Negozio di cessione di cubatura tra privati, contenuto, servitù prediale, esclusione, natura, rilevanza

Corte di Cassazione, sez. II Civile, Sentenza n.1476 del 18/01/2022

Pubblicato il
Negozio di cessione di cubatura tra privati, contenuto, servitù prediale, esclusione, natura, rilevanza

Il negozio di cessione di cubatura tra privati, con cui il proprietario di un fondo distacca, in tutto o in parte, la facoltà inerente al suo diritto dominicale di costruire nei limiti della cubatura assentita dal piano regolatore e, formandone un diritto a sé stante, lo trasferisce a titolo oneroso al proprietario di altro fondo urbanisticamente omogeneo, è atto immediatamente traslativo di un diritto edificatorio di natura non reale a contenuto patrimoniale.

Con la cessione di cubatura, in particolare, non si costituisce una servitù prediale (non aedificandi o altius non tollendi), ovvero un asservimento del terreno per scopi edificatori, stanti l’incidenza decisiva esplicata dal ruolo della P.A. nel rilascio del permesso di costruire maggiorato, la necessaria assunzione da parte del cedente di un obbligo specifico, rappresentato dalla prestazione di consenso al rilascio, da parte dell’amministrazione comunale, del medesimo permesso di costruire per cubatura maggiorata, e, ancora, la non indispensabilità della vicinanza tra i fondi (bastando che essi siano ricompresi all’interno della medesima zona urbanistica).

La natura (non traslativa né costitutiva di un diritto reale, né meramente obbligatoria e comunque vincolata all’assenso della P.A., ma immediatamente traslativa di un diritto di natura non reale) rileva al fine di dare rilievo all’eventuale mancato ottenimento del permesso di costruire quale causa della inefficacia o della risoluzione del negozio.

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1457/2016 proposto da:

F.L., F.G., P.C., elettivamente domiciliati in ROMA, V. COSSERIA 5, presso lo studio dell’avvocato PAOLO MIGLIACCIO, rappresentati e difesi dall’avvocato FLAVIO BONAZZA;

– ricorrenti –

contro

A.M., P.G., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA VARRONE 9, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO VANNICELLI, rappresentati e difesi dagli avvocati MASSIMILIANO VERSINI, RODOLFO MATTEOTTI;

– controricorrenti –

nonché

sul ricorso proposto da:

A.M., P.G., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA VARRONE 9, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO VANNICELLI, rappresentati e difesi dagli avvocati MASSIMILIANO VERSINI, RODOLFO MATTEOTTI;

– ricorrenti incidentali –

contro

P.C., F.L., F.G.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 190/2015 della CORTE D’APPELLO di TRENTO, depositata il 12/06/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 24/11/2021 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA;

viste le conclusioni motivate, ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, convertito con modificazioni dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, formulate dal P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MISTRI Corrado, il quale ha chiesto la declaratoria di inammissibilità, o in subordine il rigetto, del ricorso principale e del ricorso incidentale;

vista le memorie depositate dai ricorrenti principali e dai controricorrenti e ricorrenti incidentali.

FATTI DI CAUSA

P.C., F.G. e F.L. hanno proposto ricorso articolato in cinque motivi avverso la sentenza n. 190/2015 della Corte d’appello di Trento, pubblicata in data 12 giugno 2015.

P.G. e A.M. hanno notificato controricorso avverso il ricorso principale, contenente altresì ricorso incidentale articolato in cinque motivi.

