Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.119 del 04/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18722/2017 proposto da:

A.P.T. – Associazione Produttori Televisivi, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Piazza d’Ara Coeli n. 1, presso lo studio dell’avvocato Ferrara Federico M., che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati Banti Federico, Briguglio Antonio, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Protel Center S.r.l. in Liquidazione;

– intimata –

avverso la sentenza n. 570/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 28/01/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 01/12/2021 dal Cons. Dott. IOFRIDA GIULIA;

lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE MATTEIS Stanislao che chiede che la Corte rigetti li ricorso. Conseguenze di legge.

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 570/2017, depositata in data 28/1/2017, – in una controversia promossa, nel 2004, dalla Videodelta spa (oggi Protel Center srl), nei confronti dell’Associazione Produttori Televisivi-A.P.T., quale mandataria della SIAE, per sentire accertare il diritto dell’attrice, quale produttore originario o comunque avente causa dal produttore originario di una serie di telenovelas, trasmesse, tra il 1992 ed il 2002, dall’emittente televisiva ***** (intitolati: *****), di conseguire l’indennizzo o equo compenso per diritto di copia privata, L. n. 93 del 1992, ex art. 3, commi 1 e 6 e L. n. 633 del 1941, art. 71 septies, vale a dire la remunerazione sulle riproduzioni delle opere audiovisive realizzate dai privati per uso personale e non commerciale (per effetto della messa in onda, o distribuzione in esemplari, dell’opera autorale e della possibilità per il pubblico di ricavare copie ulteriori, attraverso l’impiego degli apparecchi e supporti di riproduzione domestica), spettante al titolare del diritto d’autore e di taluni diritti connessi (e quindi agli autori, ai produttori e agli artisti, interpreti ed esecutori), con accertamento “dei criteri normativi per la corresponsione” e condanna della associazione di categoria convenuta, incaricata e delegata da SIAE della ripartizione, al pagamento del suddetto indennizzo per il periodo 1992-2002, nonché, accertato il suo inadempimento e ritardo, al risarcimento dei danni, quantomeno per l’incidenza, nel periodo, del fenomeno inflattivo sulle somme spettanti all’attrice, e degli interessi compensativi e moratori, – ha riformato la decisione di primo grado, che aveva, con sentenza del 2008, respinto tutte le domande attrici, perché Protel non era qualificabile come produttore originaria degli sceneggiati e non spettava l’indennizzo agli aventi causa di questo. In particolare, i giudici d’appello, premesso che, con propria sentenza non definitiva n. 2769 del 2011, era stato accolto parzialmente l’appello proposto da Protel, riconoscendosi, in riforma della decisione di primo grado, il diritto di quest’ultima di percepire l’indennizzo in oggetto, quale avente causa dei produttori originari degli sceneggiati, “secondo i criteri stabiliti dalla Delib. approvata il 22 aprile 2002, dal Consiglio Direttivo dell’Associazione Produttori Televisivi”; sentenza passata in giudicato a seguito di declaratoria di rigetto del ricorso per cassazione, con pronuncia di questo giudice di legittimità n. 15402/2013, e – seguito di quest’ultima – rimessa in istruttoria la causa per il calcolo delle somme dovute a Protel, tramite consulenza tecnica d’ufficio (espletata nel 2013, per un quantum dovuto stimato in Euro 115.782,41, con successivi chiarimenti presentati nel luglio 2014 e successivo supplemento di CTU, in applicazione di altri criteri, depositato nel marzo 2015, con stima di un compenso maggiore, di Euro 903.933,73), hanno sostenuto che: a) quanto alla domanda principale di Protel, di adempimento dell’obbligazione, l’esecuzione del calcolo previsto dalle delibere A.P.T. del 2002 e 2004 non poteva essere eseguito “perché tali delibere stabiliscono l’utilizzo di parametri e coefficienti (cosiddetti “pesi”) che non sono mai stati determinati e che non sono determinabili”, cosicché dette delibere “citate nel dispositivo” della sentenza parziale, non erano “autosufficienti”, in difetto di approvazione, per il periodo che interessava, dal 1992 al 2002, di ulteriori delibere o almeno di capitolati tecnici (tanto che il consulente tecnico “aveva incontrato enormi difficoltà” e non era riuscito a far combaciare i propri calcoli con quelli predisposti dalla stessa APT, “in palese difformità con quelli da essa stessa dettati nelle delibere di cui al dispositivo della sentenza parziale”, e tale impossibilità era da imputare (a distanza di venticinque anni dalla prima messa in onda delle opere) all’Associazione, con conseguente rigetto della domanda); b) in particolare, secondo le delibere sarebbe stato necessario l’impiego di tre parametri ma, ad es., in relazione ad uno di essi, quello relativo alla fascia oraria di messa in onda delle opere, era impossibile desumere le ore di inizio e fine di ciascuna fascia e non era prevista la fascia notturna; c) doveva quindi accogliersi la domanda “pure spiegata dalla srl Protel”, avente ad oggetto la richiesta di risarcimento del danno subito a causa dell’inadempimento di A.P.T., e il rigetto della domanda principale di adempimento (per impossibilità di giungere ad una esatta determinazione del debito pecuniario di APT) e l’accoglimento della pretesa risarcitoria non comportavano lesione del giudicato interno, atteso che quella del 2011 era una sentenza di “mero accertamento” “della esistenza del diritto di credito in capo alla Protel srl,”, non essendosi invece la Corte d’appello mai pronunciata sulle domande di adempimento e di risarcimento danni; d) il danno doveva essere liquidato in via equitativa, tenuto conto dell’intero capitale da ripartire, relativo al decennio che interessa, pari ad Euro 2.189.765,73, e poteva quantificarsi nell’importo di Euro 350.000,00 al valore attuale della domanda, comprensivo di ogni specie di danno.

