluralità di indici idonei a far ritenere che l’A.T.I. sin dal marzo 1992 avesse avuto notizia che l’appalto era ormai giunto al suo epilogo, per mancanza di finanziamenti, ma ha aggiunto che l’appaltatore aveva anticipato nella lettera del 28 marzo 1992 la riserva che avrebbe poi formulato nel registro della contabilità, esprimendo così “in modo pregnante ed univoco come fosse stata già ben apprezzata da parte dell’appaltatrice a quel momento la dannosità del fatto sospensione e degli altri fatti che hanno posto fondamento alle pretese azionate mediante la riserva” (pag. 6 della sentenza impugnata).

Si tratta dell’individuazione del momento in cui il danno derivante dalla sospensione era divenuto configurabile agli occhi dell’appaltatore, con il conseguente onere di iscrivere “immediatamente”, ai sensi del R.D. n. 350 del 1895, art. 53, la relativa riserva.

Nella giurisprudenza di questa Corte è poi indiscusso che spetta al giudice del merito valutare in quale momento dovesse essere formulata tempestivamente “la riserva dell’appaltatore per pregiudizi o maggiori esborsi conseguenti alla sospensione dei lavori, legittimamente o illegittimamente disposta dall’Amministrazione” (così Cass. 6911/2015).

Ne discende l’inammissibilità della censura, non solo perché lamenta la mancata considerazione dell’assenza di un formale atto deliberativo della variazione in riduzione della consistenza dei lavori appaltati di nessuna rilevanza, giacché la conoscenza del pregiudizio “derivante dal ritardo nelle sospensioni” non aveva un rapporto di necessaria correlazione con l’adozione di un simile atto, ma anche perché finisce per porre in contestazione un accertamento di merito, non rivedibile in questa sede, relativo al frangente in cui la sospensione aveva assunto natura tale da rendere percepibile la sua potenzialità dannosa e imporre, di conseguenza, l’iscrizione della relativa riserva.

6. Il secondo motivo di ricorso lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo, in quanto la Corte di merito non ha tenuto conto che i lavori interessati dalla sospensione non erano stati ripresi prima del S.A.L. del 16 luglio 1991, sicché l’A.T.I. era ancora in termini ad apporre la riserva al momento del successivo S.A.L., quando si era resa manifesta la fine lavori disposta dalla direzione lavori.

Allo stesso modo la Corte d’appello non ha considerato che l’interruzione dei lavori per il depuratore e le fognature era avvenuta pur in mancanza dei necessari provvedimenti deliberativi dell’amministrazione municipale.

7. Il motivo è inammissibile.

La censura in esame lamenta “l’inesatto apprezzamento da parte della Corte d’Appello delle risultanze processuali, con conseguente errore di giudizio”, con riferimento all’interpretazione data alla nota dell’A.T.I. del 17 marzo 1992 e alla lettera della medesima del 28 marzo 1992.

Rispetto a questi documenti la doglianza lamenta, quindi, non tanto un omesso esame, ma un esame non conforme alla lettura che l’odierno ricorrente vorrebbe dare delle emergenze processuali; interpretazione, questa, che tuttavia non è coerente con la censura sollevabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che consente di denunciare l’omissione dell’esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio e non la valorizzazione di tale fatto in un senso differente da quello voluto dalla parte (Cass. 14929/2012, Cass. 23328/2012).

Una simile critica si riduce a un tentativo di offrire una diversa lettura delle emergenze processuali, la cui cernita e valutazione competono esclusivamente al giudice di merito e possono essere sindacate in questa sede di legittimità soltanto sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale delle argomentazioni svolte dal giudice di merito; l’errore di valutazione delle prove, consistente nel ritenere la fonte di prova dimostrativa o meno del fatto che con essa si intendeva provare, non e’, invece, sindacabile in sede di legittimità, non essendo previsto dalla tassonomia dei vizi denunciabili con il ricorso per cassazione di cui all’art. 360 c.p.c. (Cass. 9356/2017).

8. Il terzo motivo di ricorso, nel prospettare la violazione degli artt. 1175,1227,1337,1358,1362,1369 e 1375 c.c., assume che la Corte territoriale abbia omesso di considerare come il Comune di Acireale abbia sempre indotto l’A.T.I. a ritenere possibile la realizzazione dell’impianto di depurazione e fognario, non avendo mai adottato un legittimo atto amministrativo idoneo a escludere la realizzazione di questi lavori.

Siffatto comportamento doveva ritenersi lesivo dei principi di buona fede, correttezza e trasparenza.

