Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.5028 del 16/02/2022

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 6597/2017) proposto da:

L.S., (C.F.: *****), rappresentata e difesa, in virtù

di procura speciale apposta in calce al ricorso, dagli Avv.ti Adriano Barbato, e Massimiliano Farinelli, ed elettivamente domiciliata presso lo studio del primo, in Roma, v. Anastasio II, n. 143;

– ricorrente –

contro

L.G.M., (C.F.: *****), rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale apposta in calce al controricorso, dall’Avv. Massimo Gianola, ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. Giovanna Sebastio, in Roma, v. Germanico, n. 109;

– controricorrente –

e L.C.A., (C.F.: *****);

– intimata –

avverso la sentenza della Corte di appello di Milano n. 9/2017 (pubblicata il 2 gennaio 2017);

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 14 dicembre 2021 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

letta la memoria depositata dalla difesa della ricorrente ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..

RITENUTO IN FATTO

1. Con atto di citazione del maggio 2010 L.S. e L.C.A. convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Busto Arsizio – sez. dist. di Saronno, il fratello L.G.M., proponendo congiuntamente: – domande aventi ad oggetto la divisione di una serie di unità immobiliari di proprietà comune ed indivisa derivanti dalle successioni dei deceduti genitori; – domanda di ricostruzione degli attivi dell’asse ereditario, con il correlato rendiconto; – domanda di collazione ai sensi dell’art. 751 c.c., in relazione alle somme prelevate utilizzando il rapporto di delega ad operare sul c/c acceso presso la San Paolo imi – filiale di *****, già intestato alla di loro madre; – domanda di condanna alla corresponsione “pro quota” in favore delle due sorelle attrici delle somme imputabili a canoni di locazione riscossi per intero dal convenuto dalla ditta conduttrice di immobili comuni siti in *****.

La L.S. invocava, altresì, in via autonoma, l’accertamento dell’inadempimento al mandato conferito al fratello per la vendita di sue quote di comproprietà di due immobili ubicati in *****, con atti notarili stipulati nel 2006, per non averle rimesso le quote dei corrispettivi percepiti nel suo interesse, rispettivamente di Euro 16.666,66 e di Euro 37.629,63, chiedendo, perciò, la condanna del convenuto alla corresponsione di tali somme.

Il convenuto si costituiva in giudizio instando per il rigetto delle avverse domande tranne che non opporsi alla chiesta divisione, dovendosi però tener conto anche di alcune donazioni in denaro che erano state disposte dai genitori in favore di entrambe le attrici. In sede di precisazione delle domande ai sensi dell’art. 183 c.p.c.. queste ultime disconoscevano formalmente le sottoscrizioni apposte al documento n. 62 prodotto in copia dal convenuto relativo ad alcune quietanze attestanti le asserite donazioni operate in loro favore. Il convenuto, con la difesa immediatamente successiva al disconoscimento (ovvero nella memoria depositata in conformità all’art. 183 c.p.c., comma 6), formulava istanza di verificazione dell’autenticità delle disconosciute sottoscrizioni inerenti alle contestate quietanze, prodotte solo in copia. Espletata consulenza grafologica, dal cui esito emergeva l’autenticità della sottoscrizione apposta dalla L.S. ad una quietanza per l’importo di Euro 95.000,00, ancorché valutando la sola copia prodotta (nell’impossibilità per il convenuto di produrre l’originale), ed esperite le altre prove, con disposizione di altra c.t.u. per l’approntamento del progetto divisionale, l’adito Tribunale, con sentenza n. 20/2014, così pronunciava: – assegnava i lotti A, B e C – come descritti nella c.t.u. rispettivamente a favore di L.G.M., L.S. e L.C.A.; – condannava L.S. a pagare in favore del convenuto la somma di Euro 9.475,57, oltre interessi legali dal 28 maggio 2012; – condannava la stessa al pagamento, a titolo di conguaglio, a L.C.A. la domma di Euro 10.992,66, oltre interessi dalla menzionata data; – condannava il convenuto a corrispondere alla L.C.A. l’importo di Euro 53.148,20, oltre interessi dal 7 luglio 2008; condannava quest’ultima al pagamento, in favore del L.G.M., della somma di Euro 52.850,50, oltre interessi legali dal 5 agosto 2011 al soddisfo quale quota imputabile alla donazione effettuata dal padre; – condannava il convenuto a pagamento, in favore di entrambe le attrici, della somma di Euro 11.021,04, ciascuna oltre interessi legali dal 7 luglio 2008 al soddisfo; – respingeva tutte le ulteriori reciproche domande avanzate dalle parti, compensando integralmente le spese di lite.

2. Decidendo sull’appello formulato dalla convenuta L.S. (con cui veniva dedotta l’inefficacia probatoria della c.t.u. grafologica, siccome compiuta su copia fotostatica del documento disconosciuto, e la violazione degli obblighi contrattuali assunti dal convenuto) e nella costituzione dell’appellato L.G.M., che proponeva a sua volta appello incidentale (relativo all’accertamento che l’importo di Euro 40.000,00, impiegato per il restauro della cappella famiglia, era stato da lui pagato in via esclusiva), nonché nella contumacia dell’altra appellata L.C.A., la Corte di appello di Milano, con sentenza n. 9/2017 (pubblicata il 2 gennaio 2017), respingeva entrambi i gravami e compensava le spese del grado.

