Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.1583 del 19/01/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SESTINI Danilo – rel. Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 34550/2018 proposto da:

Intesa Sanpaolo Spa, Mediocredito Italiano Spa, Ubi Leasing Spa, elettivamente domiciliati in Roma Via Caposile 2, presso lo studio dell’avvocato Anzaldi Antonina, rappresentati e difesi dall’avvocato Stanghellini Lorenzo;

– ricorrenti –

contro

Fino 2 Securitization Srl, elettivamente domiciliato in Roma Via Alberico II 33, presso lo studio dell’avvocato Ludini Elio, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

Deltasofà Srl in Liquidazione, Global Service Company Srl;

– intimate –

avverso la sentenza n. 5948/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 19/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 26/10/2021 dal Cons. Dott. DANILO SESTINI.

RILEVATO

che:

la Unicredit s.p.a. agì in revocatoria (ex art. 2901 c.c.) nei confronti della propria debitrice Deltasofà s.r.l. in liquidazione (già Calia srl e già Calia Italia s.r.l.) e nei confronti della Centro Leasing Banca s.p.a. e della Ubi Leasing s.p.a. e, altresì, della Global Service Company s.r.l. per sentir dichiarare l’inefficacia dell’atto di compravendita del 27.11.2007 con cui la predetta Deltasofà aveva alienato alle società di leasing un opificio (poi concesso in locazione finanziaria alla Global Service) e dei suoli edificabili siti in *****;

le società di leasing contestarono la domanda e chiesero, in via riconvenzionale, di essere tenute indenni dalla Deltasofà e dalla Global Service dalle conseguenze negative dell’eventuale soccombenza sull’azione revocatoria;

il Tribunale di Roma rigettò la domanda dell’attrice ritenendo che l’atto dispositivo fosse anteriore al sorgere del credito e che difettassero i requisiti del consilium fraudis nella venditrice e della partecipatio fraudis nelle acquirenti;

provvedendo sull’impugnazione principale della doBank, quale mandataria della Fino 2 Securitisation s.r.l. (cessionaria dei crediti dell’originaria attrice Unicredit s.p.a.) e su quella incidentale proposta da Ubi Leasing s.p.a., Mediocredito Italiano s.p.a. (incorporante la Leasint s.p.a., cessionaria di una quota di quanto compravenduto) e Intesa Sanpaolo s.p.a. (incorporante il Centro Leasing Banca s.p.a.), la Corte di appello di Roma ha accolto il gravame principale dichiarando l’inefficacia nei confronti della Fino 2 Securitisation del contratto di compravendita; ha invece rigettato l’appello incidentale e ha dichiarato improponibili le domande riconvenzionali proposte dalle da Ubi Leasing, Mediocredito Italiano e Intesa Sanpaolo nei confronti di Deltasofà e di Global Service Company;

la Corte ha affermato – fra l’altro – che “l’atto di disposizione revocando è stato posto in essere dalla debitrice (…) successivamente al sorgere del credito di Unicredit s.p.a. (…) a nulla rilevando che la revoca del fido sia avvenuta in epoca posteriore all’atto medesimo” e che pertanto la revoca è subordinata al “requisito oggettivo del pregiudizio che l’atto rechi alle ragioni del creditore (eventus damni)” e al “requisito soggettivo della consapevolezza in capo al debitore ed al terzo acquirente di tale pregiudizio (scientia damni)”, “non anche agli ulteriori requisiti della dolosa preordinazione (consilium fraudis) e della partecipazione ad essa da parte del terzo acquirente (partecipatio fraudis)”;

hanno proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico atto e basato su sei motivi, la Ubi Leasing s.p.a., il Mediocredito Italiano s.p.a. e Intesa Sanpaolo s.p.a.; ad esso ha resistito, con controricorso, l’intimata Fino 2 Securitisation s.r.l., a mezzo della mandataria doBank s.p.a.;

le ricorrenti hanno depositato memoria.

