Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.1495 del 18/01/2022

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 13166/2013 R.G. proposto da:

Fratelli D.F. s.r.l., in liquidazione, in persona del liquidatore, D.F.P. e D.F.G., rappresentati e difesi dall’Avv. Giuseppe Tinelli e dall’Avv. Giovanni Contestabile, presso il cui studio sono elettivamente domiciliati in Roma, via di Villa Severini, n. 54, giuste procure speciali in forma di scrittura privata con sottoscrizione autentica dal Dott. d.S.R., Notaio in Corato, del 16 aprile 2013, e come da variazione di domicilio in data 22 giugno 2015;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato e presso i cui uffici domicilia in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Puglia, n. 124/14/2012, depositata il 13 novembre 2012.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 12 gennaio 2022 dal Consigliere Dott. D’Orazio Luigi;

Udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Locatelli Giuseppe, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

FATTI DI CAUSA

1. La Commissione tributaria regionale della Puglia accoglieva solo in parte l’appello proposto dalla società Fratelli D.F. s.r.l., a ristretta partecipazione, e dai soci D.F.G. e D.F.P. avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Bari (n. 192/24/2011), che aveva rigettato il ricorso presentato dalla società e dai soci avverso gli avvisi di accertamento emessi nei loro confronti, per l’anno 2005, dall’Agenzia delle entrate, per l’intera deduzione dei costi relativi ai ponteggi in legno pari ad Euro 13.053,00, da sottoporre, invece, ad ammortamento nella misura del 40%, per l’indebita deduzione dei costi sostenuti per materiali edili pari Euro 42.900,00, di cui non era stato provato l’impiego, e per omessa dichiarazione di ricavi per Euro 550.000,00, in quanto il conto cassa presentava versamenti dei soci per tale importo, a copertura dei saldi negativi, non essendo stati dichiarati redditi negli anni pregressi né dalla società né dai soci, presumendosi dunque che tali disponibilità fossero riferite a ricavi non contabilizzati dalla società. Il giudice d’appello accoglieva il gravame con riferimento al computo del costo sostenuto per l’acquisto del legname, escludendo l’ammortamento, trattandosi di materiale di consumo; rigettava il motivo di gravame relativo alla deducibilità dei costi per materiali e, non avendo la società prodotto il dettaglio delle rimanenze, comprovante l’integrale utilizzo dei materiali nelle lavorazioni effettuate; rigettava il motivo di impugnazione relativo alla mancata indicazione dei ricavi per Euro 550.000,00, in quanto erano state prodotte fotocopie, con parziale riproduzione degli effetti cambiari, che i soci avrebbero girato ai fornitori, non essendo visibile il retro del pagherò cambiario, per provare l’effettiva girata; evidenziava che le dichiarazioni rilasciate dei fornitori non erano idonee allo scopo, in quanto, stante l’entità dei debiti contratti con gli stessi, era ragionevole ipotizzare che fossero stati regolati mediante strumenti bancari; sottolineava l’assenza di deposito della copia dei bilanci, privi della nota integrativa; evidenziava che i soci negli anni 2004 e 2005 non avevano dichiarato redditi idonei a giustificare i finanziamenti erogati, non essendo stata fornita neppure la prova sulla consistenza del patrimonio personale dei soci e sul possesso di eventuali redditi non soggetti a tassazione.

2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione la società. 3. Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo di impugnazione la società e i soci deducono la “violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e art. 115 c.p.c., comma 1 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4)”. In particolare, si evidenzia che l’Ufficio non ha mai prodotto in giudizio il processo verbale di constatazione, posto a base dell’avviso di accertamento. Per i ricorrenti Agenzia non avrebbe allegato il processo verbale di constatazione in sede processuale.

1.1. Il motivo è infondato.

1.2. Invero, a prescindere dalla circostanza del la doglianza si palesa come nuova, non risultando che la stessa fosse stata articolata nel ricorso di prime cure, dal contenuto dell’avviso di accertamento, ritualmente trascritto, nei suoi stralci essenziali nel ricorso per cassazione, a pagina 3, emerge che il processo di verbale di constatazione è stato notificato al legale rappresentante della società Fratelli D.F., D.F.P. (“Visto il p.v.c. redatto e notificato al Sig. D.F.P. in qualità di rappresentante legale della società il 20 novembre 2008 da funzionari dell’Agenzia delle entrate di Trani relativo ad una verifica fiscale eseguita per l’anno 2005 che qui si intende integralmente riportato e richiamato.