Avverso la suddetta pronuncia, l’Associazione Produttori Televisivi-A.P.T. propone ricorso per cassazione, notificato il 27/7/2017, affidato a tre motivi, nei confronti di Protel Center srl (che non svolge difese). Il PG ha depositato requisitoria scritta, concludendo per l’inammissibilità o il rigetto del ricorso. La ricorrente, oggi denominata Associazione Produttori Audiovisivi-A.P.A., ha depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La ricorrente lamenta: a) con il primo motivo, la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, art. 279 c.p.c., per avere la Corte d’appello prima, con sentenza parziale n. 2769 del 20/6/2011, passata in giudicato, accertato il diritto di Protel Center “al compenso di cui della L. 5 febbraio 1992, n. 93, art. 3, commi 1 e 6, calcolato secondo i criteri stabiliti dalla delibera approvata il 22/4/2002 dal Consiglio Direttivo dell’Associazione Produttori Televisivi” e, successivamente con la decisione qui impugnata, in violazione del giudicato interno, ritenuto che il calcolo previsto dalle Delib. dell’A.P.T. del 2002 e 2004 non potesse in concreto essere eseguito; b) con il secondo motivo, la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, artt. 1325,1346,1366 e 1367 c.c., per avere la Corte di merito ritenuto impossibile l’esecuzione del calcolo dell’indennizzo per copia privata spettante a Protel, secondo le suddette delibere dell’A.P.T., sebbene detto calcolo fosse stato eseguito dal CTU, nel corso del giudizio di appello, con la prima consulenza del marzo 2013 e fosse comunque determinabile sulla base dei normali poteri di interpretazione negoziale e/o all’occorrenza correttivi della CTU, rimessi al giudice del merito; c) con il terzo motivo, la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, dell’art. 112 c.p.c., per avere la Corte d’appello condannato l’A.P.T. a pagare a Protel Center la somma di Euro 350.000,00, a titolo di risarcimento danno, in difetto di domanda sul punto e comunque sulla base di un fatto costitutivo del risarcimento del danno, rappresentato dall’impossibilità di calcolo dell’indennizzo, imputabile alla condotta della A.T.P., oggi APA, fatto considerato dalla Corte territoriale unicamente d’ufficio.

2. Il PG ha, anzitutto, rilevato che non risulterebbero versate in atti dalla ricorrente l’attestazione di conformità della relata di notifica del ricorso per cassazione e le ricevute di accettazione e consegna della notifica a mezzo PEC, con conseguente improcedibilità/inammissibilità del ricorso; nel merito, il PG ha concluso per il rigetto del ricorso, rilevando in primis l’inammissibilità del primo e del secondo motivo, per carenza di interesse, non avendo l’A.P.T. alcun vantaggio a contestare il fatto che la domanda di condanna all’adempimento di Protel sia stata comunque rigettata.

