LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –
Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –
Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 31188 – 2020 R.G. proposto da:
ARTEDIL 2000 Piccola Società Cooperativa a r. L. – p.i.v.a.
03478760758 – in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata, con indicazione dell’indirizzo p.e.c., in Lecce, alla via D. Cantatore, n. 17, presso lo studio dell’avvocato Mazzeo Antonio che la rappresenta e difende in virtù di procura speciale su foglio allegato in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
S.F. – c.f. ***** – C.A. – c.f. ***** –
elettivamente domiciliati in Roma, alla via Barnaba Tortolini, n. 34, presso lo studio dell’avvocato Ferrari Aldo che li rappresenta e difende in virtù di procura speciale su foglio allegato in calce al controricorso;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 247/2020 della Corte d’Appello di Lecce, udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18 novembre 2021 dal consigliere Dott. Abete Luigi.
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO 1. Con ricorso ex art. 633 c.p.c. la “Artedil 2000” piccola società cooperativa a resp. lim. adiva il Tribunale di Lecce.
Esponeva che su incarico e per contro di S.F. e di C.A. aveva presso la loro abitazione in Costalduccio di Costacciaro eseguito parte dei lavori di realizzazione dell’impianto idrico, fognario e termico, lavori poi terminati da altra impresa; che il saldo del corrispettivo, pari ad Euro 16.500,00, era rimasto insoluto.
Chiedeva ingiungersi ai committenti il pagamento del suindicato importo oltre interessi e spese di procedura monitoria.
2. Con decreto n. 666 del 7.7.2005 il tribunale pronunciava l’ingiunzione.
3. Con citazione notificata il 15.12.2005 S.F. ed C.A. proponevano opposizione.
Chiedevano, tra l’altro, revocarsi l’opposta ingiunzione; in riconvenzionale, dichiararsi che avevano versato ogni somma dovuta e nulla dovevano a controparte; altresì, condannarsi controparte alla restituzione della somma di Euro 880,30, corrispondente al costo sostenuto per il rifacimento del massetto, risultato inidoneo ai fini della posa in opera del parquet, e per la sostituzione della caldaia.
4. Si costituiva la “Artedil 2000”.
Instava per il rigetto dell’opposizione.
Chiedeva inoltre la condanna degli opponenti al pagamento delle ulteriori somme di Euro 26.009,18, quale corrispettivo dei lavori extra contratto all’uopo eseguiti, e di Euro 11.000,00, a titolo di rimborso del costo sostenuto per i materiali acquistati per l’esecuzione delle opere appaltate.
5. All’esito dell’istruzione probatoria, con sentenza n. 2426/2016 il tribunale accoglieva parzialmente l’opposizione e, per l’effetto, revocava l’ingiunzione, condannava gli opponenti a pagare all’opposta la minor somma di Euro 3.284,29, con rivalutazione ed interessi, compensava integralmente le spese di lite e poneva le spese di c.t.u. a carico dell’opposta nella misura di 4/5, a carico degli opponenti nella misura di 1/5.
Evidenziava, tra l’altro, il tribunale che il c.t.u. aveva quantificato il corrispettivo dei lavori eseguiti in Euro 39.488,49, al netto dell’i.v.a., sicché, detratto quanto – Euro 36.204,20 – dai committenti era stato versato, residuava la somma dovuta di Euro 3.284,29, oltre i.v.a.
Evidenziava inoltre che la domanda dell’opposta, volta a conseguire il rimborso della somma per l’acquisto dei materiali, doveva reputarsi inammissibile, siccome domanda “nuova” né qualificabile in guisa di reconventio reconventionis.
6. Proponeva appello la “Artedil 2000”.
Resistevano S.F. ed C.A..
7. Con sentenza n. 247/2020 la Corte d’Appello di Lecce rigettava il gravame e condannava l’appellante alle spese del grado.
Evidenziava la corte, in ordine al primo motivo di gravame – con cui l’appellante aveva censurato il primo dictum in quanto acriticamente ancorato agli esiti della c.t.u., esiti (asseritamente) erronei e frutto dell’irregolare svolgimento della consulenza – che le risultanze degli atti davano conto del rituale svolgimento della c.t.u.
Evidenziava poi che correttamente l’ausiliario d’ufficio – ai fini della determinazione del valore, in Euro 39.488,49, delle opere eseguite – aveva applicato il prezzario risultante dal B.U. della Regione Umbria n. 34 del 2002, siccome coevo al periodo in cui erano state eseguite le opere per cui era controversia.
Evidenziava la corte, in ordine al secondo motivo di gravame, che ineccepibilmente il tribunale aveva reputato inammissibile la domanda dell’opposta volta a conseguire il rimborso della somma anticipata per l’acquisto dei materiali, siccome domanda che in nessun modo si correlava, con nesso di dipendenza, alle domande riconvenzionali degli opponenti.
8. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso la “Artedil 2000” piccola società cooperativa a resp. lim.; ne ha chiesto sulla scorta di due motivi la cassazione con ogni conseguente statuizione.
S.F. ed C.A. hanno depositato controricorso; hanno chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi il ricorso con il favore delle spese.
9. Il relatore ha formulato proposta ex art. 375 c.p.c., n. 5), di manifesta infondatezza di ambedue i motivi di ricorso; il presidente ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 1, ha fissato l’adunanza in camera di consiglio.
10. I controricorrenti hanno depositato memoria.
11. Con il primo motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 62,195 e 196 c.p.c.
Deduce che la corte d’appello ha respinto il primo motivo di gravame con motivazione “apparente” ed illogica.
Deduce che in prime cure ebbe a depositare le controdeduzioni del proprio consulente tecnico, con le quali erano state evidenziate, con riferimento a ben 14 punti del computo metrico, le gravi lacune ed omissioni inficianti la relazione di c.t.u., controdeduzioni che, qualora debitamente considerate, avrebbero giustificato la quantificazione dei lavori nel maggior importo di Euro 62.000,00.
Deduce inoltre che il c.t.u. ha omesso di rispondere ai chiarimenti richiestigli dal primo giudice e si è limitato a ribadire le precedenti conclusioni.
Deduce ancora che la richiesta di rinnovazione della c.t.u. è stata respinta immotivatamente.
12. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 36 c.p.c..
Deduce che la corte d’appello ha erroneamente respinto il secondo motivo di gravame.
Deduce che la domanda volta a conseguire il rimborso della somma – Euro 11.000,00 – per l’acquisto dei materiali e’, in guisa di reconventio reconventionis, conseguenziale e connessa alla domanda riconvenzionale degli opponenti finalizzata ad ottenere l’accertamento negativo dell’insussistenza di qualsivoglia loro ragione di debito nei confronti dell’appaltatrice.
13. Si premette che il collegio appieno condivide la proposta del relatore, che ben può essere reiterata in questa sede.
I motivi di ricorso sono pertanto destituiti di fondamento e da respingere.
14. Con precipuo riferimento al primo motivo si rimarca quanto segue.
15. Con il primo mezzo di impugnazione la ricorrente, merce’ le censure alla c.t.u., censura essenzialmente il giudizio “di fatto” cui, sulla scorta, appunto, della consulenza, ha atteso la Corte di Lecce (“l’assunto del Giudice di Appello (…) non si appalesa calato nelle forme logiche di un discorso giuridico e logico (…)”: così ricorso, pag. 7; “si evidenziavano gravissime lacune e incongruenze commesse dal c.t.u. (…), attinenti a ben 14 punti del computo metrico (…) e riguardanti sia i ponteggi realmente utilizzati dall’opposta, sia lo spessore del massetto e i relativi costi, (…)”: così ricorso, pagg. 7 e 8; “dalla c. t. u. depositata in primo grado, così come dai verbali di sopralluogo, non si evince che il c.t.u. abbia proceduto a misurazione alcuna delle opere”: così ricorso, pag. 10; la Corte d’Appello di Lecce “ha sposato la quantificazione dei lavori come indicata dal c.t.u.”: così ricorso, pag. 10).
16. In questi termini, nonostante la qualificazione operata in rubrica dalla ricorrente, il primo motivo di ricorso si qualifica essenzialmente ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Del resto, è propriamente il motivo di ricorso ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 che concerne l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia (cfr. Cass. sez. un. 25.11.2008, n. 28054).
Cosicché opera, evidentemente, la preclusione ex art. 348-ter c.p.c., comma 5, correlata alla “doppia conforme”.
Invero, l’appello è stato introdotto nel 2016 (cfr. Cass. 18.12.2014, n. 26860, secondo cui l’art. 348-ter c.p.c., comma 5, non si applica ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione anteriormente all’11.9.2012).
Invero, il secondo dictum ha integralmente confermato il primo dictum (nell’ipotesi di “doppia conforme”, prevista dall’art. 348-ter c.p.c., comma 5, il ricorrente in cassazione – per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse: cfr. Cass. 22.12.2016, n. 26774).
17. In ogni caso si evidenzia quanto segue.
In primo luogo, la consulenza di parte, ancorché confermata sotto il vincolo del giuramento, costituisce una semplice allegazione difensiva di carattere tecnico, priva di autonomo valore probatorio, con la conseguenza che il giudice di merito, ove di contrario avviso, non è tenuto ad analizzarne e a confutarne il contenuto, quando ponga a base del proprio convincimento (e’ il caso di specie) considerazioni con esso incompatibili e conformi al parere del proprio consulente (cfr. Cass. (ord.) 9.4.2021, n. 9483; Cass. 29.1.2010, n. 2063; cfr. Cass. 11.7.1983, n. 4712, secondo cui il giudice di merito può disattendere senza particolare confutazione la consulenza tecnica di parte, fondando il suo convincimento su considerazioni che ne escludono obiettivamente l’attendibilità; Cass. 18.4.2001, n. 5687).