Con citazione del 22 gennaio 2008 P.C., F.G. e F.L. convennero dinanzi al Tribunale di Rovereto i coniugi P.G. e A.M. affermando: che i coniugi P. – A. li avevano inizialmente convenuti davanti al Tribunale di Rovereto per ottenere la divisione dell’edificio p.ed. ***** in c.c. Romarzollo e dell’area contigua p.f. *****; che la causa era stata definita con conciliazione giudiziale, sottoscritta all’udienza del 15 giugno 2005, nella quale le parti avevano proceduto alla divisione consensuale dei beni comuni, individuati con riguardo alla p.ed. ***** ed alla p.f. ***** di nuova formazione, sul presupposto che la p.f. ***** di cui al frazionamento del 18 ottobre 2004 sarebbe stata acquisita dalla Provincia per l’allargamento della strada delle Grazie e che la p.ed. ***** avrebbe così continuato a confinare con la strada pubblica, una volta allargata; che il verbale di conciliazione aveva recepito il progetto di divisione redatto dal geometra B., con l’attribuzione del lotto p.ed. ***** c.c. ed aree di pertinenza ai signori P. – F., e del lotto p.f. ***** ai signori P. – A.; che, tuttavia, l’avvocato De Mattia, difensore dei coniugi P. – A., aveva poi predisposto una domanda di intavolazione del verbale di conciliazione alla quale venne allegato il tipo di frazionamento 30 agosto 2005, vistato dall’Ufficio del Catasto di Riva del Garda il 20 settembre 2005, diverso da quello 15 giugno 2005 allegato allo stesso verbale di conciliazione; che tale frazionamento 30 agosto 2005 individuava due ulteriori particelle latistanti la pubblica ***** e costituite dalla p.f. ***** e dalla p.ed. ***** c.c. Romarzollo, non ricomprese nel lotto contiguo alla pubblica via assegnato ai signori P. – F.; che non era stato più realizzato il previsto allargamento della strada pubblica, il quale avrebbe lasciato confinare il lotto A con la pubblica via, essendosi limitato l’allargamento effettivamente eseguito ad occupare in minima parte la p.f. *****; che l’erronea intavolazione del tipo di frazionamento predisposto successivamente alla formalizzazione del verbale di conciliazione giudiziale aveva comportato l’assegnazione ai signori P. – F. di un’area di mq. 612, inferiore di 59 mq. rispetto a quella del lotto risultante dall’atto di conciliazione, mentre ai signori P. – A. era stata assegnata un’area di mq. 649, superiore di 45 mq rispetto a quella prevista; che, in ogni caso, il tipo di frazionamento del 30 agosto 2005, prima di poter essere utilizzato per l’intavolazione della divisione, come allegato alla conciliazione, avrebbe dovuto essere sottoposto all’approvazione di tutte le parti, considerato che le superfici dei due lotti risultavano sensibilmente diverse da quelle che avevano costituito oggetto della conciliazione.

Sulla base di queste considerazioni i signori P. – F. domandarono: di accertare che spettasse loro la proprietà della p.f. ***** e della p.ed. ***** c.c.; di disporsi la divisione della p.f. ***** e della p.ed. ***** in conformità al progetto 13 dicembre 2005 del geometra B., previo annullamento della clausola del verbale di conciliazione del 15 giugno 2005, riguardante l’esclusione della divisione dell’aerea corrispondente alla p.f. ***** c.c. Romarzollo, poiché effetto di errore o di presupposizione; nell’ipotesi in cui la divisione richiesta desse luogo a superfici reali di misura diversa da quelle calcolate nella relazione 13 dicembre 2005, di condannare P.G. e A.M. a corrispondere un conguaglio in misura corrispondente alla minor superficie.