Tenuto conto che dallo stesso p.v.c. per l’anno in esame si rileva che codesta società ha commesso le seguenti irregolarità:…”).

Pertanto, risulta documentalmente che l’Agenzia delle entrate ha esposto nell’avviso di accertamento il contenuto del processo verbale di constatazione, nei suoi elementi essenziali, rappresentando i fatti posti a fondamento delle riprese fiscali, sia con riferimento alle regolare tenuta della contabilità, sia in ordine alla deduzione dei costi relativi all’acquisto di ponteggi in legno, sia con riferimento alla deduzione dal reddito di impresa di costi per complessivi Euro 42.900,00 per l’acquisto di materiali edili, sia i ricavi non dichiarati per la somma di Euro 550.000,00, poiché non risultava che negli anni precedenti fossero stati dichiarati redditi dalla società o dai soci.

Tale allegazione specifica non è stata oggetto di puntuale contestazione da parte dei ricorrenti, con l’atto introduttivo del giudizio di prime cure.

In base al principio di semplificazione processuale, costituito dal principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c., la parte che ha allegato l’esistenza di un fatto specifico (il processo verbale di constatazione), non contestato dalla controparte, è esonerata dall’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c..

Tra l’altro, è evidente che la società contribuente ed i soci erano perfettamente a conoscenza del contenuto del processo verbale di constatazione, essendo stato notificato al legale rappresentante della società il 20 novembre 2008, come risulta espressamente dall’avviso di accertamento.

Per questa Corte, infatti, in tema di avviso di accertamento, la motivazione “per relationem” con rinvio alle conclusioni contenute nel verbale redatto dalla Guardia di Finanza nell’esercizio dei poteri di polizia tributaria, non è illegittima per mancanza di autonoma valutazione da parte dell’Ufficio degli elementi da quella acquisiti, significando semplicemente che l’Ufficio stesso, condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare una economia di scrittura che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio – nella specie, la S.C. ha ritenuto adeguatamente motivato l’avviso di accertamento che, richiamando il processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza, evidenziava che la società contribuente aveva annotato fatture per operazioni soggettivamente inesistenti emesse da altra società “cartiera”, così registrando costi indebiti- (Cass., sez. 5, 20 dicembre 2018, n. 32957).

Pertanto, una volta che l’Agenzia delle entrate, nell’avviso di accertamento, ha riportato il contenuto sostanziale del processo verbale di constatazione, posto a fondamento delle riprese fiscali, adempiendo così al suo dovere di allegazione dei fatti, la società contribuente, che ha ricevuto la notifica del processo verbale di constatazione, ove avesse evoluto disconoscerne l’esistenza, avrebbe dovuto farne oggetto di specifica contestazione. Non avendo adempiuto a tale incombente, per il principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c., si desume l’esistenza del processo verbale di constatazione, oltre che del suo contenuto, escludendosi così la necessità che l’Agenzia delle entrate dovesse depositare in giudizio il processo verbale di constatazione, già perfettamente conosciuto dalla società contribuente, richiamato nei suoi tratti essenziali, all’interno dell’avviso di accertamento.

2. Con il secondo motivo di impugnazione i ricorrenti lamentano la “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2, in relazione agli artt. 2727 e s.s. c.c. (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”. Con riferimento al terzo rilievo fiscale di cui all’avviso di accertamento, i ricorrenti contestano l’esistenza di presunzioni dotate dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d, in relazione alla omessa contabilizzazione di ricavi per la somma di Euro 550.000,00. In realtà, per i ricorrenti, la società svolgeva la sua attività in subappalto, per lavori di carpenteria in legno e ferro dei fabbricati civili ed industriali; sicché normalmente incassava solo acconti durante la realizzazione degli immobili, mentre la società riceveva il saldo dopo l’ultimazione dei lavori. Al fine di autofinanziamento i soci avevano emesso in favore della società effetti cambiari, autorizzando la stessa a girarli ai fornitori al fine di soddisfare il credito di questi ultimi. Pertanto, era erronea l’affermazione dell’Agenzia delle entrate in base alla quale i soci avevano effettivamente versato somme di tale importo nel conto cassa; in realtà i soci avevano emesso delle cambiali in favore della società, riportate in contabilità, nel conto titoli, mentre la società aveva girato i pagherò cambiari ai fornitori; man mano che la società riceveva i pagamenti da parte degli acquirenti, andava a soddisfare i fornitori che restituivano alla società i pagherò che avevano per lo più scadenza nel 2007, ossia nell’anno di ultimazione dei lavori. Peraltro, era improbabile che in un unico periodo di imposta, l’anno 2005, la società avesse conseguito maggiori ricavi non dichiarati per un importo di Euro 550.000,00, laddove i ricavi complessivi ammontavano ad Euro 1.273.432,00.