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo, le ricorrenti deducono la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2901 c.c. con riferimento all’eventus damni, sotto il profilo della “sussistenza di pregiudizio alla banca anche in caso di successivo affidamento del debitore da parte della banca medesima”: rilevano che l’Unicredit aveva rinnovato gli affidamenti a Deltasofà almeno una volta in epoca successiva all’atto di disposizione e non aveva esercitato il diritto di recesso dal contratto di mutuo a seguito della stipulazione della compravendita (ma soltanto nel marzo 2009) e concludono che l’operazione effettuata dalla Deltasofà non aveva avuto “alcun impatto sul credito di Unicredit”, trattandosi di un’attività fisiologica nell’esercizio di un’attività di impresa;

il motivo è inammissibile, in quanto, senza individuare errori di diritto in punto di applicazione dell’art. 2901 c.c., svolge argomentazioni di natura fattuale funzionali ad un apprezzamento di merito volto ad escludere la ricorrenza dell’eventus damni, che tuttavia non contrastano i rilievi decisivi della Corte secondo cui, a mezzo dell’alienazione, la debitrice si era “disfatta dell’intero suo patrimonio immobiliare” e che, ai fini della sussistenza dell’eventus damni, “e’ sufficiente che l’atto di disposizione del debitore renda più difficile la soddisfazione coattiva del credito”;

il secondo motivo denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2901 c.c., con riferimento all’eventus damni e alla scientia damni, sotto il profilo dell’esistenza di un pregiudizio per la banca: le ricorrenti assumono – per un verso – che parte del prezzo dell’alienazione era stato versato sui conti che Deltasofà aveva presso Unicredit e che, quindi, spettava alla banca dimostrare che il danno si fosse verificato nonostante il pagamento ricevuto, e – per altro verso – che “l’aver fatto transitare parte del prezzo sul conto corrente di Unicredit (…) esclude l’intenzione della venditrice di frodare chicchessia, e men che meno Unicredit”;

il motivo è inammissibile poiché è basato su rilievi fattuali svolti in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6 (quanto agli atti processuali e ai documenti da cui si desumerebbe il transito di parte del prezzo dell’alienazione nel conto corrente) e postula un pagamento alla banca che non risulta accertato in sede di merito e non investe (come per il primo motivo) il rilievo dirimente che la vendita aveva privato la creditrice della garanzia patrimoniale derivante dagli immobili della debitrice;

col terzo motivo, le ricorrenti denunciano la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., con riferimento all’eventus damni, in termini di “mancata e/o errata sussunzione sotto il carattere della concordanza delle presunzioni da cui si desume l’esistenza dell’eventus damni”: dichiarano di censurare la sentenza “nella parte in cui ha ritenuto esistente il danno sulla base della sola dismissione dell’intero patrimonio immobiliare della debitrice senza procedere al giudizio di concordanza delle presunzioni, imposto dall’art. 2729 c.c.”, “ignorando svariati altri elementi, tutti di segno contrario rispetto alla dismissione (…) quali, a titolo di esempio, il rinnovo degli affidamenti in data successiva al contratto di compravendita, il fatto che il prezzo fosse andato a soddisfazione del creditore procedente, le risultanze dei bilanci che restituivano l’immagine di una società solida”;

il motivo è inammissibile in quanto postula l’erroneità di un ragionamento presuntivo (comportante la necessità di risalire ad fatto ignoto sulla base di fatti noti gravi precisi e concordanti) che non risulta effettuato dalla Corte, che si è limitata – invero – a prendere atto della dismissione dell’intero patrimonio immobiliare della Deltasofà e a qualificarla senz’altro come atto pregiudizievole per il creditore, in quanto comportante la perdita della garanzia patrimoniale generica ex art. 2740 c.c.; la censura si muove pertanto al di fuori dell’ambito in cui questa Corte ha riconosciuto la deducibilità della violazione dell’art. 2729 c.c. (Cass. n. 19485/2017: “qualora il giudice di merito sussuma erroneamente sotto i tre caratteri individuatori della presunzione (gravità, precisione e concordanza) fatti concreti che non sono invece rispondenti a quei requisiti”; cfr. anche Cass., S.U. n. 1785/2018, in motivazione, a pagg. 14-16) e mira piuttosto a proporre essa stessa un accertamento presuntivo sulla base degli indici proposti, sollecitando un inammissibile accertamento di merito in sede di legittimità;

il quarto motivo denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., con riferimento alla scientia damni delle terze acquirenti, censurando la sentenza “nella parte in cui, avendo presunto la conoscenza del danno da parte delle Società di Leasing sulla base della sola dismissione dell’intero patrimonio immobiliare, ha limitato la prova contraria”; e ciò affermando che “nella specie detto onere probatorio non è stato assolto né dalla parte debitrice né dalle società acquirenti, le quali non hanno provato che vi fossero o vi siano altri beni nel patrimonio della debitrice/alienante, tali da garantire il soddisfacimento del creditore/attore in revocatoria” e, altresì, che “non occorre (…) che l’atto di disposizione abbia determinato l’insolvenza del debitore, sicché appaiono del tutto inconferenti le argomentazioni circa la solvibilità della società e, in riferimento ad essa o alla mancanza di essa, circa le risultanze dei suoi bilanci”;