3. Preliminarmente, il rilievo del PG ai fini della possibile improcedibilità del ricorso è infondato, essendo stati depositati – sin dalla costituzione in forma cartacea – l’attestazione di conformità della relata di notifica del ricorso per cassazione e le ricevute di accettazione e consegna della notifica a mezzo PEC. In ogni caso, la ricorrente ha provveduto al loro deposito unitamente alla memoria, entro la data di adunanza in Camera di consiglio, in conformità di quanto chiarito da questa Corte a Sezioni Unite n. 22438/2018 (“il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall’ultima notifica, di copia analogica del ricorso per cassazione predisposto in originale telematico e notificato a mezzo PEC, senza attestazione di conformità del difensore della L. n. 53 del 1994, ex art. 9, commi 1 bis e 1 ter, o con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non ne comporta l’improcedibilità ove il contro ricorrente (anche tardivamente costituitosi) depositi copia analogica del ricorso ritualmente autenticata ovvero non abbia disconosciuto la conformità della copia informale all’originale notificatogli del D.Lgs. n. 82 del 2005, ex art. 23, comma 2. Viceversa, ove il destinatario della notificazione a mezzo PEC del ricorso nativo digitale rimanga solo intimato (così come nel caso in cui non tutti i destinatari della notifica depositino controricorso) ovvero disconosca la conformità all’originale della copia analogica non autenticata del ricorso tempestivamente depositata, per evitare di incorrere nella dichiarazione di improcedibilità sarà onere del ricorrente depositare l’asseverazione di conformità all’originale della copia analogica sino all’udienza di discussione o all’adunanza in Camera di consiglio”).