9. Il motivo è inammissibile.

La sentenza impugnata non fa il minimo cenno alla questione prospettata dalla censura in esame, che dalla lettura della decisione non risulta essere stata posta dall’appellante incidentale; né dalla narrativa del ricorso per cassazione, come pure dallo svolgimento dei motivi, emerge che il T., nel corso del giudizio di merito, avesse mai allegato che la condotta tenuta dalla stazione appaltante avesse integrato una violazione dei principi di buona fede e correttezza contrattuale.

Sicché trova applicazione il principio secondo cui, qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni comportanti accertamenti in fatto di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia stato fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass. 6089/2018, Cass. 23675/2013).

10. Il quarto motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c., nonché l’omesso esame di un fatto decisivo e discusso fra le parti, poiché la Corte d’appello ha omesso di pronunziarsi, fornendo un’adeguata motivazione, sull’appello incidentale proposto dall’A.T.I. rispetto alle riserve n. 1, 2, 3 e 4, il cui esame non era precluso dal rigetto dell’appello principale per la parte concernente le medesime riserve.

11. Il motivo risulta, nel suo complesso, inammissibile.

11.1 Il mezzo, nella sua prima parte, lamenta un’omissione di pronuncia sull’appello incidentale proposto e deve, quindi, essere qualificato come denuncia di un vizio di omessa pronunzia ex art. 112 c.p.c..

Esso si sostanzia, nella sua struttura, nell’integrale trascrizione dei motivi sottoposti al giudice del gravame accompagnata da una generica doglianza circa l’omessa pronunzia sulle riserve n. 1, 2, 3 e 4. Una simile tecnica redazionale non consente, di per sé, di ritenere assolto l’onere di specificità a cui il ricorrente era tenuto ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, secondo cui è necessario che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il fatto processuale del quale richiede il riesame e, quindi, che il corrispondente motivo contenga tutte le precisazioni e i riferimenti necessari ad individuare la dedotta violazione processuale.

Il mezzo, infatti, lascia a questa Corte – che non è legittimata a procedere a un’autonoma ricerca degli atti denunciati come viziati, ma solo a una verifica del contenuto degli stessi – il compito di vagliare il tenore di tutte le censure proposte, verificare a quale delle riserve iscritte ciascuna di esse dovesse essere ricondotta e controllare poi, motivo per motivo, se la pronuncia impugnata (la quale, per il vero, prende espressamente in esame i motivi di appello incidentale proposti dall’A.T.I. con una diffusa motivazione) abbia puntualmente provveduto su ogni profilo di critica proposto con l’appello incidentale. Un motivo di questo tenore non è coerente con il principio secondo cui il ricorso per cassazione che intenda denunciare la violazione dell’art. 112 c.p.c., da parte del giudice di merito, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, non può limitarsi a fare generico rinvio alla regola della necessaria corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, né può omettere di precisare su quale specifica questione il giudice abbia omesso di statuire (cfr. Cass. 4146/2011).

Occorreva, invece, che il mezzo proposto indicasse con puntualità, in coerenza con l’onere di specificità in ossequio al quale doveva essere redatto ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, su quale motivo di appello, fra i tanti proposti con il ricorso incidentale, la Corte di merito non si fosse pronunciata, in violazione del disposto dell’art. 112 c.p.c..

11.2 Non può neppure essere fondatamente predicato, rispetto alla questione agitata, un omesso esame di un fatto discusso e decisivo.

L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel suo attuale testo riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione concernente l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, nozione da intendersi come riferita a un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico e non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicché si devono ritenere inammissibili le censure irritualmente formulate che estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (Cass. 21152/2014, Cass. 14802/2017).

Non risulta perciò censurabile sotto il profilo dedotto la mancata valutazione delle questioni poste con i motivi di appello incidentale.

12. Il quinto motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 91,96 e 132 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c., in quanto la Corte d’appello ha posto a carico dell’A.T.I. le spese di entrambi i gradi del giudizio di merito, benché il primo motivo dell’appello del Comune fosse stato rigettato e senza fornire alcuna motivazione sulle ragioni per cui il collegio di merito aveva ritenuto di non disporre la compensazione.

13. Il motivo è inammissibile.

Il sindacato della Corte di Cassazione in tema di spese processuali è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa.

E che nel caso di specie l’A.T.I. non fosse totalmente vittoriosa è facilmente desumibile dal dispositivo della sentenza impugnata, che, in accoglimento dell’appello principale, rigetta la domanda in origine proposta.

La valutazione dell’opportunità di disporre la compensazione delle spese processuali tra le parti, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso degli altri motivi previsti dall’art. 92 c.p.c., comma 2, rientra invece nel potere discrezionale del giudice di merito (cfr. Cass. 24502/2017, Cass. 8241/2017).

Ne consegue che l’omessa pronuncia di compensazione delle spese non può essere censurata in questa sede di legittimità.

14. In conclusione, in forza dei motivi sopra illustrati, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 7.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 30 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 gennaio 2022

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472