Si costituirono i convenuti P.G. e A.M., i quali eccepirono il difetto di legittimazione passiva, tenuto conto che la Provincia aveva provveduto ad espropriare le p.f. ***** e ***** ed a corrispondere l’indennizzo ai signori P. – A. e P. – F., pur se non aveva dato corso alla intavolazione della proprietà in favore del Comune di Arco. I convenuti rilevarono quindi che, pur se l’allargamento della strada era avvenuto per un tratto inferiore rispetto all’estensione delle particelle, ove i signori P. – F. avessero inteso riottenerne la proprietà, essi avrebbero dovuto presentare domanda di retrocessione nei confronti della Provincia. P.G. e A.M. dedussero quindi l’infondatezza delle avverse domande, considerando che la volontà di escludere dalla divisione la p.f. ***** non era certamente affetta da errore, ma era dipesa proprio dalla conoscenza che le parti avevano dell’imminente esproprio della p.f. *****. In ordine alla domanda risarcitoria degli attori, avanzata sul presupposto che il lotto assegnato ai signori P. – F. avesse una superficie minore di quella prevista, P.G. e A.M. opposero che la volontà pattizia delle parti non si dovesse desumere dalla relazione del geometra B., ma dal verbale di conciliazione, nel quale si dava atto che alcune particelle non erano più oggetto di divisione. I signori P. – A. chiesero, allora, in via riconvenzionale, che si accertasse l’inadempimento e comunque la violazione del principio di buona fede e correttezza nell’esecuzione del contratto da parte degli attori P. – F., con riferimento all’obbligazione assunta al punto 4 del verbale di conciliazione e che gli stessi venissero condannati al risarcimento del danno. In particolare, a fondamento della riconvenzionale risarcitoria, i signori P. – A. rilevarono che: in forza della suddetta clausola 4, i signori P. – F. avrebbero dovuto cedere loro il diritto di utilizzare la volumetria di circa 500 mc derivante dai 284 mq della p.ed. *****, per l’effetto prevedendosi la costituzione di una servitù di volumetria edificatoria in favore della p.f. *****, mentre, al punto 6, si era prevista la demolizione e l’arretramento da parte dei signori P. – F. dell’edificio p.ed. *****; nel gennaio 2006 avevano presentato domanda di concessione edilizia per poter edificare sul lotto loro assegnato, prevedendo l’utilizzo di tutta la cubatura del lotto, più i 500 mq derivanti dalla servitù di volumetria; il Comune di Arco aveva sospeso la pratica concessoria, dovendosi attendere che i signori P. – F. demolissero ed arretrassero parte del loro edificio; i signori P. – F. avevano presentato il progetto di ampliamento dell’edificio nel marzo 2006, progetto approvato nel maggio successivo; i signori P. – F., tuttavia, avevano provveduto a “staccare” la concessione solo nel gennaio 2007, ma a quel punto era divenuto impossibile per i signori P. – A. utilizzare per l’edificazione anche i 500 mc oggetto della servitù, in quanto nell’agosto 2006 il Comune di Arco aveva modificato le norme tecniche di attuazione, escludendo la possibilità di utilizzare, nelle edificazioni, la cubatura derivante da lotti diversi; pertanto il ritardo con il quale i signori P. – F. avevano provveduto alla demolizione ed all’arretramento dell’edificio avevano determinato, unitamente all’intervento della nuova normativa, la definitiva preclusione della possibilità di utilizzare i 500 mc di cubatura di pertinenza del lotto confinante. I signori P. – A. in via subordinata chiesero la condanna dei signori P. – F., sulla base del principio della presupposizione, a versare una somma di denaro a titolo di conguaglio pari al valore della cubatura che avrebbe dovuto essere ceduta ed, in ogni caso, nell’ipotesi di riconoscimento della sopravvenuta impossibilità di tale prestazione, la ripetizione dell’indebito, pari sempre al valore della volumetria che avrebbe dovuto essere ceduta; nell’ipotesi di ritenuta impossibilità della prestazione, la riconvenzionale domandava il riconoscimento del diritto dei signori P. – A. alla riduzione della loro controprestazione nella misura in cui risultava ridotta la prestazione colpita da impossibilità sopravvenuta, mediante condanna dei signori P. – F. a versare ai convenuti in primo grado un conguaglio in denaro pari al valore della cubatura che avrebbe dovuto essere trasferita in favore del fondo di questi ultimi; ancora in via subordinata, i signori P. – A. domandarono l’assegnazione pro quota o l’attribuzione di conguaglio per la divisione delle particelle p.f. ***** e della p.ed. ***** c.c., nonché il rimborso della quota di competenza della controparti, pari alla somma di Euro 96,82, versata all’avvocato De Mattia per le spese di intavolazione.

Con sentenza del 14 febbraio 2011, il Tribunale di Rovereto dichiarò l’invalidità della clausola di mantenimento della comunione sulle particelle ***** c.c. Romarzollo, di cui al verbale di conciliazione 15 giugno 2006, ed affermò che la proprietà pro indiviso delle suddette particelle spettava, nella misura di 2/4, a P.C., e, nella misura di 1/4 ciascuno, a F.L. e F.G.; respingeva la domanda di conguaglio dei signori P. – F. e tutte le residue domande riconvenzionali dei convenuti in primo grado.