4. Occorre osservare, poiché entra in discussione nel presente giudizio, il portato della sentenza parziale del 2011 della stessa Corte d’appello di Roma, che questa Corte, con sentenza n. 15402/2013, ha respinto il ricorso principale di APT (in punto di legittimazione passiva della SIAE, di conseguente irregolare costituzione del contraddittorio e di legittimazione della Protel) e quello incidentale di Protel (in tre motivi, in punto di legittimazione attiva di essa Protel, di mancata pronuncia sulla domanda di risarcimento danni e di vizio motivazionale sui criteri di ripartizione degli indennizzi da “copia privata” rilevanti ai fini della determinazione dell’ammontare dei compensi da tale diritto derivanti), proposti avverso la sentenza non definitiva della Corte d’appello di Roma del 2011, affermando che: a) la L. n. 93 del 1992, art. 3, applicabile ratione temporis (gli artt. 71 sexies, septies ed octies, che attualmente disciplinano i diritti di copia privata essendo stati introdotti dal D.Lgs n. 68 del 2003 (che ha recepito la Direttiva 29/2001/CE, mentre i diritti per cui è causa si riferiscono a periodo anteriore (gli anni 1992-2002)), prevede un sistema articolato in tre fasi (“nella prima, la Siae ha la funzione di riscuotere i diritti per copia privata dai soggetti obbligati indicati dalla legge per conto di tutti gli aventi diritto”; “nella seconda fase la Siae ripartisce quanto riscosso, secondo delle precise percentuali complessive stabilite dalla legge, tra le varie categorie di aventi diritto e cioè: a) gli autori che essa rappresenta; b) i produttori di fonogrammi c) i produttori audiovisivi e di videogrammi”; “nella terza fase i produttori, ricevuta la quota loro spettante, ne devono attribuire una parte agli artisti interpreti ed esecutori e per essi all’Imaie”; “in particolare, nel caso di opere audiovisive e videogrammi, i rispettivi produttori devono attribuire il 5% dei compensi loro attribuiti dalla Siae (L. n. 93 del 1992, art. 3, comma 6) alla predetta Imaie”; “nel caso invece di opere audio, i produttori di fonogrammi devono conferire all’Imaie il 50% dei compensi loro trasferiti dalla Siae”, mentre ” l’Imaie è poi tenuta a provvedere, da un lato, a destinare le somme ricevute dai produttori audiovisivi e di videogrammi a scopi solidaristici o di promozione (L. n. 93 del 1992, art. 7) e, dall’altro, a ripartire le somme ricevute dai produttori fonografici tra i propri associati”), da cui emerge come la SIAE, quale intermediaria per gli autori, non sia tenuta a ripartire direttamente le quote di compenso a ciascuno dei produttori singoli, siano essi di fonogrammi o di audiovisivi o di videogrammi, quanto ad attribuire alle loro associazioni le percentuali complessive che la legge stabilisce per ciascuna categoria; b) andava condivisa la conclusione della Corte d’appello in ordine alla legittimazione attiva di Videodelta, quale cessionaria dei diritti esclusivi patrimoniali di utilizzazione televisiva delle opere, sia pure con motivazione parzialmente corretta; c) occorreva chiarire che il compenso per l’utilizzazione di opere o materiali protetti in virtù dell’esercizio di una eccezione riveste un carattere di tipo indennitario, in quanto “nel caso della riproduzione privata per uso personale disciplinata, attualmente dagli artt. da 71 sexies a 71 octies della Legge sul diritto d’autore (cd. eccezione per copia privata), in base alla quale è consentito ad una persona fisica di effettuare copie di opere e materiali protetti per uso esclusivamente personale, purché senza scopo di lucro e senza fini direttamente o indirettamente commerciali, è evidente che i titolari dei diritti sulle opere o sui materiali protetti subiscono un pregiudizio economico per il fatto che il beneficiario dell’eccezione, invece di acquistare una ulteriore copia dell’opera producendo così per essi un introito economico, può effettuarne liberamente una copia da quella già legittimamente acquisita senza dover versare alcun prezzo” e “per ovviare in parte a siffatto pregiudizio che le norme dianzi citate prevedono che per la cd. copia privata debba essere versato un compenso, tramite le modalità dianzi accennate, di importo di molto inferiore rispetto al prezzo che il beneficiario della eccezione avrebbe dovuto pagare per acquistare una ulteriore copia dell’opera, ma che in qualche modo parzialmente indennizza i titolari dei diritti”; d) il diritto a percepire il compenso in questione, strettamente ed intrinsecamente legato alla titolarità dei diritti esclusivi di sfruttamento dell’opera, proprio perché ha la funzione di supplire parzialmente alla mancata possibilità di pieno sfruttamento di questi ultimi, non può che spettare a coloro i quali, in un dato momento, sono i titolari dei diritti di sfruttamento delle opere e che, in caso di intervenuta cessione di questi ultimi, i cedenti, si sono spogliati non solo dei diritti esclusivi di sfruttamento ma anche di quelli a compenso ad essi collegati, il tutto alla luce di un’interpretazione letterale e sistematica della L. n. 93 del 1992, art. 3, comma 1; e) andavano poi respinti: il secondo motivo del ricorso incidentale di Protel, infondato, non essendovi stata alcuna omessa pronuncia sulla domanda di Protel di “condanna dell’APT al risarcimento dei danni per il ritardato pagamento dei diritti a compenso ad essa spettanti sotto forma del maggior danno da inflazione nonché il riconoscimento degli interessi compensativi e moratori”, atteso che la Corte d’appello non poteva pronunciarsi su di essa, avendo emanato “solo sentenza non definitiva e rimesso la causa in fase istruttoria per il calcolo delle somme spettanti alla Protel center a titolo di compensi per copia privata”, cosicché “solo con la sentenza definitiva che determinerà le dette somme che sarà possibile stabilire il maggior danno da svalutazione e emettere pronuncia sugli interessi”; ed il terzo motivo, inammissibile, avendo la Corte d’appello ritenuto che le somme da riconoscere alla Protel “dovessero essere calcolate in base alla Delib. 22 aprile 2002 dell’APT che la Protel, già membro dell’APT – da cui era uscita solo nel 2003, non aveva mai provveduto ad impugnare, onde la Delib. stessa era inoppugnabile, e che, comunque, ad essa la Protel aveva manifestato adesione astenendosi in occasione della Delib. della sua modifica” e tale ratio decidendi non era stata censurata specificatamente.

5. Ora, come si evince anche dalle conclusioni di Protel in sede di riassunzione del giudizio di rinvio, quali ritrascritte in epigrafe nella sentenza qui impugnata (conclusioni pure richiamate dalla ricorrente e da ritenersi conformi a quelle di primo grado), la stessa aveva chiesto il riconoscimento, per il periodo 1992-2002, del proprio diritto al compenso per “copia privata” per le opere teletrasmesse, con accertamento dei “criteri normativi” per la suddetta corresponsione e condanna della convenuta APT al relativo pagamento, nonché, accertato l’illecito comportamento di APT consistente nell’omissione e nel ritardo della relativa corresponsione, condanna “al risarcimento dei danni cagionati alla Protel Center srl, quantomeno per l’incidenza nel periodo del fenomeno inflattivo sulle somme spettanti”, anche in via equitativa, oltre interessi compensativi e moratori, al saggio legale.

