Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.1571 del 19/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele Gaetano Antonio – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29473/2017 proposto da:

P.V., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA C. MONTEVERDI, 20, presso lo studio dell’avvocato NICOLA LAIS, rappresentata e difesa dagli avvocati PIER PAOLO MONTOSI, CLAUDIO MOSCATI;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, GOVERNO DELLO STATO ITALIANO;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2263/2017 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 6/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella CAMERA di consiglio del 14/07/2021 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA.

RILEVATO

che:

P.V., medico specializzatosi presso l’Università di Bologna, insieme ad altri colleghi, citò in giudizio, innanzi al Tribunale di Bologna, il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Scientifica e la Presidenza del Consiglio dei Ministri; gli attori esposero di essersi specializzati nel periodo compreso tra il 1990 e il 1994 e chiesero accertarsi il diritto ad ottenere i benefici disposti dalle direttive della Comunità Europea nn. 75/363/CEE, 75/362/CEE e 82/76/CEE, con particolare riferimento al diritto di ottenere la valorizzazione del titolo di specializzazione medica conseguito, nonché di percepire una adeguata remunerazione per ciascuno degli anni di corso per il conseguimento della specializzazione, a partire dal 1 gennaio 1983; chiesero, quindi, che, accertata la responsabilità dello Stato – per il mancato o tardivo recepimento delle direttive citate – lo stesso venisse condannato a risarcire i danni patiti dagli attori a causa del mancato recepimento della remunerazione e alla mancata valorizzazione dei titoli di specializzazione conseguiti, anche nella forma di perdita di chances professionali;

si costituirono le Amministrazioni convenute, eccependo l’infondatezza della domanda, il difetto di legittimazione passiva del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Scientifica, l’intervenuta prescrizione dei diritti azionati e l’inammissibilità della proposizione dell’azione collettiva;

il Tribunale di Bologna, con sentenza n. 704/2011, rigettò la domanda degli attori; quel Giudice, pur ritenendo che l’inadempimento dello Stato per il tardivo recepimento delle direttive menzionate fosse “indiscutibile”, respinse la domanda accogliendo l’eccezione di prescrizione; affermò infatti che il danno per gli attori si era “realizzato” immediatamente dopo la loro iscrizione alle scuole di specializzazione, avvenuta dopo il 31 dicembre 1982 e prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 257 del 1992; inoltre, la sentenza Francovich della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (cause C-6/90 e C-9/90), la quale aveva affermato per prima il diritto del cittadino di essere risarcito dallo Stato inadempiente agli obblighi contenuti nelle direttive comunitarie, risaliva al 19 novembre 1991; pertanto, da tale momento avrebbe potuto e dovuto essere esercitata l’azione risarcitoria, sicché, quando era stata proposta la domanda, con citazione notificata il 6 giugno 2002, erano già trascorsi dieci anni;

avverso la sentenza di primo grado gli attori proposero separati gravami, poi riuniti, innanzi alla Corte di appello di Bologna, con cui censurarono l’accoglimento dell’eccezione di prescrizione e riproposero le domande, le eccezioni e le richieste istruttorie rimaste assorbite in primo grado;

si costituirono le Amministrazioni appellate, riproponendo l’eccezione di difetto della legittimazione passiva del Ministero e ribadendo l’infondatezza delle domande ex adverso proposte;

la Corte di appello di Bologna, con sentenza n. 2263 del 6 ottobre 2017, preliminarmente dichiarò la carenza di legittimazione passiva del Ministero convenuto; nel merito, riformò la sentenza di prime cure, escludendo che potesse dirsi maturata la prescrizione dei diritti azionati in giudizio dagli attori; la Corte territoriale ritenne, infatti, che la prescrizione del diritto azionato da parte degli appellanti decorresse dal 27 ottobre 1999, data di entrata in vigore della L. 19 ottobre 1999, n. 370, la quale, all’art. 11, ha riconosciuto il diritto ad una borsa di studio del valore di lire 13.000.000 per ogni anno accademico ai medici ammessi alle scuole di specializzazione in medicina a partire dall’anno accademico 1983/1984 all’anno accademico 1990/1991, destinatari di individuate sentenze del TAR del Lazio, in presenza di determinate “condizioni”;

la Corte territoriale, quindi, in riforma della sentenza impugnata, condannò la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento, in favore di ciascuno degli appellanti, esclusa la P., della somma complessiva di Euro 26.855,76, calcolandola in base all’importo indicato nella L. n. 370 del 1999, citato art. 11; rigettò, invece, integralmente le domande proposte dall’odierna ricorrente, sul rilievo che nulla fosse dovuto a quest’ultima da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri, in quanto la stessa aveva già percepito la borsa di studio prevista della L. n. 370 del 1999, menzionato art. 11;

avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna P.V. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi;

non hanno svolto attività difensiva in questa sede la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Governo Italiano.