Con citazione del 15 luglio 2011 P.G. e A.M. proposero appello, accolto dalla Corte d’appello di Trento limitatamente ai motivi inerenti alla domanda riconvenzionale subordinata di sopravvenuta impossibilità della prestazione e ripetizione di indebito per il valore della volumetria che avrebbe dovuto essere oggetto di cessione, nonché alla domanda riconvenzionale di rimborso delle spese di intavolazione del verbale di conciliazione, condannando P.C., F.L. e F.G. corrispondere a P.G. e A.M. per la prima causale Euro 119.349,00 e per la seconda causale Euro 96,82, oltre interessi legali dalla domanda.

Il ricorso è stato deciso in Camera di consiglio procedendo nelle forme di cui al D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, convertito con modificazioni dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176.

Sia i ricorrenti principali che i controricorrenti e ricorrenti incidentali hanno presentato memorie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso principale, P.C., F.G. e F.L. lamentano l’omesso esame di un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., n. 5. In particolare, i ricorrenti principali sostengono che la Corte d’appello di Trento sia pervenuta all’erronea conclusione della pretesa impossibilità di adempimento della prestazione da parte degli appellati relativamente al punto 4) del verbale di conciliazione giudiziale (concernente la costituzione di una servitù di asservimento volumetrico a favore della p.f. ***** C.C. Romarzollo), omettendo di considerare le puntuali argomentazioni prospettate con le quali i ricorrenti principali avevano precisato che la volumetria non era stata “promessa” ai signori P. – A., ma “concessa al fondo p.f. *****” di loro proprietà, tramite costituzione di un diritto reale e senza termini, con conseguente aggravio permanente sul fondo servente P. – F.. Attraverso la costituzione di siffatto diritto reale mediante l’iscrizione tavolare eseguita, era stata assicurata la fruizione dell’utilitas agli assegnatari del lotto B con soggezione del fondo servente al vincolo di inedificabilità, non potendosi perciò ravvisare alcuna impossibilità sopravvenuta della prestazione posta a carico dei concedenti.

Il secondo motivo del ricorso principale denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o erronea applicazione dell’art. 1464 c.c., in relazione all’art. 1027 c.c.. Si ribadisce che l’obbligo scaturente dal punto 4) del verbale di conciliazione consistesse nella costituzione del diritto di asservimento volumetrico a carico della p.ed. ***** c.c. Romarzollo, sicché, una volta eseguita l’iscrizione tavolare, non sussisteva alcuna ulteriore prestazione da adempiere in capo ai ricorrenti principali, anche alla stregua dell’art. 1027 c.c..

Il terzo motivo del ricorso principale deduce l’omesso esame della non definitività dell’assunta impossibilità di fruizione delle potenzialità edificatorie oggetto di servitù, stante la provvisorietà e/o temporaneità propria di ogni disposizione pianificatoria di carattere urbanistico.

Con il quarto motivo del ricorso principale, P.C., F.G. e F.L. denunciano la violazione e/o errata applicazione dell’art. 1465, e, in ogni caso, dell’art. 1464 c.c. in relazione agli artt. 1256,1258,1325 e 2033 c.c.. La censura sostiene sempre che non era invocabile alcuna impossibilità sopravvenuta ai fini dell’applicazione dell’art. 1464 c.c. e della riduzione della controprestazione. Avendo il contratto stipulato ad oggetto la costituzione di un diritto reale, avrebbe dovuto trovare applicazione, piuttosto, il disposto di cui all’art. 1465 c.c., di tal che, una volta intavolata la servitù, il rischio di impossibilità di fruizione dell’utilitas connessa al diritto reale stesso doveva gravare esclusivamente sul soggetto beneficiario di esso, con conseguente esclusione della possibilità di riconoscimento di qualsiasi riduzione o conguaglio, ove l’asserita inattuabilità del diritto reale non sia imputabile alla parte che l’ha costituito. Peraltro, sussisterebbe comunque un’erronea applicazione del disposto di cui all’art. 1464 c.c., considerando i caratteri che l’impossibilità sopravvenuta deve assumere in base agli artt. 1256 e 1258 c.c. (assoluta, non imputabile e definitiva). Viene infine dedotta la conseguente erronea applicazione dell’art. 2033 c.c., non sussistendo alcuno squilibrio economico sopravvenuto tra gli obblighi derivati dal contratto di transazione e divisione, né alcuna prestazione dei signori P. – A. divenuta indebita.