2. Il secondo motivo è inammissibile.

2.1. Invero, i ricorrenti, pur deducendo in astratto la violazione di legge, costituita dalla violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d, il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2, e gli artt. 2727 s.s. c.c., in realtà richiedono a questa Corte una nuova valutazione di merito sugli elementi istruttori già acquisiti, non consentita in questa sede. Il motivo di impugnazione, infatti, non si limita a contestare la sussistenza dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, in capo agli elementi istruttori esaminati dal giudice di merito, ma contesta il ragionamento inferenziale del giudice d’appello, che avrebbe male interpretato i dati fattuali oggetto della vicenda in esame.

Al contrario, il giudice d’appello, ha fatto buon governo degli elementi di fatto presenti nel fascicolo di merito, giungendo, con ragionamento congruo e condivisibile, alla conclusione che i versamenti effettuati dai soci in favore della società, per il ripianamento del passivo societario, per la somma di Euro 550.000,00, nell’anno 2005, erano costituiti dai ricavi non contabilizzati della società.

La Commissione regionale ha chiarito con palmare evidenza le ragioni del suo convincimento, rilevando che il versamento delle somme di tale ingentissimo importo era presente nei conti della società, e segnatamente nella voce cassa; inoltre ha evidenziato che tale somma di denaro non poteva che provenire dai ricavi occulti della società, in quanto i soci negli anni 2004 e 2005 non avevano dichiarato redditi idonei a giustificare i finanziamenti erogati; i ricorrenti non avevano fornito prova in ordine alla consistenza del patrimonio personale dei soci ed in ordine al possesso di eventuali redditi non soggetti a tassazione; la giustificazione fornita dai ricorrenti, costituita dal rilascio di pagherò cambiari in favore della società, da girare ai fornitori, per il pagamento dei corrispettivi ad essi spettanti, non era sostenuta da adeguata prova documentale, in quanto gli effetti cambiari erano stati depositati senza la copia del retro, da cui poter verificare l’effettiva girata degli stessi ai fornitori; nella facciata delle cambiali era riportata un’imposta di bollo pari ad Euro 12,5, indipendentemente dall’importo riportato; sulle necessarie marca da bollo aggiuntive doveva essere riportata la data del relativo acquisto, in modo da fornire almeno un ragionevole indizio in ordine alla data effettiva del rilascio dei pagherò; le dichiarazioni rilasciate dei fornitori non avevano forza probatoria, in quanto, data l’entità dei debiti contratti, era ragionevole ritenere che fossero stati regolati i pagamenti mediante strumenti bancari; le copie dei bilanci della società non presentavano la nota integrativa, ossia proprio il documento contabile necessario ove esplicitare i dovuti chiarimenti in ordine alle opere realizzare, i costi sostenuti, le rimanenze, i finanziamenti soci, i debiti sociali.

E’ evidente che il ragionamento sviluppato dal giudice d’appello è completo ed esaustivo in tutti gli aspetti, mentre i ricorrenti pretendono una diversa ed ulteriore valutazione degli elementi istruttori, non consentita in sede di legittimità.

3. Con il terzo motivo di impugnazione i ricorrenti si dolgono della “violazione degli artt. 2712 e 2719 c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3); nonché violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4)”. Per i ricorrenti, poiché l’Agenzia delle entrate non ha specificatamente contestato le copie prodotte dei pagherò cambiari, il giudice d’appello avrebbe dovuto considerare autentiche tali copie fotostatiche. Se poi avesse avuto residui dubbi in ordine alla autenticità delle copie, la Commissione regionale avrebbe dovuto acquisire gli originali in base ai poteri ufficiosi di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7.

3.1. Il motivo è infondato.

3.2. Invero, il giudice d’appello non ha disconosciuto le copie dei pagherò cambiari prodotte dai ricorrenti, ma, con valutazione analitica e completa, ha ritenuto che i contribuenti non avessero fornito prova idonea a superare le presunzioni di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d.