Vi erano quindi due domande principali di accertamento: una, relativa alla legittimazione attiva o titolarità del diritto di credito, in qualità di produttore originario o di avente causa, per cessione dei diritti di sfruttamento delle opere; altra, relativa ai criteri di determinazione e calcolo dell’indennizzo; vi era inoltre una domanda di condanna al risarcimento danni.

La sentenza non definitiva del 2011 della Corte d’appello di Roma aveva accolto i motivi concernenti la piena legittimazione ad agire di Protel e aveva altresì respinto il motivo di gravame concernente la richiesta di determinazione dell’indennizzo secondo asseriti “criteri normativi”, avendo la Corte d’appello ritenuto che le somme da riconoscere alla Protel “dovessero essere calcolate in base alla Delib. 22 aprile 2002 dell’APT, poi modificata da successiva Delib. 1 marzo 2004”, con la quale erano già stati stabiliti i criteri, anche considerato che Protel era, all’epoca, membro di APT (essendone uscita solo successivamente) e non aveva impugnato tali delibere, per cui non ne poteva più contestare l’illegittimità. Tale ratio decidendi non veniva censurata specificamente con il ricorso incidentale per cassazione di Protel ed il terzo motivo di ricorso, fondato su vizio motivazionale in ordine alle “ragioni di illegittimità delle Delibere”, veniva ritenuto inammissibile, anche perché involgente censure nuove ed accertamenti in fatto e valutazioni di merito insindacabili, come affermato da questa Corte nella sentenza n. 15402/2013.

6. Sempre preliminarmente, deve rilevarsi che non può essere condiviso l’assunto del PG in ordine all’inammissibilità dei primi due motivi di ricorso di APT, oggi APA, per carenza di interesse, “non avendo la ricorrente alcun interesse a contestare il fatto che la Corte d’appello abbia ritenuto l’impossibilità di quantificare il compenso secondo i criteri dati con la sentenza parziale”, che avrebbe comunque avuto quale effetto la sua condanna, non avendo la ricorrente neppure “dedotto che la condanna secondo i criteri indicati con la sentenza parziale l’avrebbe risparmiata dalla domanda risarcitoria”.

Invero, l’interesse di APT-APA è stato palesato in ricorso, essendosi essa doluta del fatto che, a fronte di una prima consulenza che aveva quantificato l’indennizzo a titolo di compenso per “copia privata” spettante a Protel, in applicazione dei criteri stabiliti dalle Delib. di APT-APA, nell’importo di Euro 115.782,44, essa era stata invece condannata dalla Corte d’appello al versamento, a titolo di risarcimento danni, dell’importo di Euro 350.000,00, sulla base di una domanda risarcitoria, proposta in via autonoma, ulteriore rispetto al mero danno da ritardata corresponsione dell’indennizzo in misura corrispondente alla svalutazione monetaria, che essa assumeva, oltretutto, mai avanzata ex adverso.

In tema di impugnazioni, l’interesse ad agire di cui all’art. 100 c.p.c., postula la soccombenza nel suo aspetto sostanziale, correlata al pregiudizio che la parte subisca a causa della decisione, e va apprezzato in relazione all’utilità giuridica che può derivare al proponente il gravame dall’eventuale suo accoglimento (Cass. 8934/2012; Cass. 13395/2018).