Il quinto motivo del ricorso principale denuncia ancora l’omesso esame di un fatto decisivo, “in via rigorosamente subordinata”, avendo la Corte d’appello di Trento comunque omesso di considerare che il C.T.U., per il caso di ritenuta definitiva inutilizzabilità della volumetria oggetto della servitù e venir meno delle correlate capacità edificatorie, aveva rideterminato il valore del lotto assegnato ai signori P. – A. prevedendo un ipotetico conguaglio di Euro 62.549,00, mentre la Corte d’appello ha poi liquidato il maggior importo di Euro 119.349,00.

2. Il motivo del ricorso incidentale di P.G. e A.M. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1175,1176,1218 e 1375 c.c., con riferimento all’art. 4 del verbale di conciliazione giudiziale, ed ancora la violazione dell’art. 8 delle norme tecniche di attuazione del PRG di Arco. Ad avviso dei ricorrenti incidentali, la Corte d’appello di Trento ha rigettato il sesto motivo di appello sull’erroneo presupposto che la possibilità di sfruttare l’indice edificatorio dell’area libera fosse venuta meno solo con la modifica del piano del 2006, mentre l’art. 8 delle norme tecniche di attuazione del PRG non era mutato rispetto al testo vigente nel 2003 e nel 2006 era sopravvenuto solo il divieto del passaggio di cubatura da un lotto ad un altro.

Il secondo motivo del ricorso incidentale denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1175,1776,1218 e 1375,2697 c.c., 1362 c.c. con riferimento all’art. 6 del verbale di conciliazione giudiziale e comunque l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio. La censura è relativa alla mancata demolizione di una parte dell’edificio P. – F., che avrebbe consentito ai signori P. – A. di poter legittimamente edificare sul loro fondo nel rispetto delle distanze. Da tale inadempimento sarebbe poi derivato il mancato rispetto dell’art. 4 del verbale di conciliazione sul trasferimento della cubatura. Il secondo motivo contiene censure anche sulla distribuzione dell’onere della prova.

Il terzo motivo del ricorso incidentale denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1353,1463 e 1467 c.c. e comunque l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio. Con riferimento al rigetto dell’ottavo motivo di appello, i ricorrenti incidentali affermano che è stata errata l’applicazione del “principio della presupposizione”, in quanto essi non avrebbero mai sottoscritto l’accordo di conciliazione senza poter conseguire la cessione di volumetria a vantaggio del lotto B loro assegnato, ovvero senza beneficiare in sostituzione di un corrispettivo in denaro a titolo di conguaglio.

Il quarto motivo del ricorso incidentale lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 1467 c.c.. In particolare, i ricorrenti incidentali contestano la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, sostenendo che la Corte d’appello di Trento non avrebbe potuto pronunciare la risoluzione del contratto in risposta alla domanda di annullamento per errore proposta dai signori P. – F., Il quinto motivo del ricorso incidentale deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 764 c.c., potendo la transazione essere annullata solamente qualora l’errore di fatto e di diritto ricada su una questione estranea all’oggetto della lite transatta, mentre i signori P. – F. avevano chiesto l’annullamento del verbale di conciliazione giudiziale per errore essenziale ricadente sull’oggetto del contratto.

3. I primi quattro motivi del ricorso di P.C., F.G. e F.L., da esaminare congiuntamente, sono fondati nei limiti di seguito precisati in motivazione e per ragioni giuridiche anche diverse da quella specificamente indicate dai ricorrenti principali ma comunque individuabili da questa Corte sulla base dei fatti accertati nelle fasi di merito ed esposti nella stessa sentenza impugnata. L’accoglimento dei primi quattro motivi del ricorso principale giustifica l’assorbimento del quinto motivo dello stesso, il quale perde di immediata rilevanza decisoria.

3.1.Si ha riguardo ad un atto di conciliazione giudiziale sottoscritto dalle parti nel corso di un giudizio di divisione all’udienza del 15 giugno 2005. L’atto era volto a sciogliere consensualmente la comunione della p.ed. ***** e della p.f. *****, sul presupposto che la p.f. ***** di cui al frazionamento del 18 ottobre 2004 sarebbe stata acquisita dalla Provincia.