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo di ricorso P.V. denunzia “violazione e/o falsa applicazione della L. n. 370 del 1999, art. 11, in relazione agli artt. 1226 e 2056 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3)”;

con il secondo motivo la ricorrente lamenta “omesso esame di un fatto/documento decisivo della controversia che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., n. 5) Violazione e /o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c.”;

con il terzo motivo deduce “illegittimità per errore in procedendo (art. 360 c.p.c., n. 4). Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c.)”;

i tre motivi sono tutti volti a censurare, sotto i diversi profili della violazione di legge, dell’error in procedendo e dell’omesso esame del fatto decisivo, la ratio decidendi con cui la Corte di merito ha distinto la posizione dell’odierna ricorrente da quella degli altri attori e in ragione della quale ha negato il diritto della P. alla percezione del chiesto risarcimento del danno;

rappresenta l’odierna ricorrente di aver percepito, per gli anni di specializzazione, la somma di Lire 26.000.000, pari oggi ad Euro 13.427,88, attribuitale a seguito di comunicazione del Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica del 30 gennaio 2001 del seguente tenore: “Si comunica che con D.M. 30 novembre 2000, alla S.V. è stata attribuita ai sensi della legge di cui all’oggetto (L. 19 ottobre 1999, n. 370, art. 11), la borsa di studio relativa alla frequenza della scuola di specializzazione in Ginecologia ed Ostetricia presso l’Università degli Studi di Bologna, dall’anno accademico 89/90 all’anno accademico 1992/93, per un totale di Lire 26.000.000”; la ricorrente ritiene, quindi, di aver percepito soltanto metà dell’importo effettivamente a lei spettante, poiché la somma liquidata dal Ministero di cui alla predetta comunicazione è pari al valore di due anni di specializzazione, come quantificati dalla L. 19 ottobre 1999, n. 370, art. 11, e non a quattro (e cioè alla durata effettiva del corso frequentato) come riconosciuto agli altri appellanti;

con il ricorso per cassazione, dunque, l’odierna ricorrente denunzia:

a) sotto il profilo della violazione e falsa applicazione di legge, che la Corte di merito, pur riconoscendole la medesima condizione degli altri colleghi appellanti, le ha negato il risarcimento a lei dovuto e parametrato alla L. n. 370 del 1999, art. 11, avendo percepito soltanto la metà dell’importo spettante, e chiede, pertanto, che le venga riconosciuto “quanto meno, la differenza residua, pari appunto a Euro 13.427,88”;

b) sotto il profilo dell’omesso esame del fatto decisivo per il giudizio, che la Corte territoriale non ha tenuto in debito conto il fatto che ella non ha ricevuto per intero quanto era di spettanza in forza della L. n. 370 del 1999, art. 11, ma esattamente la metà;

c) sotto il profilo dell’error in procedendo, che la Corte di merito non ha posto a fondamento della decisione la prova documentale della comunicazione del Ministero ricevuta nel 2001 dalla P., attestante il pagamento della minor somma di Euro 13.427,88, pari esattamente alla metà di quanto asseritamente dovutole, perciò violando l’art. 115 c.p.c.;

il primo motivo del ricorso merita accoglimento, con conseguente assorbimento dei restanti motivi;

secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, per l’omessa o tardiva trasposizione da parte del legislatore italiano nel termine prescritto delle direttive comunitarie n. 75/362/CEE e n. 82/76/CEE (non autoesecutive), in tema di retribuzione della formazione dei medici specializzandi, sorge, conformemente ai principi più volte affermati dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea, il diritto degli interessati al risarcimento dei danni, da ricondurre allo schema della responsabilità per inadempimento dell’obbligazione ex lege dello Stato, di natura indennitaria; tale responsabilità – dovendosi considerare il comportamento omissivo dello Stato come antigiuridico anche sul piano dell’ordinamento interno e dovendosi ricondurre ogni obbligazione nell’ambito della ripartizione di cui all’art. 1173 c.c. – va inquadrata nella figura della responsabilità contrattuale, in quanto nascente non dal fatto illecito di cui all’art. 2043 c.c., bensì dall’inadempimento di un rapporto obbligatorio preesistente, sicché il diritto al risarcimento del relativo danno è soggetto all’ordinario termine decennale di prescrizione (Cass. 17/05/2011, n. 10813; Cass. 18/08/2011, n. 17350; Cass., ord., 22/11/2019, n. 30502);

come ha osservato la Corte territoriale, tale diritto al risarcimento del danno, insorto in favore dei soggetti che avevano seguito corsi di specializzazione medica iniziati negli anni dal 1 gennaio 1983 all’anno accademico 1990-1991 in condizioni tali che se detta direttiva fosse stata attuata avrebbero acquisito i diritti da essa previsti, secondo l’orientamento assolutamente prevalente della Suprema Corte, si prescrive nel termine di dieci anni, decorrente dal 27 ottobre 1999, data di entrata in vigore della L. 19 ottobre 1999, n. 370, art. 11 (Cass., 11/11/2011, n. 23568; Cass., ord., 20/03/2014, n. 6606; Cass. 15/11/2016, n. 23199; Cass., ord., 31/05/2018, n. 13758; Cass., ord., 24/01/2020, n. 1589);

il legislatore, dettando la L. n. 370 del 1999, citato art. 11, ha proceduto ad un sostanziale atto di adempimento parziale soggettivo delle citate direttive, palesando una precisa quantificazione dell’obbligo risarcitorio da parte dello Stato, valevole anche nei confronti di coloro i quali non erano ricompresi nel citato art. 11 (Cass. 9/02/2012, n. 1917; Cass. 17/01/2013, n. 1157; Cass., ord., 24/01/2020, n. 1641);

tale previsione è applicabile anche agli specializzandi, come l’odierna ricorrente, che, avendo iniziato il corso anteriormente all’anno accademico 1990-1991, lo abbiano proseguito in epoca successiva, non applicandosi nei loro confronti la disciplina di cui al D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257, art. 6, in forza dell’esclusione stabilita dall’art. 8, comma 2, del medesimo D.Lgs. (Cass., 19/07/2013, n. 17068; Cass., ord., 31/05/2018, n. 13759; Cass., ord., 24/01/2020, n. 1585);

nel caso di specie, tali principi dovrebbero condurre, in tesi, al riconoscimento del diritto alla percezione del risarcimento “paraindennitario” anche in favore della P., per un importo, pari a quello dei suoi colleghi, di Lire 13.000.000,00 per ciascun anno di frequenza della scuola di specializzazione;

quanto alle somme che, durante il periodo di frequenza delle scuole di specializzazione, i medici abbiano percepito a titolo di borse di studio (come nel caso di specie), compensi per attività libero-professionali ecc., esse rilevano quale aliunde perceptum, il cui onere probatorio non grava sui medici, bensì a carico del soggetto inadempiente (Cass. 27/01/2012, n. 1182);

la Dott.ssa P. ha dedotto, già nell’atto introduttivo del giudizio, di aver percepito una borsa di studio dal Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca Scientifica pari a Lire 26.000.000, ovvero un importo complessivo pari a soli due anni di frequenza della scuola di specializzazione (anziché quattro) e dunque pari alla metà di quanto effettivamente dovuto ed ha pure prodotto in primo grado la comunicazione del Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica datata 30 gennaio 2001, ricevuta dalla P., attestante il pagamento della complessiva minor somma di Euro 13.427,88, già sopra riportata e prodotta in primo grado;

la Corte territoriale non risulta essersi attenuta ai principi sopra richiamati, sicché va accolto il primo motivo, con assorbimento dei motivi secondo e terzo;

la sentenza impugnata va cassata in relazione e la causa va rinviata, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Bologna, in diversa composizione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti il secondo e il terzo primo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Bologna, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 14 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2022

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