il motivo è inammissibile in quanto non deduce effettivamente un erroneo riparto (in iure) dell’onere probatorio, ma contesta gli apprezzamenti compiuti dalla Corte territoriale circa l’inidoneità degli elementi proposti e delle considerazioni svolte dalle società di leasing a superare la presunzione della scientia damni;

col quinto motivo (“nullità della sentenza e del procedimento per violazione dell’art. 106 c.p.c., comma 2 e art. 100 c.p.c.” quanto alla “inesistenza dell’interesse attuale alla proposizione della domanda di garanzia prima dell’esecuzione della domanda principale”), le ricorrenti censurano la sentenza nella parte in cui ha affermato che, “quanto alle domande riconvenzionali proposte da Ubi Leasing s.p.a. e Mediocredito Italiano s.p.a., va considerato che l’azione revocatoria non comporta la caducazione dell’atto impugnato, ma soltanto l’inefficacia relativa di esso nei confronti del creditore vittorioso; sicché da essa non consegue l’immediata evizione dell’acquirente, il quale potrà perdere il bene acquistato con l’atto revocato solo se e quando sarà esercitata l’azione esecutiva ed all’esito fruttuoso di questa. Non può dunque, allo stato trovare applicazione la norma dell’art. 1483 c.c., invocata dalle predette società acquirenti, le cui domande, allora, vanno dichiarate improponibili, per mancanza di interesse concreto e attuale all’azione (art. 100 c.p.c.)”;

deducono le ricorrenti che le società di leasing avevano chiesto, con una domanda esercitata ex art. 1483 c.c., che fosse riconosciuto il diritto al risarcimento del danno verso Deltasofà per tutti i danni che avrebbero potuto subire a seguito della perdita dei beni e, con una seconda domanda, anche la società utilizzatrice GSC fosse dichiarata tenuta al risarcimento in virtù delle clausole del contratto di compravendita e di quello di leasing; aggiungono che in entrambi i casi si trattava di istanze di condanna generica con liquidazione da effettuare in separato giudizio; contestano che le anzidette domande non siano sorrette da un interesse attuale ad agire atteso che “e’ la legge ad ammettere che la domanda di garanzia possa essere cumulata nel processo avente ad oggetto la domanda principale (artt. 32 e 106 c.p.c.)”, sicché “e’ evidente che (…) la domanda di garanzia viene necessariamente proposta in un momento in cui ancora non si è potuta avere esecuzione della domanda principale”;

il motivo è fondato alla luce del principio secondo cui, “in tema di azione revocatoria ordinaria, il terzo acquirente, in quanto soggetto passivo dell’esecuzione che il creditore può promuovere a seguito della dichiarazione d’inefficacia dell’atto dispositivo, può proporre azione di manleva ovvero di garanzia nei confronti dell’alienante e la domanda, al momento della revocatoria ordinaria, deve essere formulata nel senso di essere tenuto indenne dalle relative, non ancora note, conseguenze pregiudizievoli, non potendosi, per ciò solo, ritenere generica” (Cass. n. 28428/2018); principio che risponde, fra l’altro, a evidenti ragioni di economia processuale che rendono opportuna la trattazione contestuale della domanda principale e di quella di manleva, ferma restando la necessità di determinare in un momento successivo quanto eventualmente dovuto;

il sesto motivo denuncia la “nullità della sentenza nel capo relativo alle spese per violazione degli artt. 281 sexies e 91 c.p.c.” e censura la sentenza per avere condannato le società ricorrenti al pagamento delle spese di lite in favore della GSC in conseguenza di argomentazioni da quest’ultima svolte in una memoria depositata in assenza di autorizzazione;

il motivo risulta assorbito a seguito dell’accoglimento di quello precedente;

in conclusione, dichiarati inammissibili i primi quattro motivi, deve accogliersi il quinto, con assorbimento del sesto;

la sentenza va dunque cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte territoriale, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese di lite.

P.Q.M.

La Corte dichiarati inammissibili i primi quattro motivi, accoglie il quinto e dichiara assorbito il sesto; cassa in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese di lite, alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 26 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2022

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