3.2. La Corte d’appello di Trento ha affermato che il negozio avesse dato luogo ad una transazione le cui prestazioni corrispettive consistevano nell’attribuzione in proprietà a ciascuna delle parti di un lotto di identico valore (determinato in Euro 400.000), derivante della potenzialità edificatoria delle aree. In tale assetto di interessi si inseriva l’art. 4 del verbale di conciliazione, con cui P.C., F.L. e F.G. cedevano a P.G. e A.M. “il diritto di poter utilizzare quella parte di volumetria derivante dalla superficie scoperta secondo le modalità di cui al parere rilasciato al geometra Be. dal dirigente dell’Area Tecnica del Comune di Arco, area calcolata dal geom. Be. in metri quadrati 284”, aggiungendosi che “(a) tal fine viene costituita una servitù di volumetria edificatoria a carico della p.ed. ***** ed in favore della p.f. ***** in c.c. Romarzollo limitatamente al volume derivante dalla superficie scoperta di mq 284… ora conglobata nella p.ed. *****”. Ha osservato la Corte d’appello come, per effetto delle modifiche alle norme tecniche apportate dal nuovo strumento urbanistico sopraggiunto il 2 agosto 2006, intervenute prima ancora dell’approvazione dei progetti presentati dalle parti, fosse venuta meno la possibilità di sfruttare l’area libera e di trasferire la cubatura fra fondi edificabili, a ciò soltanto dovendosi ascrivere la mancata attuazione del punto 4 del verbale di conciliazione. La sentenza impugnata ha invero escluso che l’impossibilità per P.G. e A.M. di sfruttare la volumetria del lotto confinante fosse riconducibile altresì alle modalità di progettazione dell’intervento edificatorio da parte di P.C., F.L. e F.G., per l’ipotizzata “saturazione” della volumetria del lotto. La Corte di Trento ha anche affermato che l’accordo di conciliazione imponesse un coordinamento tra la costruzione dell’edificio sul sedime della p.ed. *****, assegnata ai signori P. e A. (costruzione che doveva avvenire sfruttando la volumetria consentita dalla clausola 4 del verbale di conciliazione), e la demolizione di parte dell’edificio sulla p.ed. *****, attribuita ai signori P. – F., di cui alla clausola 6, senza tuttavia che i ritardi nella gestione della pratica edilizia relativa alla proprietà P. e A. potessero addebitarsi ad inadempimenti degli obblighi assunti dai signori P. – F.. Escluse, pertanto, le pretese risarcitorie fondate su tali asseriti inadempimenti, e ritenuto che l’impossibilità di adempiere alla clausola del verbale di conciliazione inerente alla cessione della cubatura derivasse dalla sopravvenuta modifica normativa, che aveva impedito l’eseguibilità della prestazione, causa di per sé non imputabile ai signori P. – F., la Corte d’appello di Trento ha ritenuto di procedere “ad una corrispondente riduzione della prestazione” cui erano tenuti i signori P. e A. (cioè l’attribuzione in proprietà ai signori P. – F. del lotto A), con conseguente obbligo restitutorio pari alla differenza di valore creatasi fra i due lotti.

3.3. Così decidendo, la sentenza impugnata ha fatto cattiva applicazione dei principi di impossibilità sopravvenuta.

L’impossibilità sopravvenuta della prestazione è configurabile solo qualora siano divenuti impossibili (in forza di circostanza sopravvenuta che rivesta i caratteri della assolutezza e dell’oggettività e che non fosse, perciò, prevedibile al momento della conclusione del contratto) l’adempimento della prestazione da parte del debitore o l’utilizzazione della stessa ad opera della controparte, purché tale impossibilità non sia imputabile al creditore ed il suo interesse a ricevere la prestazione medesima sia venuto meno, dovendosi in tal caso prendere atto che non può più essere conseguita la finalità essenziale in cui consiste la causa concreta del contratto, con la conseguente estinzione dell’obbligazione (in tal senso, tra le tante, Cass. Sez. 3, 29/03/2019, n. 8766).

