LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Presidente –
Dott. ORILIA Lorenzo – rel. Consigliere –
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –
Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 5919/2017 proposto da:
B.A., rappresentato e difeso dall’avv. Giovanni Porcelli;
– ricorrente –
contro
Ba.An., rappresentato e difeso dall’avv. Raffaella Sturdà;
– controricorrente –
nonché
N.M.L., rappresentata e difesa dall’avv. Danilo Manfredi;
– controricorrente –
nonché
N.A.M.;
– intimata –
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Bologna depositata il 28.1.2016;
Udita la relazione della causa svolta dal Consigliere Dott. Lorenzo Orilia.
RITENUTO IN FATTO
1 Nella lite sullo scioglimento della comunione tra gli eredi di B.C. (deceduto ab intestato il *****), la Corte d’Appello di Bologna, con sentenza del 28.1.2016 ha respinto il gravame proposto da B.A. contro la decisione del locale Tribunale (n. 561/2009) che aveva ordinato la vendita degli immobili (ritenuti non comodamente divisibili) e respinto la domanda riconvenzionale di collazione da proposta da A. in relazione ad un appartamento in *****, oggetto di donazione indiretta.
Secondo la Corte territoriale, B.A. non aveva provato che l’immobile fosse stato donato dal comune genitore in favore dell’altro figlio An., non potendosi attribuire valore di prova al contenuto della conversazione telefonica registrata prodotta in giudizio dall’appellante. Ha inoltre ritenuto nuova la contestazione sulla ritenuta indivisibilità dei beni, non avendo l’appellante in primo grado precisato conclusioni in senso contrario alla indivisibilità.
2 Contro tale sentenza ricorre per cassazione B.A. con quattro motivi contrastati con separati controricorsi dal fratello An. e dalla madre, N.M.L..
E’ rimasta intimata l’altra condividente N.A.M..
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.1 Con il primo motivo il ricorrente denunzia la violazione dell’art. 769 c.c., rimproverando alla Corte d’Appello di avere escluso che “l’aiuto” fornito dal genitore al figlio An. per l’acquisto dell’immobile di ***** dimostrasse la donazione indiretta da parte del padre.
1.2 Con il secondo motivo il ricorrente denunzia la violazione degli artt. 769 c.c. e segg., art. 2736 c.c., comma 2 e art. 2901 c.c., “per avere la Corte d’Appello ritenuto che non potesse configurarsi una donazione indiretta a favore del sig. Ba.An. per avere il genitore fornito solo un aiuto nell’acquisto del bene oggetto di lite, escludendo illegittimamente ogni efficacia probatoria, così impedendo, seppure in via potenziale, l’utilizzo dell’istituto del giuramento suppletorio”. Richiama il contenuto della registrazione audio della telefonata con la madre e rileva che le dichiarazioni sullmaiuto” potevano costituire una semiplena probatio tale da consentire l’utilizzo del giuramento suppletorio.
1.3 Con il terzo motivo il ricorrente denunzia “error in iudicando de iure procedendo”: violazione dell’art. 2712 c.c. e art. 345 c.p.c., rimproverando alla Corte d’Appello di avere “ritenuto inammissibile, perché “non nuova” una riproduzione meccanica nella quale la sua data di formazione emerge dalla dichiarazione della stessa parte formante”.
Il ricorrente trascrive i passaggi della conversazione telefonica e critica il giudizio di “preordinazione” espresso dalla Corte d’Appello.
2 Questi tre motivi – peraltro corredati da ormai inutili quesiti di diritto e ben suscettibili di esame congiunto per il comune riferimento alla valutazione della prova della donazione indiretta – sono inammissibili.
Come costantemente affermato da questa Corte, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa e’, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (cfr. tra le tante, Sez. 1 -, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019 Rv. 652549; Sez. 1 -, Ordinanza n. 24155 del 13/10/2017 Rv. 645538; Sez. L, Sentenza n. 195 del 11/01/2016 Rv. 638425).