Pertanto, non è vero che la Commissione regionale abbia disconosciuto l’efficacia probatoria della documentazione depositata in copia dai ricorrenti, in quanto non depositata in forma autentica, ma si è limitata ad illustrare le ragioni per le quali tale mezzo di prova non era idoneo a superare le presunzioni poste a base dell’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle entrate; il giudice d’appello ha evidenziato che le copie dei pagherò cambiari erano state depositate non in forma integrale, ma parziale, essendo assente la parte retrostante delle cambiali, da cui poteva emergere l’effettiva girata delle stesse ai fornitori da parte della società; inoltre erano manchevoli le imposte di bollo, che dovevano essere pagate in relazione all’importo riportato sulle cambiali; dalle imposte di bollo si sarebbe potuta desumere la data certa dell’effettivo rilascio dei pagherò; le dichiarazioni rese dai fornitori erano poco convincenti, in quanto, in base all’entità dei crediti da essi vantati, era ragionevole ipotizzare che il pagamento fosse avvenuto attraverso strumenti bancari; l’assenza delle note integrative ai bilanci non consentiva di comprendere appieno la dinamica delle operazioni finanziarie; i soci negli anni 2004 e 2005 non avevano dichiarato redditi idonei a giustificare i finanziamenti erogati alla società; non era stata fornita alcuna prova sulla consistenza del patrimonio personale dei soci e sul possesso di eventuali redditi non soggetti a tassazione.

4. Con il quarto motivo di impugnazione ricorrenti deducono “l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)”. In realtà, per i ricorrenti il finanziamento di Euro 550.000,00, contestato con l’avviso di accertamento, era spiegabile con il rilascio di pagherò cambiari da parte dei soci, consistenti sostanzialmente in garanzie fornite dai soci, non trattandosi certo di finanziamenti effettuati in contanti dagli stessi. I titoli cambiari emessi dai soci erano più graditi dai fornitori in quanto comportavano l’impegno a garanzia personale dei soci stessi. Il fatto non esaminato consisterebbe nella circostanza che i giudici di merito non avrebbero verificato se effettivamente il conto interessato dai finanziamenti fosse il “C/titoli” (come eccepito dai contribuenti) oppure il “c/cassa” (come rilevato nel processo verbale).

4. Il motivo è infondato.

4.1. In realtà, dal complessivo ragionamento posto in essere dal giudice d’appello, che, con dovizia di particolari ha esaminato puntualmente ogni aspetto dell’operazione di finanziamento, emerge che tutti gli elementi istruttori sono stati presi in considerazione dalla Commissione regionale, che ha esaminato tutti i fatti sottesi alla produzione documentale.

Ogni aspetto documentale è stato accuratamente vagliato dal giudice d’appello, che si è soffermato in modo particolare sui finanziamenti effettuati dai soci in favore della società, presenti sotto la voce cassa delle scritture contabili, a copertura dei saldi negativi.

5. Con il quinto motivo di impugnazione i ricorrenti deducono la “violazione dell’art. 2700 c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”. Per i ricorrenti avrebbe errato il giudice d’appello nel ritenere che il processo verbale di constatazione fa fede salvo querela di falso; in realtà l’art. 2700 c.c. dispone che l’atto pubblico fa prova piena, fino a querela di falso, esclusivamente sulla provenienza del documento dal pubblico ufficiale che la ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti, mentre la veridicità del verbale non si estende alla valutazione personale dei fatti. A fronte della contestazione del contribuente il giudice d’appello avrebbe dovuto verificare in quale conto della contabilità societaria fosse stata apposta la voce del finanziamento, senza ritenere che quanto affermato dai verbalizzanti costituisse una sorta di verità assoluta ed intangibile.

5.1. Il motivo è infondato.

5.2. E’ vero che il giudice d’appello ha ritenuto erroneamente che il processo verbale di constatazione facesse prova, fino a querela di falso, in ogni caso, ma tale affermazione non ha inciso minimamente sulla portata argomentativa della motivazione del giudice d’appello che, invece, ha chiarito in modo lampante quale fosse la ricostruzione dei fatti di causa; in particolare, dagli elementi probatori acquisiti, riportati nei paragrafi precedenti, si è chiarito che il finanziamento risultante dalle scritture contabili, nella voce cassa, in concomitanza del saldo negativo di cassa, fosse da ricondurre a ricavi occultati prodotti dalla società.

L’affermazione del giudice d’appello, in ordine alla portata probatoria del processo verbale di constatazione, non ha inciso quindi minimamente sull’apparato argomentativo del giudice d’appello, non risultando in alcun modo decisiva ai fini del rigetto dell’appello riferito alla pretesa fiscale originata dalla voce finanziamento soci.

6. Le spese del giudizio di legittimità vanno poste, per il principio della soccombenza, a carico dei ricorrenti e si liquidano come da dispositivo.

PQM

rigetta il ricorso;

condanna i ricorrenti a rimborsare in favore della Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 10.300,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 12 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2022

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472