La Corte d’appello di Trento ha evidentemente ritenuto, in seguito alla variazione del piano regolatore intervenuta nel 2006, la quale aveva di fatto limitato l’edificabilità del lotto assegnato in sede di conciliazione ai signori P. e A., che si fosse verificata l’impossibilità della prestazione dovuta in forza dell’art. 4 del verbale di conciliazione da P.C., F.L. e F.G., prestazione consistente nella cessione in favore di P.G. e A.M. del “diritto di poter utilizzare quella parte di volumetria derivante dalla superficie scoperta… calcolata dal geom. Be. in metri quadrati 284”. A questi ultimi è stato perciò accordato il rimedio previsto dall’art. 1464 c.c., consentendo loro di usufruire di una riduzione della prestazione a loro volta dovuta in forza della transazione.

3.4. La sentenza impugnata non qualifica espressamente l’atto di conciliazione giudiziale sottoscritto dalle parti all’udienza del 15 giugno 2005 come “divisione transattiva” o come “transazione divisoria”, distinzione rilevante ai fini dell’operatività della rescissione per lesione (art. 764 c.c.), come dell’annullabilità per errore di fatto (artt. 761,762,763,1969 e 1972 c.c.). Non risulta dunque accertato in diritto se si trattasse di un contratto divisorio, finalizzato unicamente allo scioglimento della comunione sulla p.ed. ***** e sulla p.f. ***** ed all’attribuzione di valori proporzionali alle rispettive quote, o di una transazione con cui, ponendosi fine alla comunione, i condividenti – allo scopo di dirimere le liti già sorte – si accordavano sulla attribuzione delle porzioni, senza procedere al calcolo delle proporzioni corrispondenti alle quote e perciò dando luogo ad una fonte autonoma regolatrice del rapporto in luogo del titolo preesistente.

Si è peraltro ritenuto in giurisprudenza che anche una transazione novativa possa risolversi, secondo i principi generali dei contratti a prestazioni corrispettive, per l’impossibilità sopravvenuta (Cass. Sez. 2, 28/08/1993, n. 9125).

Altrimenti, si è affermato che un contratto di divisione possa essere caducato per “presupposizione”, per effetto del sopravvenuto accertamento dell’impossibilità di uno dei condividenti di edificare, alla stregua degli strumenti urbanistici, sull’immobile assegnatogli, qualora tale edificazione risulti presupposto essenziale e comune a tutti i contraenti, sicché la sua non realizzabilità venga ad alterare l’equilibrio economico voluto dalle parti (Cass. Sez. 2, 06/12/1988, n. 6617).

3.5. Nel caso in esame, le parti, nel procedere alla divisione, hanno, dunque, inserito nel contratto anche la cessione di cubatura, ciò, sostiene la Corte d’appello, per realizzare l’eguaglianza delle quote nell’ambito di una convenzione intesa comunque a prestazioni corrispettive.

Ove, peraltro, nella clausola 4 del verbale di conciliazione si fosse intravisto un contratto costitutivo di servitù (come deducono i ricorrenti principali), l’estinzione della stessa non sarebbe derivata ex se per il fatto del contrasto tra il diritto reale minore e la sopravvenuta normativa urbanistica da applicare al fondo servente (seppur tale da far venir meno la giustificazione e la rilevanza funzionale del contenuto della servitù); piuttosto, il venir meno della utilitas avrebbe aperto uno stato di quiescenza, ai sensi dell’art. 1074 c.c., e l’estinzione della servitù sarebbe conseguita solo se l’impossibilità di realizzare le opere necessarie all’esercizio del diritto fosse durata per il tutto il periodo ventennale di prescrizione previsto da detta norma (Cass. Sez. 2, 31/03/2011, n. 7485; Cass. Sez. 2, 11/02/1998, n. 1394).

Non è comunque conforme all’interpretazione di questa Corte la decisione della questione di diritto adottata nella sentenza impugnata quanto alla natura ed agli effetti della prestazione stabilita, in sede di regolazione complessiva dei rapporti economici tra le parti, a carico di P.C., F.L. e F.G., relativa al trasferimento della volumetria edificabile.