7. Tanto premesso, la prima censura è infondata.

Questa Corte ha da tempo chiarito che “nel caso di pronuncia di sentenza non definitiva ai sensi dell’art. 279 c.p.c., commi 2 e 4, e di prosecuzione del giudizio per l’ulteriore istruzione della controversia, il giudice resta da questa vincolato (anche se non passata in giudicato) sia in ordine alle questioni definite, sia per quelle da queste dipendenti, che debbono essere esaminate e decise sulla base dell’intervenuta pronuncia, a meno che questa sia stata riformata con sentenza passata in giudicato pronunziata a seguito di impugnazione immediata”, cosicché “detto giudice non può risolvere quelle questioni in senso diverso con la sentenza definitiva e, ove lo faccia, il giudice del gravame, anche di legittimità, può rilevare d’ufficio la violazione del giudicato interno originante dalla sentenza non definitiva che non sia immediatamente impugnata, né fatta oggetto di riserva di impugnazione differita, ed è abilitato ad interpretare la pronuncia che si assume definitiva, poiché la formazione della preclusione data dal giudicato interno fa parte dello sviluppo del procedimento e gli errori che eventualmente affliggano il procedimento possono essere accertati dalla Corte di Cassazione anche attraverso indagini di fatto” (Cass. 18510/2004; Cass. 10889/2006; Cass. 18898/2009; Cass. 6689/2012; Cass. 23862/1015; Cass. 18834/2017).

Peraltro, questo giudice di legittimità deve procedere alla verifica degli atti in quanto “le sentenze non definitive producono effetti di preclusione endoprocessuale assimilabili al giudicato interno, sicché la verifica della relativa violazione deve essere effettuata, anche in sede di legittimità, mediante l’esame diretto degli atti processuali” (Cass. 2533/2016).

Giova, inoltre, ribadire il principio di diritto secondo il quale il giudicato va assimilato agli “elementi normativi”, cosicché la sua interpretazione deve essere effettuata alla stregua dell’esegesi delle norme e non già degli atti e dei negozi giuridici, essendo sindacabili sotto il profilo della violazione di legge gli eventuali errori interpretativi, ed il giudice di legittimità può direttamente accertare l’esistenza e la portata del giudicato (intero o esterno) con cognizione piena che si estende al diretto riesame degli atti del processo ed alla diretta valutazione ed interpretazione degli atti processuali, mediante indagini ed accertamenti, anche di fatto, indipendentemente dall’interpretazione data al riguardo dal giudice di merito (Cass. SU 226/2001; Cass. SU 24664/2007; Cass. SU 11501/2008).

Ora, nella specie, la sentenza non definitiva, passata in giudicato, aveva accertato soltanto la spettanza a Protel dell’indennizzo, quale avente causa dal produttore originario delle opere televisive, e l’an del diritto al compenso, da liquidare, non secondo i criteri normativi invocati da Protel ma, secondo gli specifici criteri individuati dalla associazione di categoria APT-APA con le (apposite) delibere del 2002 e del 2004, criteri determinati di comune accordo dalle parti (in quanto Protel, associata in APT, non aveva impugnato le predette delibere), conferendo, in conformità, incarico, con separata ordinanza istruttoria, al consulente tecnico d’ufficio per il computo.

Tanto chiarito, deve, tuttavia, rilevarsi che la Corte d’appello non ha violato il giudicato interno allorché ha affermato che l’esecuzione del calcolo dell’indennizzo spettante a Protel non potesse, in realtà ed in concreto, essere eseguita nei modi suddetti, in quanto le delibere APT del 2002 e 2004 avevano stabilito l’utilizzo di parametri e coefficienti mai determinati e non determinabili, rilevando che la sentenza parziale del 2011 avesse solo accertato la titolarità del diritto di credito in capo a Protel, accogliendo tale domanda, non pronunciandosi invece positivamente sulla fondatezza di quelle attrici, di adempimento contrattuale e di risarcimento danni, cosicché ben poteva, in via definitiva, rigettarsi la domanda di condanna all’adempimento ed accogliersi quella di risarcimento danni.