A sostegno dell’adottata sentenza la Corte milanese rilevava che la procedura di verificazione si era svolta regolarmente anche in difetto dell’acquisizione dell’originale del documento cui essa era stata riferita, senza che peraltro l’appellante principale avesse proceduto al disconoscimento della copia fotostatica all’originale ai sensi dell’art. 2719 c.c.; respingeva il motivo relativo all’impugnazione della mancata dichiarazione di inadempimento del L.G.M. con riferimento alle somme depositate a suo favore sul conto corrente, in quanto quest’ultimo era stato pacificamente utilizzato per la gestione comune dell’intero patrimonio ereditario; riteneva infondato anche il motivo dell’appello incidentale, siccome era rimasta priva di riscontri documentali la riconduzione degli esborsi dedotti al titolo della ristrutturazione della cappella di famiglia.

3. Avverso la suddetta sentenza di appello ha formulato ricorso per cassazione riferito a tre motivi – la L.S.. Si è costituito con controricorso L.G.M., mentre l’altra intimata L.C.A. non ha svolto attività difensiva in questa sede. La difesa della ricorrente ha anche depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo la ricorrente ha denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 – la violazione e falsa applicazione dell’art. 2719 c.c. e degli artt. 214 e 215 c.p.c., contestando l’impugnata sentenza nella parte in cui aveva riconfermato la legittimità della c.t.u. di verificazione della sottoscrizione disconosciuta sul documento n. 62 prodotto in giudizio dal L.G.M. solo in copia, senza provvedere al deposito del suo originale.

2. Con la seconda censura la ricorrente ha dedotto – con riguardo all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 – la violazione e falsa applicazione dell’art. 2702 c.c., nonché degli artt. 216,217 c.p.c. e art. 183 c.p.c., comma 6, per aver la Corte di appello confermato la legittimità della procedura svolta con la c.t.u. grafologica, nonostante il L.G.M. non avesse provveduto a depositare l’originale del documento disconosciuto nel termine preclusivo previsto dal citato art. 183 c.p.c., comma 6, né vi aveva provveduto a seguito dell’invito del giudice ad assolvere a tale incombente, con la conseguenza dell’inefficacia del procedimento di verificazione e, quindi, dell’infondatezza dell’avversa richiesta di distrazione della somma di Euro 95.000,00 dalla massa ereditaria, siccome posta ingiustificatamente in collazione nell’ambito della divisione ereditaria.

3. Con la terza ed ultima doglianza la ricorrente ha prospettato – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e falsa applicazione dell’art. 1713 c.c., sul presupposto dell’asserita erroneità dell’impugnata sentenza nella parte in cui aveva negato l’inadempimento del L.G.M. all’obbligazione di rimettere a suo favore i corrispettivi “pro quota” spettantile in virtù delle vendite dei due immobili siti in *****, obbligazioni sorte per effetto del mandato allo stesso fratello conferito “ad hoc”.

4. Rileva il collegio che i primi due motivi possono essere esaminati congiuntamente siccome connessi in quanto afferenti a due profili di una complessiva medesima questione processuale.

Essi sono infondati e devono, perciò, essere rigettati.

Infatti, per come accertato insindacabilmente in fatto dalla Corte di appello ed ai fini dell’interpretazione ed applicabilità dell’art. 2719 c.p.c. con riferimento al disconoscimento della conformità della copia all’originale del documento n. 62 prodotto in primo grado dall’attuale controricorrente, la L.S. si era limitata genericamente (e non, quindi, espressamente ed inequivocamente) a disconoscere il predetto documento relativa ad una presunta quietanza a firma apparente della stessa, così opponendosi all’istanza di verificazione del L.G.M., senza, tuttavia, eccepire alcunché in ordine all’eventuale non conformità della copia all’originale, non contestata, perciò, esplicitamente e con manifestazioni di volontà univoche (non risultando pacificamente utili allo scopo mere espressioni di stile).