Come di recente chiarito da Cass. Sez. Unite 09/06/2021, n. 16080, il negozio di cessione di cubatura tra privati, con cui il proprietario di un fondo distacca, in tutto o in parte, la facoltà inerente al suo diritto dominicale di costruire nei limiti della cubatura assentita dal piano regolatore e, formandone un diritto a sé stante, lo trasferisce a titolo oneroso al proprietario di altro fondo urbanisticamente omogeneo, è atto immediatamente traslativo di un diritto edificatorio di natura non reale a contenuto patrimoniale. Con la cessione di cubatura, in particolare, non si costituisce una servitù prediale (non aedificandi o altius non tollendi), ovvero un asservimento del terreno per scopi edificatori, stanti l’incidenza decisiva esplicata dal ruolo della P.A. nel rilascio del permesso di costruire maggiorato, la necessaria assunzione da parte del cedente di un obbligo specifico, rappresentato dalla prestazione di consenso al rilascio, da parte dell’amministrazione comunale, del medesimo permesso di costruire per cubatura maggiorata, e, ancora, la non indispensabilità della vicinanza tra i fondi (bastando che essi siano ricompresi all’interno della medesima zona urbanistica).

La natura (non traslativa né costitutiva di un diritto reale, né meramente obbligatoria e comunque vincolata all’assenso della P.A., ma immediatamente traslativa di un diritto di natura non reale) rileva al fine di dare rilievo all’eventuale mancato ottenimento del permesso di costruire quale causa della inefficacia o della risoluzione del negozio.

3.6. Una volta correttamente ricostruito il negozio di cessione di cubatura, di cui all’art. 4 del verbale di conciliazione concluso fra le parti il 15 giugno 2005, quale atto immediatamente traslativo del diritto edificatorio, occorrerà, quindi, trarre le dovute conseguenze in ordine alla rilevanza del sopravvenuto diverso regime urbanistico attinente all’edificabilità del fondo e della sopportazione del rischio della ravvisata impossibilità sopravvenuta della prestazione (non potendosi intendere evidentemente liberati i debitori da una prestazione già eseguita).

Dovendosi considerare adempiuto per effetto del consenso delle parti l’obbligo di trasferimento della facoltà di costruire nei limiti della cubatura assentita dal vigente piano regolatore, posto nel verbale di conciliazione a carico di P.C., F.L. e F.G., il giudice del rinvio dovrà poi accertare se l’atto di conciliazione giudiziale stipulato dalle parti all’udienza del 15 giugno 2005 contenesse soltanto un negozio divisorio (connotato dalla necessaria proporzionalità tra valore dell’asse e quote attribuite) o una transazione in senso proprio, di conseguenza rivalutando complessivamente le reciproche pretese delle parti in rapporto di interdipendenza tra loro, nonché l’incidenza sul sinallagma funzionale da riconoscere alla successiva vicenda urbanistica rilevante per la prerogativa di edificabilità di una delle aree oggetto di contratto.

4. Il ricorso incidentale, che nei suoi cinque motivi propone censure relative agli effetti riconducibili all’art. 4 del verbale di conciliazione ed ai rimedi esperibili dalle parti di esso, rimane assorbito in forza della cassazione con rinvio della sentenza impugnata, disposta in accoglimento del ricorso principale, la quale comporta proprio la preliminare necessità di qualificare l’accordo e di definire il contenuto delle reciproche prestazioni. Le ragioni relative ai motivi del ricorso incidentale potranno perciò essere fatte valere nel giudizio di rinvio, attenendo alle stesse parti o a parti dipendenti della sentenza già cassata in accoglimento del ricorso principale.

5. Conseguono l’accoglimento, nei sensi di cui in motivazione, dei primi quattro motivi del ricorso principale proposto da P.C., F.G. e F.L., l’assorbimento del quinto motivo del ricorso principale e del ricorso incidentale proposto da P.G. e A.M..

La sentenza impugnata va cassata, con rinvio dalla causa alla Corte d’appello di Trento, in diversa composizione, che deciderà uniformandosi ai principi di diritto enunciati e tenendo conto dei rilievi svolti, provvedendo anche alla pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione.

PQM

La Corte accoglie, nei sensi di cui in motivazione, i primi quattro motivi del ricorso principale, dichiara assorbiti il quinto motivo del ricorso principale ed il ricorso incidentale proposto da P.G. e A.M., cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia la causa alla Corte d’appello di Trento, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 24 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2022

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