Invero, la Corte d’appello ha accertato, all’esito di consulenza tecnica (che aveva comportato il deposito di due diversi elaborati, attese le contrapposte ed inconciliabili posizioni delle parti in corso di istruttoria), che la determinazione dell’esatto ammontare monetario dei compensi spettanti all’attrice Protel, secondo i parametri predeterminati nelle delibere APT (la quale era stata incaricata da SIAE di procedere alla ripartizione del compenso in questione) del 2002 e 2004, era impossibile, in quanto dette delibere, in sede di loro concreta applicazione, si erano rivelate, per il periodo che qui interessa, 1999-2002, del tutto non autosufficienti. Esse invero, pur stabilendo che determinati parametri o pesi (in numero di tre: orario, emittente televisiva, durata, per quanto emerge dagli atti; in numero di due, secondo la ricorrente: fascia oraria e canale televisivo di riproduzione del contenuto autorale; in numero di uno, secondo la prima consulenza tecnica, per quanto riportato in nota 12 del ricorso) debbono essere utilizzati per il calcolo del compenso per “copie private” spettante agli aventi diritto (i singoli produttori delle opere trasmesse a mezzo rete televisiva), si era constatato che tali criteri erano incompleti, non contenendo poi il “valore aritmetico” da attribuire agli elementi di calcolo, necessitando quindi di “dati che né le delibere né i collegati tecnici alle stesse hanno mai determinato o, almeno, reso determinabili” (ad es., per uno di questi pesi, quello relativo all’orario della messa in onda dell’opera autorale, al termine di complessa istruttoria, si era accertato che le fasce orarie erano quattro (“pomeriggio, prima serata, seconda serata, mattina”; peraltro APT sosteneva che le fasce fossero invece cinque, aggiungendo la fascia “notte”, non evincibile neppure dagli allegati tecnici delle delibere, cui essa aveva attribuito un valore “O”), ma non era stato possibile determinare in maniera univoca, oggettiva e chiara le ore di inizio e fine di ciascuna fascia, con conseguenti determinazioni del tutto approssimative e quindi arbitrarie. Il tutto in relazione ad opere, quali quelle oggetto di domanda, trasmesse proprio, secondo l’assunto della stessa APT, nelle c.d. ore notturne). Di conseguenza, la Corte d’appello ha respinto la domanda principale dell’attrice di condanna dell’APT-APA all’adempimento, “per impossibilità di stabilire l’ammontare pecuniario dell’obbligazione”, vale a dire per l’impossibilità di quantificare il compenso secondo i criteri stabiliti con la sentenza non definitiva, essendosi rilevati tali pesi, in sede di concreta applicazione, del tutto incompleti ed inidonei alla necessaria esatta determinazione del risultato per il quale erano stati predisposti.

Come rilevato dal PG, infatti, non si verte in ipotesi di condanna al risarcimento del danno, in cui, in fase di liquidazione, è conferito al giudice, dagli artt. 1226 e 2056 c.c., il potere discrezionale di procedere anche ad una sua liquidazione equitativa, a fronte dell’impossibilità o dell’estrema difficoltà, nel caso concreto, di provare l’ammontare del danno, trattandosi invece di domanda di adempimento dell’obbligo di corrispondere all’avente diritto il compenso per “copia privata” L. n. 93 del 1992, ex art. 3.

Di conseguenza, verificati gli atti, l’interpretazione del giudicato della Corte d’appello risulta del tutto corretta.

8. La seconda censura è inammissibile, per difetto di specificità.

Invero, la Corte di merito ha tentato di ricostruire il contenuto degli atti negoziali rappresentati dalle delibere APT, senza esito, in particolare, in relazione al parametro relativo alle fasce orarie ed all’individuazione delle ore di inizio e di fine di ciascuna di esse ad al senso da dare alle espressioni ivi utilizzate “mattina, pomeriggio, prima serata, seconda serata”

La ricorrente denuncia la violazione di criteri ermeneutici del contratto, quali l’interpretazione secondo buona fede, ex art. 1366 c.c., e la conservazione degli effetti utili del contratto o di una sua clausola, ex art. 1367 c.c., art. 1346 c.c., nonché dell’art. 1346 c.c., in relazione al requisito della determinatezza o determinabilità della prestazione oggetto del contratto, peraltro richiesto a pena di nullità ex art. 1418 c.c.. Tale ultimo richiamo normativo risulta inconferente in quanto non si discute di invalidità di contratto.

Ora, i criteri ermeneutici sussidiari dell’atto negoziale possono e devono trovare applicazione solo quando siano stati utilizzati i criteri letterale, logico e sistematico di indagine e, nonostante ciò, il senso del contratto o della clausola sia rimasto oscuro o ambiguo.

Ma, nella specie, neppure la ricorrente deduce con chiarezza quale sarebbe il diverso significato delle clausole delle delibere, ricavabile in applicazione dei criteri ermeneutici invocati, “conservativo” o di “ragionevole affidamento”, in rapporto ai parametri o pesi, individuati come necessari per la determinazione dell’obbligazione in oggetto, quella di ripartizione tra gli aventi diritto del compenso per copia privata.