A tal proposito la giurisprudenza di questa Corte (cfr., ad es., Cass. n. 19680/2008 e Cass. n. 2374/2014) è ferma nel sostenere che l’art. 2719 c.c. (che esige l’espresso disconoscimento della conformità con l’originale delle copie fotografiche o fotostatiche) è applicabile tanto alla ipotesi di disconoscimento della conformità della copia al suo originale, quanto a quella di disconoscimento dell’autenticità di scrittura o di sottoscrizione, e nel silenzio della norma in merito ai modi e ai termini in cui i due suddetti disconoscimenti debbano avvenire, è applicabile ad entrambi la disciplina degli artt. 214 e 215 c.p.c., con la conseguenza che la copia fotostatica non autenticata si ha per riconosciuta (tanto nella sua conformità all’originale quanto nella scrittura e sottoscrizione) se la parte comparsa non la disconosca, in modo formale, e quindi specifico e non equivoco, alla prima udienza, ovvero nella prima risposta successiva alla sua produzione. In altri termini, l’onere di disconoscere la conformità tra l’originale di una scrittura e la copia fotostatica della stessa prodotta in giudizio, pur non implicando necessariamente l’uso di formule sacramentali, va assolto mediante una dichiarazione di chiaro e specifico contenuto che consenta di desumere da essa in modo inequivoco gli estremi della negazione della genuinità della copia, senza che possano considerarsi sufficienti, ai fini del ridimensionamento dell’efficacia probatoria, contestazioni generiche o onnicomprensive (cfr., da ultimo, Cass. n. 1537/2018).

Orbene, a fronte del puntuale accertamento di tale fatto processuale (relativo, cioè, alla inidoneità della condotta in giudizio dell’odierna ricorrente relativa al corretto e compiuto disconoscimento della suddetta conformità della copia all’originale del documento in questione, ed indipendentemente dalla mancata successiva esibizione dell’originale pur richiesta dal giudice, non avendo il c.t.u. grafologico riscontrato l’impossibilità di procedere alle conseguenti attività di verificazione sulla copia acquisita agli atti e non espressamente disconosciuta), la Corte di appello, confermando sul punto la statuizione del giudice di primo grado, ha ritenuto giustamente legittimo dare corso al procedimento di verificazione per l’accertamento dell’autenticità o meno della sottoscrizione della L.S. con riferimento al doc. 62 relativo a dichiarazioni di ricezione di somme (quietanze) per un importo complessivo di Euro 95.000,00, da imputare alla massa ereditaria a titolo di collazione nell’eventualità dell’accertata autenticità di detta sottoscrizione.

5. Anche la terza ed ultima censura è priva di fondamento e va respinta.

Si deve, infatti, osservare come la Corte di appello, con apprezzamento di fatto logico ed adeguato oltre che fondato su un corretto e completo ragionamento presuntivo, abbia, in primo luogo, constatato, dandone atto, che dallo stesso tenore letterale dell’atto di conferimento del mandato non emergeva alcuna previsione in ordine alle modalità e al luogo di consegna delle somme incassate, dovendosi, perciò, ricorrere ad idonei elementi presuntivi in ordine alla valutazione dell’esatto o corretto adempimento degli obblighi contrattuali da tale mandato scaturenti.

A questo riguardo la Corte territoriale ha adeguatamente individuato convergenti e gravi elementi indiziari (sulla base di una manifestazione di convincimento immune da incoerenza logica: cfr., ad es., Cass. n. 1631/1977 e, da ultimo, Cass. n. 22366/2021) circa l’idoneo assolvimento da parte del L.G.M. degli obblighi derivanti a suo carico da tale procura. In particolare, ha rilevato come fosse rimasto confermato che la L.S. era anche comparsa personalmente il 19 dicembre 2006 all’atto della compravendita dell’altro immobile sito in ***** (*****), in cui il L.G.M. era comparso, oltre che in proprio, esclusivamente quale procuratore dell’altra sorella C.A.. Così era rimasto accertato che l’attuale ricorrente nulla aveva contestato rispetto alla sola comparizione del G.M. nelle operazioni del successivo atto di compravendita dell’altro immobile, ragion per cui – proprio in virtù del mandato conferitogli – egli aveva trasferito le relative somme incassate sul c/c intestato alla di loro madre D.E., il che era univocamente sintomatico dell’esistenza di un comune accordo tra gli eredi diretto a far confluire, dopo la morte del loro padre, su un unico conto corrente, per l’appunto gestito dal G.M., tutte le operazioni importanti operazioni creditorie e debitorie derivanti dall’amministrazione e gestione del patrimonio immobiliare della famiglia L. ereditati dal “de cuius”.

Alla luce della ricostruzione di tutti i predetti elementi e del comportamento delle parti, la Corte di appello ha desunto l’emergenza di una univoca prova presuntiva del corretto adempimento del mandato conferito al L.G.M., avendo egli concluso gli affari concernenti la compravendita dei due immobili in discorso riversando l’intero corrispettivo ricavato sul conto corrente intestato alla madre ma destinato – come riscontrato dalla inerente documentazione attestante la relativa movimentazione bancaria – alla funzione di farvi confluire i proventi, al fine di provvedere anche agli inerenti esborsi imputabili alla gestione del patrimonio familiare facente capo a tutti gli eredi.

6. In definitiva, alla stregua delle argomentazioni complessivamente svolte, il ricorso deve essere integralmente rigettato, con conseguente condanna della soccombente ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo, mentre non occorre adottare alcuna statuizione sulle spese relative al rapporto processuale instauratosi tra la ricorrente e L.C.A., essendo quest’ultima rimasta intimata.

Infine, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio, che si liquidano in Euro 4.300,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre iva, cpa e contributo forfettario nella misera e sulle voci come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 14 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2022

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