Nel caso in esame, le censure mosse dal ricorrente ruotano unicamente sull’apprezzamento delle prove da parte della Corte d’Appello, cioè su una prerogativa esclusiva del giudice di merito.
Nel caso in esame, la Corte bolognese ha ritenuto non provata la donazione indiretta (e quindi ha condiviso il giudizio di infondatezza della domanda riconvenzionale di collazione già espresso dal Tribunale), negando valore probatorio all’espressione “aiuto” che sarebbe emersa dalla famosa conversazione telefonica tra madre e figlio e ne ha spiegato anche le ragioni, osservando che detto aiuto non è individuabile, potendo anche essersi tradotto in forme diverse dalla consegna di danaro e non è comunque quantificabile (v. pag. 4 sentenza impugnata).
Tale apprezzamento (che rivela comunque l’avvenuto esame, da parte della Corte territoriale, del contenuto della conversazione telefonica) tronca, per difetto di interesse, ogni ulteriore doglianza sulla sua ammissibilità o meno in appello.
Quanto al principio di prova ai fini del giuramento suppletorio, è sufficiente rilevare che la delazione del giuramento suppletorio rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, cui è riservato l’accertamento della ricorrenza o meno della “semiplena probatio” (tra le tante, Sez. 3, Sentenza n. 2102 del 24/02/1995; Sez. 3, Sentenza n. 773 del 07/02/1986; v. altresì, Sez. 3, Sentenza n. 2676 del 10/02/2016; cfr. altresì Sez. 2, Sentenza n. 6560 del 2015 in motivazione).
Insomma, la valutazione sull’opportunità di disporre il giuramento suppletorio, trattandosi di mezzo di prova eccezionalmente sottratto alla disponibilità delle parti ed ammissibile di ufficio, è rimessa al prudente e discrezionale apprezzamento del giudice del merito, il quale – con valutazione insindacabile in sede di legittimità, se sorretta da motivazione immune da vizi logici o giuridici – stabilisce se ricorrono le condizioni previste dall’art. 2736 c.c., n. 2, ossia che la domanda o le eccezioni, pur non pienamente provate, non siano del tutto sfornite di prova, e, ai fini della scelta della parte cui deferire il giuramento, è facultato ad avvalersi anche di elementi di valutazione desumibili dal comportamento processuale e stragiudiziale delle parti e di semplici presunzioni, indipendentemente dalla loro gravità, precisione e concordanza.
4 Con il quarto motivo il ricorrente denunzia “error in iudicando de iure procedendo”: violazione dell’art. 1144 c.c., artt. 112,187 e 345 c.p.c., rimproverando alla Corte d’Appello di avere considerato “nuova” la contestazione circa la ritenuta indivisibilità dei beni e circa la ritenuta impossibilità di attribuzione per intero, benché in sentenza fosse stata riportata la censura con cui si sosteneva la possibilità di formare le quote in natura mediante assegnazione di un frustolo del terreno in *****, come riconosciuto dallo stesso perito a pag. 33 della relazione.
Il motivo è inammissibile per difetto di specificità (art. 366 c.p.c., n. 6) perché omette di riportare i passaggi della relazione del consulente tecnico da cui – a suo dire – emergerebbe la possibilità di assegnazione in suo favore di tale cespite, né è possibile ricavare tale conclusione dalla sentenza, posto che la Corte d’Appello si limita a sintetizzare, a pag. 5, il contenuto della censura.
L’onere per il ricorrente di formulare la censura in conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito non viene infatti meno nelle ipotesi in cui vengano denunciati errores in procedendo che abilitano la Corte di Cassazione ad esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda (tra le varie, cfr. Sez. U., Sentenza n. 8077 del 22/05/2012 Rv. 622361).
In conclusione, il ricorso va respinto con inevitabile addebito di spese a carico della parte soccombente.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità che liquida in complessivi Euro 5.800,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 14 dicembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2022
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