Il contenuto della regolamentazione dettata dalle delibere non viene riprodotto e si dà atto, anche in sede di ricorso, che erano insorte contestazioni sulla portata dei pesi (si deduce, invero, che la prima consulenza, che aveva stimato l’indennizzo dovuto in Euro 115.782,41, aveva “di fatto” applicato un solo peso e che la stessa APT, contestando quindi anche tale elaborato – peraltro oggi invocato come utile ai fini del decidere -, aveva evidenziato la necessità di applicazione di almeno due pesi, fascia oraria e canale televisivo) e sul significato da attribuire anche agli stessi parametri (anche in ricorso si introduce, infatti, all’interno del parametro relativo all’orario di diffusione, quello della fascia notturna, non presente nei capitolati tecnici allegati alle delibere in oggetto, cui la ricorrente attribuisce un valore “0”, “in conformità alle delibere da obbligatoriamente applicare”).

Costituisce principio consolidato quello secondo cui l’interpretazione del contratto è riservata al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità solo vizio di motivazione, nei limiti dell’attuale formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, o nell’ambito del vizio di motivazione del tutto carente o contraddittoria o apparente, ex art. 360 c.p.c., n. 4, ovvero per violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale e che quest’ultima violazione deve dedursi con la specifica indicazione nel ricorso per cassazione del modo in cui il ragionamento del giudice si sia discostato dai suddetti canoni, atteso che altrimenti la ricostruzione del contenuto della volontà delle parti si traduce nella mera proposta di una interpretazione, diversa da quella censurata inammissibile come tale in sede di legittimità (Cass. 17427/2003; Cass. 24461/2005; Cass. 2560/2007).

In sostanza, la ricorrente lamenta che la Corte di merito abbia ritenuto i criteri di determinazione del compenso per copia privata individuati dalle Delib. APT del 2002 e 2004 inapplicabili per loro assoluta indeterminatezza, indeterminabilità, ma non chiarisce come detti criteri potessero in concreto trovare univoca e chiara attuazione.

9. Il terzo motivo è infondato.

La Protel aveva espressamente chiesto, in primo grado, che, accertato l’illecito comportamento di APT, consistente nell’omissione e nel ritardo nella corresponsione dell’indennizzo, la stessa venisse condannata al risarcimento del danno, quanto meno in misura corrispondente all’incidenza nel periodo (1992-2002) del fenomeno inflattivo. Ne consegue che né il fenomeno della svalutazione monetaria era stato invocato solo come accessorio della domanda di condanna al pagamento del compenso, né che si trattasse di domanda inequivocabilmente connessa alla pregiudiziale domanda di adempimento: era stata proposta una separata ed autonoma domanda risarcitoria, nei confronti della convenuta, previo accertamento dell’inadempimento e ritardo nella corresponsione del compenso per copia privata alla associata, nell’ambito della quale il fenomeno inflattivo era stato indicato solo come misura minima del risarcimento richiesto.

La domanda di risarcimento del danno, ex art. 1453 c.c., è invero indipendente sia dalla domanda di adempimento che da quella di risoluzione, tanto da potere essere proposta anche come domanda a sé stante (Cass. 272/1998; Cass. 5774/1998; Cass. 5100/2006).

Di conseguenza, liquidando il danno da inadempimento contrattuale, nei termini sopra esposti, la Corte d’appello non è incorsa in vizio di ultrapetizione, neppure sotto il profilo della modifica dei fatti costituitivi allegati in giudizio.

Se è vero che, in sede di diritti eterodeterminati (quali appunto i diritti di credito per risarcimento del danno e, in genere, per tutti i diritti relativi), è indispensabile, per la relativa individuazione, il riferimento ai fatti costitutivi che vanno specificati all’atto della proposizione della domanda, incidendo essi sulla individuazione della causa petendi e, conseguentemente, sull’esercizio del diritto di difesa dell’obbligato (cfr. in Cass. 23.10.2002 n. 14934), nella specie la causa petendi era comunque sempre rappresentata dal mancato assolvimento, da parte della associazione convenuta, quale mandataria SIAE, all’obbligo, ex lege, di corrispondere all’avente diritto l’indennizzo da “copia privata”, rispetto al quale le delibere del 2002 e del 2004, allegate in giudizio rappresentavano strumenti negoziali adottati ai soli fini di attuazione dell’obbligo.

10. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso.

Non v’e’ luogo a provvedere sulle spese processuali non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 1 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 gennaio 2022

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