In secondo luogo, rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di disporre indagini tecniche suppletive o integrative di quelle già espletate, di sentire a chiarimenti il consulente tecnico di ufficio ovvero di disporre addirittura la rinnovazione delle indagini, con la nomina di altri consulenti, e l’esercizio di un tale potere (così come il mancato esercizio) non è censurabile in sede di legittimità (cfr. Cass. 3.4.2007, n. 8355; Cass. 29.9.2017, n. 22799, secondo cui, in tema di consulenza tecnica d’ufficio, il giudice di merito non è tenuto, anche a fronte di una esplicita richiesta di parte, a disporre una nuova c.t.u., atteso che il rinnovo dell’indagine tecnica rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito, sicché non è neppure necessaria una espressa pronunzia sul punto).
In terzo luogo, la corte distrettuale ha dato compiutamente conto della congruenza degli esiti della c.t.u. e della ineccepibilità dell’operato dell’ausiliario d’ufficio (cfr. sentenza d’appello pagg. 5 – 6, ove si puntualizza, tra l’altro, che “risulta dagli atti delle operazioni peritali come il c. t. u. abbia svolto il proprio incarico nel pieno rispetto del contraddittorio fra le parti, le quali hanno presenziato alle operazioni sia attraverso i propri cc. tt. sia, per quanto si riferisce ad Artedil 2000, personalmente con la presenza del suo amministratore (…)”), sicché per nulla si giustifica l’assunto della società ricorrente, secondo cui la corte territoriale non avrebbe verificato l’avvenuta risposta al quesito sottoposto all’ausiliario d’ufficio (cfr. ricorso, pag. 10).
18. Con precipuo riferimento al secondo motivo si rimarca quanto segue.
19. Risultano ineccepibili i rilievi sulla cui scorta la Corte salentina ha rigettato il secondo motivo d’appello.
In effetti, nel quadro dell’insegnamento di questa Corte n. 5415 del 25.2.2019 (nell’ordinario giudizio di cognizione, che si instaura a seguito dell’opposizione a decreto ingiuntivo, l’opposto, rivestendo la posizione sostanziale di attore, non può avanzare domande diverse da quelle fatte valere con il ricorso monitorio, salvo il caso in cui, per effetto di una riconvenzionale formulata dall’opponente, egli si venga a trovare, a sua volta, nella posizione processuale di convenuto, al quale non può essere negato il diritto di difesa, rispetto alla nuova o più ampia pretesa della controparte, mediante la proposizione (eventuale) di una “reconventio reconventionis” che deve, però, dipendere dal titolo dedotto in causa o da quello che già appartiene alla stessa come mezzo di eccezione ovvero di domanda riconvenzionale), la domanda volta a conseguire il rimborso delle spese anticipate per l’acquisto dei materiali, domanda evidentemente ulteriore rispetto alla domanda inizialmente esperita in via monitoria, non è specificamente in rapporto di dipendenza con le domande riconvenzionali spiegate dagli opponenti, qui controricorrenti.
Segnatamente (ed al di là della domanda riconvenzionale volta a conseguire il rimborso della somma di Euro 880,30), la domanda riconvenzionale degli opponenti “di nulla dover alla Coop a qualsiasi titolo, ragione e/o causa” (così ricorso, pag. 14), in quanto mera domanda di “accertamento negativo”, innegabilmente, si badi, correlata – in chiave negativa, appunto – alla pretesa creditoria dapprima azionata in via monitoria dalla “Artedil 2000”, non è propriamente domanda che ha “ampliato” la pretesa dei medesimi committenti-opponenti.
Non può condividersi perciò il corollario che la ricorrente ha inteso trarre ovvero l’assunto secondo cui la domanda anzidetta è stata “tale da ampliare l’oggetto della causa rispetto al pagamento dell’importo di cui al D.I.” (così ricorso, pag. 13).
20. In dipendenza del rigetto del ricorso la società ricorrente va condannata a rimborsare ai controricorrenti le spese del giudizio di legittimità; la liquidazione segue come da dispositivo.
21. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del citato D.P.R., art. 13, comma 1-bis, se dovuto (cfr. Cass. sez. un. 20.2.2020, n. 4315).
PQM
La Corte così provvede:
rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente, “Artedil 2000” piccola società cooperativa a resp. lim., a rimborsare ai controricorrenti, S.F. ed C.A., le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 2.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e cassa come per legge;
ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del citato D.P.R., art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2022
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